Artista controverso e carismatico, negli ultimi quarant’anni della sua carriera, Joseph Beuys arrivò a proiettare la sua ombra molto lontano. Reso famoso da una serie di performance rituali pubbliche, promosse instancabilmente, la forza guaritrice dell’arte e la capacità di redenzione della creatività umana. Attraverso le sue attività artistiche, disegni, sculture, installazioni, vetrine e stampe, e di insegnamento, oltre a un fitto calendario di conferenze, l’autore propose l’arte come unica vera forza evoluzionistica e rivoluzionaria. Forza in grado di smantellare gli effetti repressivi di un sistema sociale senile che vacilla sul filo della morte.
I successi di Beuys, forse l’ultima figura genuinamente legata a una visione utopica dell’arte, sono sempre stati oggetto di dure contestazioni. Come tutti i suoi coetanei tedeschi, negli anni 30 divenne membro della gioventù hitleriana. Durante la Seconda guerra mondiale si arruolò nella Luftwaffe. Nel Marzo del 1944 il suo aereo Stuka Ju 87 Precipitò in Crimea. L’evento costituisce una sorta di mito fondativo della figura artistica di Joseph Beuys e le sue circostanze sono tuttora oggetto di molte speculazioni.
L’incidente aereo
Nel 1944, l’aereo di Beuys si schiantò in Crimea. Il pilota morì e l’artista rimase gravemente ferito. Quello che avvenne in seguito è oggetto di numerosi dibattiti e speculazioni. Beuys sosteneva di essere stato soccorso dai nomadi tartari che l’avrebbero portato al loro accampamento, avvolgendo il suo corpo in grasso di animale e feltro per mantenerne il calore e accudendolo fino alla guarigione. Non sei tedesco, gli avrebbero detto, sei un Tartaro, chiedendogli di restare con loro. Stando al suo resoconto, Beuys fu ricoverato in un ospedale da campo tedesco solo una decina di giorni dopo l’accaduto.
L’incidente quasi fatale e l’incontro ultraterreno con la comunità tribale hanno dato vita a una sorta di mito da cui emerge la peculiare identità artistica di Beuys. Per alcuni la vicenda rappresenta una convincente chiave di lettura per l’opera di Beuys. Per altri, invece, riflette il pericoloso rifiuto dell’autore di riconoscere il suo coinvolgimento nel passato nazista della Germania e la fuga dal trauma verso un mondo misterioso e primordiale. Qualunque sia la spiegazione, resta impossibile separare del tutto l’opera dell’artista dalla sua biografia, forse romanzata.
Dopo la guerra, Beuys si iscrisse alla Staatliche Kunstakademy di Dusseldorf e trascorse il suo tempo da studente leggendo moltissimo, passione che conservò anche in seguito. Assimilò così un’enorme varietà di idee artistiche e filosofiche, dalle scoperte multidisciplinari di Leonardo da Vinci, al pensiero dell’alchimista svizzero Paracelso. Studiò i testi degli scrittori romantici tedeschi Novalis e Friedrich Schiller, di Carl Jung, di Rudolph Steiner e infine di James Joyce.
Negli anni 50, tuttavia, conobbe grosse difficoltà dovute all’estrema povertà e all’insicurezza circa la sua arte, che lo portano a un crollo fisico e mentale. Beuys raggiunse il palcoscenico culturale nazionale e internazionale solo negli anni 60. Dopo una breve infatuazione per il movimento Fluxus, attuò una straordinaria serie di performance. In Come spiegare i quadri a una lepre morta, l’autore interpretò il ruolo caratteristico dello sciamano. Con la testa ricoperta di miele e oro e una barra di ferro legata al piede, trascorse tre ore cullando una lepre morta e sussurrandole all’orecchio una mescolanza di suoni gutturali e spiegazioni formali dei disegni appesi alle pareti della galleria.

Materiali inconsueti come grasso, feltro, miele, ferro e rame sono una presenza ricorrente nel vocabolario artistico di Beuys, che connota ogni elemento di particolare significato. Il miele, per esempio, è l’ambrosia prodotta dalla comunità di api, che Steiner considerava lo stato sociale ideale, fatto di calore e fratellanza. Beuys si interessò sempre più al legame tra arte e politica. Rinomato per lo slogan ogni uomo è un’artista, sostenne che la potenza della creatività umana può plasmare un’intera società come se fosse una gigantesca opera d’arte.
Questo concetto esteso all’arte implica il rifiuto deciso dei limiti e delle gerarchie convenzionali che regolano l’attività umana. Tutto è convogliato, attraverso il tempo e lo spazio, in un unico grande progetto, la scultura sociale. L’artista lottò instancabilmente per affermare le sue idee, tenendo lezioni in tutto il mondo e fondando organizzazioni politiche. La decisione di abolire i requisiti di ammissione ai suoi corsi all’Accademia di Dusseldorf fu duramente contestata e portò alla sua rimozione dall’incarico nel 1972. Alcuni consideravano preoccupante la sua visione utopica dell’arte e lo zelo quasi evangelico con cui descriveva i suoi lavori.
Dopotutto, gli artisti non sono a capo delle istituzioni nelle quali espongono le opere d’arte, e chi controlla tali strutture raramente aspira a ideali altrettanto alti. Ciononostante, Beuys ricevette considerevoli riconoscimenti internazionali, soprattutto dopo aver presentato le sue opere in una grande retrospettiva allestita a New York nel 1979. Che lo si ritenga uno sciamano o un mistificatore, un profeta eroico o un’idealista senza speranza, Beuys resta comunque una figura che ha contribuito a rimettere in discussione più volte la questione delle potenzialità dell’arte.
Plasmare un’opera d’arte è una metafora che sta per plasmare la società.
Joseph Beuys
C.C.
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