C’è tempo fino al 31 maggio, quando l’aria sa di primavera. L’atmosfera propizia per andare a Parigi, alla Galerie Ropac, e visitare Für Andrea Emo. Con gli ultimi lavori del pittore e scultore Anselm Kiefer, fra i maggiori artisti contemporanei. Lavori infiltrati dalla filosofia di Andrea Emo, pensatore irregolare, antiaccademico, scomparso nel 1983. È stato scoperto da Massimo Cacciari che favorì la pubblicazione dei suoi numerosi appunti, delle sue quotidiane riflessioni, nel volume del 1989, Il dio negativo, Marsilio editore. Kiefer lo incontra nel 2015 leggendo l’opera. Si riconosce nei frammenti e negli aforismi che contiene. Si sente affine a Emo il cui pensiero è stato definito nichilismo radicale. Anche se il suo Nulla non vuol dire sottovalutare la tragicità dei fatti storici. Semmai riconoscerne la sacralità. È un Nulla che evoca l’Assoluto nella sua totalità.
In mostra ci sono venti dipinti di varie dimensioni e tre sculture gabbia. Opere che riflettono la prospettiva teoretica di Emo. L’arte come esercizio metafisico. Cioè non rispecchia il reale e non è contenitore di simboli. Ma l’ultimo tentativo per rivelare l’Assoluto, che tuttavia può mostrarsi solo eclissandosi. Come traduce Kiefer queste considerazioni nei suoi lavori? Identificando l’artista nell’iconoclasta “impegnato a mettere in scena un ordine prossimo a naufragare nel nulla”. Eppure, solo l’arte può riedificare un contesto. Rispetto all’estrema specializzazione degli scienziati e alla separazione dei loro saperi.
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La mostra di Parigi la si può definire una mostra spartiacque. Fino a questo momento nel paesaggio iconografico di Kiefer, dove coesistono la concettualità dell’arte contemporanea insieme ad una grande qualità tecnica, si poteva leggera la tragedia del nostro tempo. Resa mediante l’utilizzo di materiali poveri. Rottami di motori, il piombo, la cenere, il vetro, la sabbia, i libri consumati. Senza tralasciare i motivi archeologici. Si ricordano ancora I sette palazzi celesti installati a Milano all’HangarBicocca nel 2004.
Sette solenni architetture alte fino a diciotto metri. Che riprendono motivi di antiche civiltà. Dagli ziggurat assiro-babilonesi alla leggendaria torre di Babele. Dalla cima alle fondamenta Kiefer ha inserito una nave, scritte al neon, pile di libri di piombo. L’unico materiale in grado di “sostenere il peso della storia”. Niente di tutto questo nelle opere esposte a Parigi. Niente rimandi politici. Rinvii mistico/religiosi. Rispecchiano uno stile diverso. Un modo di lavorare altro. Le sculture possono essere solo gabbie dove sono riprodotti reperti e fossili sfuggiti ad un’apocalisse che nessuno vede. I quadri veicolano visioni. Che Kiefer copre parzialmente o cancella integralmente.
Può arrivare a distruggerle riversandoci sopra colate di piombo fuso. Non ci può essere immagine senza iconoclastia. Bisogna fare affiorare parvenze, apparizioni. Come se fossero tracce di affreschi inabissati sotto colate di lava. Ciò che conta non è il risultato del lavoro. La salvezza è nel lavoro stesso. Il compito dell’artista è decostruire. Non contemplare l’opera d’arte ma maltrattarla, aggredirla.
Fausto Politino
Laureato in filosofia, iscritto all’ordine dei pubblicisti di venezia e già collaboratore del Mattino di Padova. Ora scrivo per la Tribuna di Treviso. Potete seguirmi anche su Twitter: PolitinoF.
La mostra
Für Andrea Emo, alla Galerie Ropac, Parigi, –
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