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Teodoro Wolf Ferrari. La modernità del paesaggio

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Teodoro Wolf Ferrari
T. Wolf Ferrari: Betulle 1913

Teodoro Wolf Ferrari. La modernità del paesaggio è la protagonista della mostra di Palazzo Sarcinelli a Conegliano. La rassegna curata da Giandomenico Romanelli con Franca Lugato, vuole indagare alcuni ambiti e quindi alcuni autori, meno noti della storia dell’arte italiana. E lo fa a partire da Wolf Ferrari. Le opere scelte, settanta in tutto, vogliono quindi metterci a contatto con l’intero percorso creativo dell’autore. Inizia i suoi studi all’Accademia delle Belle Arti di Venezia, dal 1891 al 1895 con Guglielmo Ciardi e Pietro Fragiacomo, assorbendo specialmente dal primo, l’importanza riconosciuta all’equilibrio formale e strutturale dell’opera.

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Si trasferisce poi a Monaco di Baviera dove fa propria la cultura delle Secessioni confrontandosi con le tendenze mitteleuropee; una particolare sezione della mostra è dedicata al tema della tempesta, tra cui Paesaggio notturno, Bufera, Notte, Danza macabra. La rassegna testimonia anche il ritorno di Wolf Ferrari a Venezia, con l’assimilazione delle sue novità, fino alle delicate passeggiate autunnali dal Grappa al Piave. Ci sono pittori che hanno bisogno di un territorio vitale. Una zona del bello che si materializza in una patria estetica, raggiungendo quella densità di senso svincolata dal semplice percepire. I poeti, “api dell’invisibile” li definisce Rilke, e gli artisti alludono a qualcosa di non scontato.

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A significati emozioni visioni non focalizzabili una volta per tutte. Così Gino Rossi riesce a percepire lo stato di beatitudine nell’isola di Burano. Monet deve costantemente confrontarsi con gli agglomerati lungo le rive della Senna: Vétheil, Vernon, Giverny. Teodoro Wolf Ferrari, ha rinominato la realtà di quel paesaggio che ne ha accompagnato l’esistenza e la crescita culturale. In particolare, San Zenone degli Ezzelini, la cittadina trevigiana dove trascorre le vacanze. Il legame intenso che si viene a creare motiva la sua scelta definitiva. Vi rimarrà fino alla morte.

 

Teodoro Wolf Ferrari
Mario de Maria: Bremen 1904

Volendo entrare nel merito di alcune sue opere, se ne possono scegliere due, confrontandole con quelle dei pittori con i quali ha dialogato. Si può iniziare con la tela Bremen del 1904 di Mario De Maria. E accostarla alle Betulle di W. Ferrari del 1913. In entrambe c’è una chiara propensione per il vero. Il voler catturare la natura senza erosioni formali che ne sgretolino la connotazione. Però l’immagine che l’occhio percepisce come sensazione, viene rielaborata. Si trasforma in un’immagine mentale. Perché il vedere dell’artista è sempre un vedere intellettuale. Le consonanze finiscono qui. In De Maria sono due i protagonisti del paesaggio che si dividono la scena: i tronchi in primo piano e le case, campanile compreso, sullo sfondo.

Teodoro Wolf Ferrari
Bocklin: Isola dei morti

Senza che fra loro ci sia contrapposizione. Immersi in un’atmosfera sicuramente autunnale con chiari rimandi impressionistici. Specialmente nei tocchi di pennello non sovrapposti che disegnano le foglie e gli arbusti che circondano la base degli alberi. Le Betulle di W. Ferrari dominano incontrastate lo spazio innestate saldamente sulla cima di una collinetta. Per un effetto voluto dall’artista i quattro alberi in risalto, resi mediante colori perlacei intersecati da tonalità più scure, vogliono condividere l’orizzonte con un cielo striato di grigio/azzurro che sembra vicinissimo. Sono forme naturali che significano più di quanto letteralmente rappresentano. Il paesaggio diventa il canale privilegiato per convogliare messaggi esistenziali e onirici. Uno potrebbe essere il senso di gelida solitudine che emerge dal dipinto. Accettata senza rimpianti.

Teodoro Wolf Ferrari
T. Wolf Ferrari: L’isola misteriosa 1917

Una considerazione, la latenza del messaggio, che acquista maggiore rilievo nell’olio su tela del 1917 L’isola misteriosa. L’opera potrebbe essere accostata ad una delle cinque versioni de L’isola dei morti di Böcklin, la misteriosa e affascinate isola sospesa nell’acqua, entrata a far parte dell’immaginario collettivo. Fonte di ispirazione per molti artisti, da De Chirico a Dalì, non ha lasciato indifferente Wolf Ferrari. Nelle due opere è predominante la verticalità del bosco dei cipressi simbolicamente associati al cimitero e al lutto. E l’atmosfera misteriosa e ipnotica in cui sono immerse. Ma se lo specchio d’acqua che circonda l’isola di Böcklin è rigido e livido, quasi fosse una lastra tombale, quello di Wolf Ferrari è più mosso. Più “naturale” nel riflettere i grumi rosati della nuvola che cattura gli ultimi raggi di un sole al tramonto. Se di cimitero si tratta, è meno angosciante di quello mistico di Böcklin.

Fausto Politino

Laureato in filosofia, iscritto all’ordine dei pubblicisti di venezia e già collaboratore del Mastino di Padova. Ora scrivo per la Tribuna di Treviso. Potete seguirmi su Twitter: PolitinoF.

La mostra

Palazzo Sarcinelli Conegliano (TV). Dal 2 febbraio al 24 giugno 2018 Orari: martedì-giovedì 9/18. Venerdì-domenica 10/19.

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