In un’intervista rilasciata alla storica Dorothy Gees Seckler nel 1969, Barnett Newman affermò che se i suoi quadri fossero stati realmente compresi, ciò sarebbe stato un segnale evidente della fine del capitalismo e totalitarismo. Per quanto oggi possa sembrare la tipica dichiarazione enfatica, condivisa da molti espressionisti astratti dell’epoca, le parole di Newman riflettono il livello e la portata dell’ambizione che l’artista manifestò con la sua pittura negli anni Cinquanta e Sessanta.
Nato a New York da genitori ebrei in fuga dalla Russia, Newman iniziò il suo percorso educativo alla Art Students League di New York. Le opere realizzate prima del 1950 erano tele sperimentali che preannunciavano il suo vocabolario formale, consolidato definitivamente nella prima metà di quello stesso decennio.

Barnett Newman pittore
Per fare un esempio, Abraham, dal titolo biblico e dall’aspetto austero, cupo e minaccioso, si sviluppa attorno a una colonna marrone scuro decentrata su un fondo di marrone leggermente più chiaro. In seguito, Newman sviluppo un’estetica molto personale, perfezionando gradualmente il rapporto tra figura e sfondo. In alcuni dipinti successivi, come profile of light, i due elementi divennero interscambiabili, al punto da creare immense distese di un unico colore, interrotte da una serie di cerniere, come l’artista le definì. Linee verticali che percorrono la tela in tutta la sua altezza.
Ad esempio, Vir Eroicus Sublimis, dipinto in occasione della sua prima mostra personale a New York, è una tela di circa 5 metri e mezzo di lunghezza, sulla quale compaiono cinque righe verticali o cerniere. L’effetto è quello di sentirsi avvolti da una distesa di colore, ma l’importanza delle cerniere è di orientare lo spettatore verso l’opera nella sua totalità, che per Newman andava percepita in termini trascendentali.

Sebbene il suo lavoro sembrasse in contraddizione con l’etichetta di Espressionismo astratto (cosa c’è di espressionistico in questi oggetti alquanto freddi, sparsi e distanti?), l’intento di un dipinto come Vir Heroicus Sublimis corrispondeva a quello di numerosi altri pittori attivi a New York in quell’epoca. L’unica differenza consisteva nel modo in cui ciascuno cercava di raggiungere lo stesso livello di indagine critica.
Barnett Newman scultore
Newman è noto soprattutto per i suoi immensi dipinti, ma non si può afferrare veramente la singolare natura del suo contributo artistico senza considerarne le sculture. Le sue tele si concentravano sul tema del difficile posizionamento della figura nello spazio. Newman proseguì l’analisi di questa primaria relazione in forma tridimensionale.

La sua opera più grande, Broken obelisk, rappresenta un obelisco rovesciato apparentemente spezzato, in appoggio sulla punta di una piramide. La sospensione precaria crea una forte tensione visiva, intrinsecamente dinamica, ma allo stesso tempo impregna l’opera di un assoluto equilibrio in senso più ampio. Questo lavoro riassume la produzione di Newman nella sua totalità: un’opera incentrata sull’acuta percezione visiva della nostra posizione nel mondo, sulla fragilità e sulla potenzialità del mondo stesso di essere qualcosa di diverso dalla somma delle sue parti.
Tra tutti gli espressionisti astratti, Newman fu forse il più influente e senz’altro uno dei più eloquenti. In una dichiarazione congiunta con Adolph Gottlieb e Mark Rothko, Newman nel 1943 affermò: “per noi, l’arte è un’avventura all’interno di un mondo sconosciuto, che può essere esplorato solo da coloro che non temono il rischio”. In un’intervista del 1962, Newman espresse il suo interesse per “la pienezza che deriva dalle emozioni, non solo per la loro esplosione iniziale, né per gli effetti collaterali, né per il bagliore che manifestano mentre si consumano”.
La nostra funzione come artisti è quella di far vedere allo spettatore il mondo a modo nostro e non a modo suo.
Barnett Newman
C.C.
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