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Arte cinese antica

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arte cinese
Vasi rituali cinesi

La civiltà e l’arte cinese è estremamente affascinante da studiare. Soprattutto perché ci ha lasciato delle splendide opere d’arte, a partire dalla preistoria e dall’epoca antica. L’Età del Bronzo in Cina ha visto svilupparsi una civiltà fondata da una serie di dinastie. Durante questo periodo fu scoperta la lega del bronzo, mescolando il rame con lo stagno. Inizialmente utilizzato per strumenti e armi, il bronzo fu poi impiegato anche per la realizzazione di vasi rituali che testimoniano la profonda spiritualità legata alla civiltà cinese. I cosiddetti ding, zun e gui erano varie tipologie di vasi rituali che caratterizzavano un ordine sociale ben preciso, rafforzato da cerimonie.

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Questi straordinari bronzi erano spesso modellati con forme animali, draghi e uccelli. Oltre a questo, sui vasi rituali veniva realizzata una maschera, un volto, chiamato taotie che, con il tempo, divenne sempre più astratto e allusivo. Un volto dagli occhi sporgenti, scolpiti in altorilievo ai lati di un naso stilizzato. I vasi rituali col tempo persero il loro significato e divennero simboli di ricchezza e prestigio. Inoltre il bronzo fu sostituito da altri materiali: la giada e il ferro. La giada in particolare è legata a un’altra antica forma artistica cinese.

arte cinese
Bi e cong

Gli ornamenti in giada

L’arte della scultura in giada nasce quasi 7 millenni fa sul delta del fiume Azzurro in Cina. Tra i primi oggetti scolpiti in questa pietra dura, che in Cina si trova abbondantemente in natura, c’erano i bi. Si tratta di dischi circolari con un foro al centro che si pensa rappresentassero il cielo. A questi si accompagnavano i cong, manufatti tubolari cavi che riproducevano la terra. La giada cinese piaceva molto per la sua purezza, la resistenza, la durata e lo splendore. Le sue tonalità vanno dal verde al bianco. Una pietra dura e fragile che per questo motivo era modellata con sabbia abrasiva, evitando di scolpirla con utensili metallici. I manufatti e i gioielli di giada simboleggiavano il ceto o lo status sociale ed erano collegati al concetto di gentiluomo. Tra gli oggetti più belli in giada troviamo le cinture, formate da dischi uniti tra loro. Splendido esempio di arte scultorea della Cina imperiale che con il tempo divenne simbolo di potere, autorità e ricchezza.

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C.C.

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Dittico Wilton

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dittico Wilton
Dittico Wilton

Il dittico Wilton è un’opera composta da due tavole di legno dipinte su entrambi i lati e unite da una cerniera a mo’ di libro. I dittici religiosi così realizzati potevano essere scolpiti o dipinti, di legno o di metallo ed erano usati come immagini portatili per la devozione e la preghiera privata. In particolare quest’opera fu realizzata per re Riccardo II, che regnò in Inghilterra dal 1377 al 1399, forse negli ultimi cinque anni del suo regno. L’artista che la realizzò è ad aggi sconosciuto e il nome Wilton deriva dal luogo dove fu conservato prima dell’acquisizione da parte della National Gallery. La Wilton House nel Wiltshire, sede dei Conti di Pembroke in Inghilterra.

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Un’opera straordinaria

È un’opera straordinaria per due motivi principali. Il primo è la rarità: pochissime opere di questo periodo sono sopravvissute alla distruzione di icone religiose che seguì l’esecuzione per decapitazione del cattolico re d’Inghilterra Carlo I nel XVII secolo. Il secondo è la grande abilità tecnica dimostrata dall’artista. L’oro è applicato con maestria e piccoli dettagli come le spille e le corone dei personaggi sono in rilievo. I due pannelli del dittico sono in legno di quercia, trasformati magistralmente dalla pittura in una visione celeste. Sulla tavola di sinistra vediamo Riccardo in ginocchio, dietro di lui tre santi. Il più vicino a Riccardo è il suo santo patrono, Giovanni Battista con l’agnello in braccio.

dittico Wilton
Retro del dittico Wilton

Dietro vediamo San Edoardo il Confessore con un anello tra le dita e San Edmondo con la freccia del suo martirio, entrambi re inglesi venerati come santi. Riccardo è presentato alla Madonna con il Bambino che si trova nel pannello di destra, accompagnata da undici angeli. Queste due parti, seppur divise, sono unite dagli sguardi e dai gesti delle figure che le animano. Sul retro delle tavole sono dipinti gli emblemi e i simboli personali di Riccardo II e della sua casata tra cui un cervo bianco incatenato, con una corona d’oro intorno al collo. Particolarmente preziosa è la cura dei dettagli, come nel mantello damascato del re, ricoperto di piccoli cervi dorati. Cervi che ritroviamo anche in versione bianca come spille appuntate agli angeli.

Osservate la cura con cui sono realizzate le piume nelle ali degli angeli o ancora il prato e i fiori ai piedi della Madonna che ci riporta alla mente il giardino del Paradiso. Un capolavoro che va ammirato in tutti i suoi particolari.

C.C.

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Marc Quinn: vita e opere in 10 punti

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Breve biografia della vita e delle opere di Marc Quinn, esponente della Young British Art. Nuovo video della serie artisti in 10 punti realizzato con lo scopo di farvi conoscere i protagonisti dell’arte. In questi brevi video avrete modo di conoscere in pochi minuti le caratteristiche principali, le curiosità e alcuni aspetti meno noti di molti artisti.

Marc Quinn, classe 1964, dopo aver studiato storia dell’arte a Cambridge e alla Slade School of Fine Art di Londra, incomincia a esporre alla fine degli anni Ottanta. Con il tempo è diventato l’artista forse più interessante della Young British Art. La Young British Art definisce un gruppo di artisti inglesi, fortemente pubblicizzati, attivi a partire dal 1980 circa. Molti di loro sono diventati famosi per le opere prodotte quanto per lo stile di vita sregolato. Non hanno formato un gruppo organizzato e le loro opere sono molto diverse, ma hanno un comune mecenate: Charles Saatchi.

Il video è anche sottotitolato in italiano, inglese, francese e spagnolo. Per i sottotitoli in lingua straniera puoi contribuire anche tu! Segui quindi la playlist “artisti in 10 punti” per non perderti mai nulla e lascia un commento sotto ai video in cui puoi tu stesso suggerirci opere oppure nuovi temi da trattare in futuro. Il tuo contributo quindi è prezioso. 😊

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Letture dal blog:

➡ www.artesplorando.it/2014/06/marc-quinn-e-la-yba.html

Letture consigliate:

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Buona lettura e buona visione!

C.C.

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Artesplorazioni: art brut

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Le Artesplorazioni sono una serie di video che vi guideranno tra i movimenti e i temi della storia dell’arte, rispondendo alle 5 domande: cosa, chi, dove, quando e perché. Oggi parliamo di … art brut!

Termine che sta a significare arte grezza, è stato coniato da Jean Dubuffet per indicare un’arte prodotta da persone al di fuori del mondo dell’arte ufficiale. Solitari, disadattati, pazienti di ospedali psichiatrici, detenuti ed emarginati di ogni tipo. L’ideatore del concetto di art brut è Jean Dubuffet, pittore, scultore, litografo e scrittore francese. Preferiva l’approssimazione spontanea all’abilità professionale ed era affascinato dai graffiti e da ciò che lui chiamò per l’appunto art brut. Ma sono molti altri i nomi legati a questo tipo d’arte. Solo per citarne alcuni: Adolf Wölfli, Ferdinand Cheval, Guerino Galzerano e Tarcisio Merati.

Il video è anche sottotitolato in italiano, inglese, francese e spagnolo. Per i sottotitoli in lingua straniera puoi contribuire anche tu! Segui quindi la playlist “artesplorazioni” per non perderti mai nulla e lascia un commento sotto ai video in cui puoi tu stesso suggerirci opere oppure nuovi temi da trattare in futuro. Il tuo contributo quindi è prezioso. 😊

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Letture consigliate18:

➡ L’art brut per FLAMMARION https://amzn.to/2JGo4qh

C.C.

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Arturo Martini: vita e opere in 10 punti

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Breve biografia della vita e delle opere di Arturo Martini, assiduo studioso della tradizione artistica italiana. Nuovo video della serie artisti in 10 punti realizzato con lo scopo di farvi conoscere i protagonisti dell’arte. In questi brevi video avrete modo di conoscere in pochi minuti le caratteristiche principali, le curiosità e alcuni aspetti meno noti di molti artisti.

Scultore italiano nato a Treviso nel 1889, Arturo Martini frequentò la Scuola della ceramica a Faenza, per poi studiare scultura nella città natale. A Venezia si iscrisse alla Scuola Libera del Nudo presso l’Accademia di Belle Arti. Nel 1909 soggiornò per un periodo a Monaco di Baviera, venendo in contatto con l’ambiente simbolista e secessionista. Tornato in Italia strinse amicizia con Gino Rossi, figura fondamentale per la sua crescita artistica, e si avvicinò al gruppo di giovani che periodicamente esponevano a Venezia, a Ca’ Pesaro. Al 1912 risale il suo primo viaggio a Parigi, dove frequentò Medardo Rosso e conobbe la scultura primitivista di Modigliani.

Il video è anche sottotitolato in italiano, inglese, francese e spagnolo. Per i sottotitoli in lingua straniera puoi contribuire anche tu! Segui quindi la playlist “artisti in 10 punti” per non perderti mai nulla e lascia un commento sotto ai video in cui puoi tu stesso suggerirci opere oppure nuovi temi da trattare in futuro. Il tuo contributo quindi è prezioso. 😊

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➡ www.artesplorando.it/2014/04/arturo-martini.html

Letture consigliate:

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Buona lettura e buona visione!

C.C.

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Donna seduta, Egon Schiele

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Donna seduta, Egon Schiele
Egon Schiele, Donna seduta

Ed eccoci a una nuova opera, donna sedutache voi stessi avete votato di più tra quelle dell’artista Egon Schiele, in occasione del sondaggio realizzato nella ➡community di Artesplorando su Facebook. Questo pittore fu influenzato dalle teorie sull’inconscio di Freud e di conseguenza le sue opere ci mostrano tutte le anche e le insicurezze di Egon. La tensione esasperata del suo stile lo rende uno dei maggiori rappresentanti dell’espressionismo, movimento con il quale però Schiele non si identificò mai esplicitamente. Come forse molti di voi sapranno questo artista morì d’influenza proprio nel momento in cui le sue opere iniziavano ad ottenere successo. Allo stesso tempo però possiamo dire che Egon Schiele era un personaggio “scomodo”, autore di opere segnate da un’esplicita carica erotica. Scomodo a tal punto che, accusato di essere un pittore di quadri osceni, conobbe perfino il carcere.

Protagonista di questo dipinto realizzato su carta con guazzo, acquerello e matita, è una giovane donna. Carica di energia nervosa, la modella di Schiele sembra fissarci dritto negli occhi, con uno sguardo e un atteggiamento carichi di erotismo. Il corpo è muscoloso, le mani contratte sulla caviglia, il collo contorto. Tutti elementi che contribuiscono a rendere inquietante quest’opera dalla struttura molto compatta. Un’inquietudine espressa con nuda brutalità, come dopotutto ritroviamo spesso nelle figure ritratte da Egon Schiele. I sentimenti umani più diversi sembrano traboccare dagli uomini e dalle donne raffigurati dall’artista e i corpi si contraggono quasi come se facessero fatica a contenerli.

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Ti è piaciuta l’opera? conoscevi già Egon Schiele? scrivimi tutto nei commenti e dai un’occhiata agli altri post sull’artista.

➡ Egon Schiele. Diario dal carcere http://amzn.to/2wvSy7Q
➡ Schiele. Disegni erotici http://amzn.to/2wvOHrm
➡ Ritratto d’artista http://amzn.to/2xiSXY9

C.C.

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Guido Cagnacci: il nudo travisato

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Guido Cagnacci. Allegoria del tempo. La vita umana).
Guido Cagnacci. Allegoria del tempo. La vita umana), 1650 circa

A Palazzo Mezzanotte a Milano, sede della Borsa, si può vedere fino al 31 luglio 2019 la Allegoria del tempo (La vita umana) di Guido Cagnacci uno dei maggiori talenti del Barocco italiano. Dipinto che di recente, incredibile ma vero, è stato bollato da Facebook come nudo pornografico scatenando la risentita protesta di Sgarbi: “Chi censura un capolavoro del genere degradandolo a pornografia è un cretino senza attenuanti”. Per accostarsi all’arte di Cagnacci bisogna ricordare che vive in pieno Seicento. Un secolo difficile per chi va controcorrente. Siano scienziati come Galilei per le sue concezioni astronomiche o artisti come Caravaggio osteggiato dall’ideologia controriformista per aver umanizzato il sacro.

Non meraviglia quindi il suo essere relegato nell’ombra. Inizialmente. Sfugge ai più, l’intrigante dialogo che Cagnacci riesce ad instaurare con gli altri pittori della sua epoca. Riuscendo a fondere il realismo di Caravaggio con l’idealismo di Guido Reni. Il modo rarefatto e sofisticato di affrontare la femminilità di quest’ultimo, con il marcato naturalismo del primo. L’influenza dell’arte veneziana porta l’artista romagnolo ad affrontare il tema del nudo femminile. E lo fa inserendolo in accattivanti immagini che trasudano  tragica e raffinata carnalità. Al contrario del nudo classico che è asettico. Anatomicamente perfetto. Dove erotismo e sensualità sono assenti. Ciò a cui mira, è la bellezza e l’eleganza della forma.

François Boucher, nudo disteso
François Boucher, nudo disteso

Un esempio per tutti. La metallica ideale nudità dei  Bronzi di Riace e il sovrumano equilibrio delle proporzioni. La stessa mancanza di eros la troviamo nella neoplatonica Venere del Botticelli. Così come non incitano all’eros, non c’è sensualità nei nudi michelangioleschi del Giudizio Universale. Nelle sue immagini un pube o un seno scoperto sono accostabili al disegno di una mano o di una gamba. Li vediamo ma non ci turbano. Bisogna arrivare a François Boucher, il pittore simbolo del tardobarocco, dove l’erotismo si manifesta senza ipocrisie. Con una precisazione. Più che raffigurare seni o fondoschiena  e come se ci invitasse alla visione di un nudo esibito. con quel tanto di malizia che non guasta.

Nell’allegoria di Cagnacci se c’è esibizione, è un’esibizione tragica, come accennato prima. Se un primo sguardo è attratto dalla corporeità statuaria della donna, le labbra carnose, le braccia tornite, i seni appuntiti, il bacino modellato, subito dopo  l’attenzione si rivolge al serpente, alla rosa dai petali leggerissimi, al soffione che un tocco debolissimo può disperdere. E poi alla destra del quadro, la clessidra il teschio la candela appena spenta. Elementi che richiamano l’inesorabilità del tempo. Il suo subdolo sotterraneo corrompere ogni illusione anche quando la bellezza dell’essere è al suo culmine. Anche quando la femminilità è al culmine dello splendore.

La mostra

Guido Cagnacci-Allegoria del tempo, Palazzo Mezzanotte, Milano, fino al 31 luglio 2019.

Fausto Politino

Laureato in filosofia, iscritto all’ordine dei pubblicisti di venezia e già collaboratore del Mattino di Padova. Ora scrivo per la Tribuna di Treviso. Potete seguirmi anche su Twitter: PolitinoF.

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L’assenzio, Edgar Degas

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assenzio
Edgar Degas, l’assenzio

Un velo di malinconia attraversa tutta l’arte di Edgar Degas che ritrasse spesso le ballerine, il teatro, il circo, le corse dei cavalli e i bar. Lo fece regalandoci sempre degli scorci di vita vera e moderna, con tutte le sfaccettature possibili, senza cercare di abbellire la realtà. Per alcuni contemporanei di Degas forse fu fin troppo schietto e moderno nelle sue opere. Nell’opera assenzio, il cui titolo originale è in un caffè, ritroviamo tutta la realtà e la malinconia del pittore. Pensate che quando l’opera fu esposta nel 1893 alla Grafton Gallery di Londra, fece un enorme scalpore. La bevanda molto alcolica che ha dato poi il titolo all’opera, rappresentava un terribile affronto alla morale vittoriana. Una prostituta e il suo compagno seduti in un bar dei bassifondi di Parigi, sono i protagonisti dell’opera. E potete ben capire come all’epoca non fossero proprio ritenuti i soggetti ideali per un dipinto. Da qui lo scandalo.

Un’istantanea di vita vera

Ad aumentare lo scalpore si aggiunsero le identità precise dei due soggetti rappresentati. Lei è l’attrice Ellen André e lui è l’artista bohèmien Marcellin Desboutin. Ma non tutti rimasero sconvolti negativamente. Altri infatti trovarono il quadro un capolavoro rivoluzionario. Ma cosa ci ha voluto comunicare Degas con quest’opera? Per alcuni è una riflessione sulla dipendenza dall’alcol. Dipendenza che sarebbe sottolineata dalle spalle ricurve e dallo sguardo vitreo della donna. Per altri è un momento di assorta intimità. Ad ogni modo è difficile crede che Degas ci volesse mettere in guardia dagli orrori dell’alcolismo. Forse più semplicemente si tratta di un’istantanea di vita moderna. Oggi, se fosse una foto, la inseriremo in un “photo-reportage” dei bassifondi di Parigi. E come un fotografo Degas dà forza alla composizione scegliendo una precisa inquadratura decentrata.

Ci sembra strana quella vasta area di spazio vuoto in primo piano, ma serve proprio a sottolineare i protagonisti del dipinto. Un espediente che l’artista usò spesso nelle sue opere. I toni sobri ed equilibrati con armonia e le ombre usate ad effetto rendono questo dipinto uno dei ritratti più efficaci e ben fatti di Degas. E in fondo quello sguardo assorto, perso nei pensieri, forse triste e malinconico, almeno una volta nella vita lo abbiamo avuto tutti. Magari proprio al tavolino di un bar, davanti a un bicchiere di assenzio.

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➡ Tutti i post dedicati all’artista
➡ Lettere e testimonianze http://amzn.to/2wrmUYZ 
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➡ Edgar Degas. La vita e l’opera http://amzn.to/2xdH7P1

C.C.

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Painting 1946, Francis Bacon

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Painting 1946
Francis Bacon, Painting 1946

Figure come quella di Francis Bacon rappresentano giganti dell’arte, senza tempo. A lungo considerato figura di spicco nell’Europa postbellica. La sua pittura a olio espressionista, con il colore applicato a pennellate perfette e potenti, lo collocano tra grandi artisti come Tiziano e RembrandtPainting 1946, che avremo modo di conoscere meglio in questo post, riassume bene lo stile dell’artista. Bacon, fatta eccezione per pochi disegni, si è dedicato esclusivamente alla pittura, costruendo uno stile unico. Ci turbano e affascinano le sue figure tormentate ritratte in pose di dolore e angoscia. In un’epoca in cui la pittura stava perdendo popolarità e vigore, l’artista introdusse un elemento di innovazione totale. Il sesso e l’omoerotismo furono due grandi fonti d’ispirazione per Bacon che in effetti fu una figura molto controversa.

Ma quali sono le caratteristiche del pittore? Per Bacon era fondamentale dipingere tele di grandi dimensioni, in cui i colori delicati e tenui delle sue tele grezze trasparivano ed emergevano in alcuni punti. Proprio come accade in quest’opera che fu acquistata dal MoMa grazie alla visione lungimirante di Alfred Barr. Qui ritroviamo tutti gli elementi che avrebbero ossessionato il pittore per il resto della vita. La testa staccata dal corpo, la carne nuda, l’ombrello aperto, la bocca spalancata, le corde penzolanti. Ma anche la struttura simile a una gabbia e il colore pastello dello sfondo. Un caos creativo che in effetti rispecchia lo stesso disordine del famoso studio al numero 7 di Reece Mews, a South Kensington.

Una curiosità: pare che quando Bacon vide il quadro esposto a New York, anni dopo averlo dipinto, non fu contento della sfumatura rose che aveva assunto il colore con il passare del tempo. Chiese allora ai curatori del museo di poterlo rimaneggiare, ma ovviamente glielo impedirono. In fondo molti artisti non sono mai soddisfatti del proprio lavoro e tornerebbero spesso a ridipingere la stessa opera. Alla ricerca della perfezione.

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➡ www.artesplorando.it/tag/francis-bacon
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➡ Le passioni di Francis Bacon http://amzn.to/2wgwMF6
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C.C.

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Friedrich Overbeck – Italia e Germania

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L‘audioquadro è un nuovo modo per conoscere i più grandi capolavori della storia dell’arte. In maniera semplice e in pochi minuti. Qui vi parlerò di Italia e Germania di Friedrich Overbeck. Un’opera in grado di raccontarci chi è questo artista e qual è il suo modo di fare arte.

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Qui vi voglio parlare di un artista, Friedrich Overbeck, discendente di una nobile famiglia di Lubecca e tra i fondatori della pittura romantica in Germania. Studiò l’arte italiana e tedesca del tardo medioevo e del Rinascimento, diventando insofferente verso gli insegnamenti accademici di Vienna, in cui aveva iniziato a frequentare nel 1806 l’Accademia appunto. Con l’amico Franz Pforr fondò il Lukasbund, la prima moderna associazione di artisti. La confraternita voleva riportare la pittura al suo rapporto diretto con la religione da un lato e con il lavoro artigianale dall’altro, rapporto che aveva caratterizzato l’arte medievale.

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Letture da Artesplorando blog:

➡ www.artesplorando.it/2015/08/romanticismi-la-cattedrale-di-salisbury.html

Il puzzle dell’opera:

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Karl Blechen – il ponte del diavolo

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L‘audioquadro è un nuovo modo per conoscere i più grandi capolavori della storia dell’arte. In maniera semplice e in pochi minuti. Qui vi parlerò di il ponte del diavolo di Karl Blechen. Un’opera in grado di raccontarci chi è questo artista e qual è il suo modo di fare arte.

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L’audioquadro di oggi è anche uno spunto per parlavi di Karl Blechen, pittore tedesco nato a Cottbus, figlio di Adrian Blechen e Mutter Johanna Christiana, appassionati di cultura e di arte. Lavorò inizialmente come impiegato in una banca berlinese. Nel 1822 però si iscrisse all’Accademia di Berlino e la sua vita cambiò decisamente. Tutto il suo percorso artistico si svolse tra il romanticismo e il realismo. Decisivo fu il viaggio fatto in Italia negli anni 1828/29. I moltissimi dipinti a olio eseguiti durante quel soggiorno lo caratterizzano come un autentico pittore en plei air.

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L’urlo, Edvard Munch

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L'urlo
Edvard Munch, l’urlo

Questa è una delle immagini dell’arte moderna che ci sono più familiari. L’urlo nacque da un tremendo attacco di panico che Edvard Munch ebbe nel 1892. Lo sappiamo con precisione perchè l’artista stesso descrisse le emozioni che lo scossero mentre passeggiava lungo un sentiero fuori Oslo.

Una sera camminavo lungo una strada con due amici. Su un lato c’era la città, sotto di me il fiordo. Ero stanco e malato (…) il sole stava tramontando e le nuvole erano rosse come sangue. Ho percepito un grido che squarciava la natura. Avendo la sensazione di sentirlo. Ho dipinto questa immagine, ho dipinto le nubi come sangue vero. I colori gridavano.

Munch fissò sulla tela questo momento di terrore, di panico. Rappresentò il grido percepito con una serie di linee ondulate che stringono in una morsa la figura al centro del dipinto. Il volto è un’immagine primitiva di paura e il corpo sembra prosciugato, schiacciato da questo urlo agghiacciante. Le mani sono premute sulle orecchie per non sentire nulla. La vita sembra irrimediabilmente lontana e perduta nei profili azzurrati delle barche e nella sagoma tenue del campanile. L’effetto drammatico è accentuato dalla presenza degli amici distaccati, lasciando intendere che il trauma è il frutto della mente del soggetto e non del mondo esterno.

Pur essendo legato al simbolismo, come dimostrano la ricerca di un’analogia tra suono e colore e la fluidità del segno, Munch seppe dare alla propria arte qualcosa in più. Un’intensità inedita cui guarderanno come a un modello i fauves e sopratutto gli espressionisti tedeschi. Questi ultimi in particolare erano uniti al maestro norvegese da una altrettanto tragica visione del vivere.

Scopri di più …

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➡ La mente spiegata da Edvard Munch. Psicoanalisi in dialogo con un artista http://amzn.to/2woe1jT

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Giorgio de Chirico: un’altra metafisica

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Giorgio de Chirico, l’enigma dell’oracolo, 1910

Voglio approfittare della mostra che Palazzo Reale di Milano dedica a Giorgio de Chirico. È mia intenzione entrare nel merito della rassegna il prossimo settembre. Nell’attesa cercherò di spiegare quali sono i fondamenti iconico/culturali della sua pittura. A partire dal 1909 i riferimenti ad Arnold Böcklin e a Max Klinger, con l’aiuto di figure mitologiche, sono il tramite per rappresentare ciò che di sorprendente, misterioso, si cela nella natura e nel mondo. E a porre le basi dell’arte metafisica: la pittura che implica l’ambito emotivo, intellettuale, filosofico.

L’artista è tale se riesce ad andare oltre l’apparenza. Oltre il vedere dell’uomo comune. Un oltre che capta intuitivamente e restituisce sulla tela con un elegante processo di rielaborazione delle immagini. Le figure mitologiche inserite nel paesaggio. I miti e i racconti legati al suo luogo d’origine, era nato a Volo, capitale della Tessaglia, nel 1888, gli danno la certezza che il mistero e il soprannaturale non bisogna cercarli fuori, al di là della terra, perché si trovano nella terra. Quindi De Chirico rovescia il significato del termine metafisica (metà ta physikà). In quanto lo spirituale è dentro le cose e non oltre le cose fisiche.

Giorgio de Chirico, l’enigma dell’arrivo e del pomeriggio

Nietzsche

Stimolato da una recensione letta sulla rivista luganese Coenobium, De Chirico scopre la filosofia di Nietzsche. In particolare, che le cose animate e inanimate, le idee, le opere d’arte, i monumenti hanno un’anima. Possiedono un certo linguaggio. Ma soprattutto la concezione del tempo. Tempo non più scandito tra gli attimi del passato, del presente, del futuro. Esiste solo il presente che deve essere vissuto come un attimo eterno che acquista un valore assoluto in cui l’uomo ha la libertà di volere e di decidere.

La lettura intensa delle opere maggiori di Nietzsche, favoriscono in De Chirico, nel 1909 tra Firenze e Roma, la consapevolezza delle prime rivelazioni. I luoghi gli edifici gli oggetti che vede, sono immagini che si trasfigurano. Che gli permettono di raffigurare l’essenza nascosta delle cose. Tra il 1909 e il 1910 crea i primi due quadri che determineranno lo stile della pittura metafisica: L’enigma dell’oracolo (1909) e L’enigma dell’arrivo e del pomeriggio (1911/12).

Le opere

Il misterioso soggetto del primo si rifà al mito omerico di Ulisse. L’eroe intellettuale. In De Chirico simboleggia la natura irrequieta dell’artista. Il suo nomadismo. Nessun risultato riesce ad appagarlo. Nessuna opera è l’ultima. La sua ricerca non conosce fine. Ciò che ci cattura osservando l’opera è l’ampia apertura sul paesaggio. L’attrazione del vuoto. Con la grande figura di spalle, a capo chino, ammantata, sul bordo del pavimento. Come se stesse per saltare. Perché l’artista è colui che sa accettare la sfida. In piena libertà. Guardare nel vuoto. Andare oltre la superficialità del quotidiano.

Ne L’Enigma dell’arrivo e del pomeriggio De Chirico affronta il tema dell’eterno presente. La struttura compositiva rivela una certa teatralità. Lo spazio è attraversato orizzontalmente da un muro di mattoni rossi. Si regge sulla contrapposizione tra luce e ombra. Fra il passato incarnato nel silenzio meditativo delle due figure poste sulla sommità della scacchiera e il futuro individuabile nella vela portata dal vento che lascia intuire un vitale movimento “là oltre il muro”.

La mostra

Giorgio de Chirico, Palazzo Reale, Milano, dal 25 settembre 2019.

Fausto Politino

Laureato in filosofia, iscritto all’ordine dei pubblicisti di venezia e già collaboratore del Mattino di Padova. Ora scrivo per la Tribuna di Treviso. Potete seguirmi anche su Twitter: PolitinoF.

Continua l’esplorazione …

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Guernica, Pablo Picasso

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Guernica
Guernica, Pablo Picasso

L’opera di maggior impegno politico del XX secolo è sicuramente Guernica. Questa tela di grandi dimensioni fu dipinta da Picasso nel 1937 in seguito alla distruzione dell’omonima città spagnola. Guernica ha anche il triste primato d’essere la prima città in assoluto ad aver subito un bombardamento aereo. Tutto cominciò nel luglio del 1936 quando prese il via la guerra civile spagnola nata come rivolta del generale Franco contro il governo repubblicano che aveva sostituito la monarchia spagnola nel 1931. Il 26 aprile 1936 i bombardieri tedeschi, inviati da Hitler in aiuto a Franco, devastarono la città di Guernica. Due giorni dopo Picasso iniziò il celebre dipinto raffigurante una scena di massacro e sofferenza in cui le donne e i bambini sono le principali vittime. L’opera fu dipinta in appena due mesi, ma ben 45 schizzi preparatori ne precedettero la realizzazione.

Un manifesto contro la guerra

Per il suo aperto contenuto antifascista Guernica è diventata un manifesto dell’arte impegnata del Novecento. L’artista scelse di rinunciare al colore affidandosi all’efficace contrasto tra bianco e nero nel rendere al massimo il senso di tragedia e di angoscia. La rappresentazione è semplice, lo schema è tagliente, lo spazio è annullato per permetterci la visione d’insieme di vari pezzi del racconto. Una madre disperata con un bambino tra le braccia; un toro simbolo di brutalità e potere; un soldato a terra con una spada spezzata; un cavallo, una donna che grida e corre, un’altra che regge una lampada. E poi lingue di fuoco che divorano una persona con le braccia sollevate al cielo.

Sono molte le opere a cui Picasso si ispirò nel realizzare Guernica, in un complesso gioco di citazioni. Dalla tradizione classica dei profili delle figure, a certi dettagli che richiamano l’arte del pittore tedesco Matthias Grünewald; dalla pittura di Raffaello a quella di Jacques-Louis David. Tutti questi diversi linguaggi vennero trasformati dal genio creativo di Picasso che fu particolarmente coinvolto a livello emotivo dall’avvenimento.

Una curiosità: il dipinto per tutta la durata della dittatura spagnola rimase in esilio al MoMa di New York per rientrare in patria solo nel 1982. Ed un arazzo che riproduce Guernica è esposto nel corridoio che conduce alla sala del Consiglio di Sicurezza dell’ONU a New York così ogni volta che i politici escono per rilasciare dichiarazioni alla stampa, l’arazzo è ben visibile proprio alle loro spalle. Tristemente, durante il periodo nel quale si discusse di un’ipotetica “guerra preventiva” in Iraq, l’arazzo venne coperto da un telo azzurro perché si ritenne poco appropriato farsi riprende con alle spalle il manifesto dello scempio della guerra.

Scopri di più

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Statens Museum for Kunst di Copenhagen

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Nuovo video della serie curata da Artesplorando, interamente dedicata ai musei e alla loro esplorazione. In questo approfondimento video scopriremo le 10 opere principali dello Statens Museum for Kunst di Copenhagen, selezionate secondo i miei gusti. Sarà come fare un viaggio virtuale nelle sale del museo con la mia voce a guidarvi.

Lo Statens Museum for Kunst di Copenhagen è la più importante collezione di pittura della Danimarca. Oltre all’incomparabile esposizione dell’arte danese c’è molto, molto altro da vedere. Di grande interesse è ad esempio l’imponente raccolta di pittura olandese del XVII secolo. Oltre a ciò in questo museo ci sono anche belle opere di altre scuole: ad esempio sia Matisse che Cranach sono ben rappresentati. Il museo vanta anche un’importante raccolta di stampe.

➡ Cornelis van Haarlem, la caduta dei titani, 1588-1590
➡ Gian Lorenzo Bernini, busto di Camilla Barbadori, 1619
➡ Cornelis Norbertus Gijsbrechts, retro di un dipinto, 1670
➡ Henri Matisse, ritratto di Madame Matisse. La striscia verde, 1905
➡ Lucas Cranach il Vecchio, malinconia, 1532
➡ Nicolai Abildgaard, Filottete ferito, 1775
➡ Andrea Mantegna, Cristo come Redentore sofferente, 1495-1500
➡ Peter Severin Kroyer, ragazzi che fanno il bagno a Skagen. Sera d’estate, 1899
➡ Vilhelm Hammershoi, interni a Strandgade luce del sole sul pavimento, 1901
➡ Lauirits Andersen Ring, la moglie dell’artista, 1897

Il video è sottotitolato in italiano, inglese, francese e spagnolo. Per i sottotitoli in lingua straniera puoi contribuire anche tu! Segui quindi la playlist “Al museo con Artesplorando” per non perderti mai nulla e lascia un commento sotto ai video in cui puoi tu stesso suggerirci opere oppure nuovi temi da trattare in futuro. Il tuo contributo è prezioso. 😊

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Buona visione e buona lettura!

C.C.

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10 momenti di arte e cinema

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Dieci momenti di arte e cinema, per vedere come la “settima arte” abbia tentato di raccontare l’universo artistico e i suoi protagonisti. Nuovo video della serie “10 momenti di …”, realizzato da Artesplorando con lo scopo di offrirvi dei punti di vista originali sull’arte.

10 spunti per 10 film che hanno raccontato il mondo dell’arte e i suoi protagonisti. Spesso i registi hanno attinto dalle storie dei più grandi protagonisti dell’arte per creare film dagli esiti di volta in volta diversi. E da questo punto di vista una cosa è chiara: non sempre sono riusciti bene! Diciamo che non è così semplice trasferire sul grande schermo le emozioni che un artista o un’opera in particolare ci trasmette, né coglierne a pieno lo spirito e il contesto storico-culturale.

Troverai un breve commento alle seguenti muse:
➡ Turner, diretto da Mike Leigh
➡ Frida, diretto da Julie Taymor
➡ Pollock, diretto da Ed Harris
➡ Surviving Picasso, diretto da James Ivory
➡ Love is the devil, diretto da John Maybury
➡ Il mio piede sinistro, diretto da Jim Sheridan
➡ Vincent e Theo, diretto da Robert Altman
➡ Artemisia passione estrema, diretto da Agnès Merlet
➡ La ragazza con l’orecchino di perla, diretto da Peter Webber
➡ Basquiat, diretto da Julian Schnabel

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Jean-Auguste-Dominique Ingres – il bagno turco

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L‘audioquadro è un nuovo modo per conoscere i più grandi capolavori della storia dell’arte. In maniera semplice e in pochi minuti. Qui vi parlerò del bagno turco di Jean Auguste Dominique Ingres. Un’opera in grado di raccontarci chi è questo artista e qual è il suo modo di fare arte.

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Con questo quadro di forma circolare, l’ormai ottantaduenne Ingres torna al soggetto delle bagnanti e delle odalische, a lungo coltivato nella giovinezza; in particolare l’artista rielabora un proprio dipinto del 1859. Il soggetto è ispirato alle descrizioni d’oriente, alle lettere di Lady Montagu sul bagno turco femminile e la descrizione dell’harem di Maometto, luoghi popolati da donne bellissime dalla pelle bianchissima e dalle forme piene e sensuali. Lady Montagu notava con stupore che, nonostante l’erotismo dei corpi, le dame nude dell’harem non esprimevano alcuna lascivia, e ogni loro gesto era piuttosto ispirato da un’ingenua innocenza.

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C.C.

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L’incantatrice di serpenti, Henri Rousseau

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L’incantatrice di serpenti, Henri Rousseau
Henri Rousseau, L’incantatrice di serpenti

Quest’opera misteriosa e a tratti inquietante fu commissionata a Henri Rousseau dalla madre del giovane pittore francese Robert Delaunay. La donna era solita intrattenere gli ospiti nel suo salotto ricco di piante esotiche dove spesso raccontava di un viaggio fatto in India. Ecco quindi spiegato il perché del soggetto dipinto. Rousseau, definito poi un pittore “naif” per la semplicità della sua tecnica, era autodidatta e si dedicò tardivamente alla pittura, conquistando però rapidamente l’ammirazione di molti artisti d’avanguardia. Questi apprezzarono in Rousseau la capacità di creare opere innocenti e primitive, ma soprattutto lo presero a esempio per ribadire come l’arte potesse svilupparsi ed esprimersi liberamente, al di fuori dai contesti accademici come potevano essere le mostre ufficiali o le scuole d’arte.

Il pittore infatti lavorava alla dogana di Parigi e non aveva mai frequentato un’accademia d’arte e il massimo d’ambiente esotico da lui visitato era l’orto botanico parigino. Quindi la forza di Rousseau stava nell’immaginazione, nella fantasia che gli permisero di creare tele di grande suggestione. Quello davanti a voi è un esempio eclatante del potere dell’artista. Protagonista dell’opera è un’indigena con i capelli lunghi e sciolti, gli occhi accesi e un flauto con cui incanta i serpenti. In un primo momento non ce ne rendiamo conto, ma grazie alla luce del chiaro di luna cominciamo a distinguere i serpenti quasi mimetizzati fra i rami e la vegetazione. Uno di loro è intorno al collo della donna, un altro è attorcigliato a un ramo.

Ma non sono gli unici animali presenti: vediamo anche diversi uccelli tra le foglie degli alberi e uno a fianco dell’incantatrice, forse un fenicottero. Alle spalle della scena un fiume o un lago e oltre la massa scura e misteriosa della foresta tropicale. Tutto è immobile, le pennellate sono dense e vanno a definire in maniera precisa ogni singola foglia, fiore o ramo. L’atmosfera è quella di un sogno o di una poesia, densa anche di ambiguità. Chi è la misteriosa figura in ombra al centro del quadro? È davvero solo un’indigena o vuole riportarci alla mente Eva nel giardino dell’Eden mentre incanta un serpente che risulta spaventoso.

Questa donna sembra stregare la natura o eseguire uno strano maleficio che blocca tutto in un inquietante silenzio. Non è un caso che pittori surrealisti come Dalì o Magritte, amanti del sogno e dell’inconscio, guarderanno all’opera di Rousseau con ammirazione per l’universo fantastico che seppe sempre evocare.

Continua l’esplorazione

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C.C.

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Nuova vita per l’annunciazione di Beato Angelico

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Beato Angelico, Annunciazione
Beato Angelico, Annunciazione

Il Prado a Madrid compie duecento anni. Il Museo spagnolo festeggia l’importante ricorrenza con l’esposizione Fra Beato Angelico and the rise of the Florentine Renaissance. Aperta fino al 15 settembre 2019. La mostra ha il suo focus nell’Annunciazione e cacciata di Adamo ed Eva dall’Eden (1425/26) di Giovanni da Fiesole, il frate domenicano più noto come Beato Angelico. L’opera oggetto di un attento restauro ha riacquistato il primitivo splendore cromatico. Ed è considerata la prima pala d’altare fiorentina in stile rinascimentale, che rispetta gli studi prospettici di Brunelleschi. L’artista cioè ha voluto far coesistere l’impianto prospettico e il rilievo dato ai personaggi, con l’estetica medievale ancorata alla finalità didattica dell’arte e alla luce nella sua essenza mistica.

Donatello, Madonna con Bambino in trono
Donatello, Madonna con Bambino in trono

Il percorso prevede inoltre la presenza di Masaccio, Filippo Lippi, Ghiberti, Donatello e lo stesso Brunelleschi. I protagonisti, in altre parole, del primissimo Rinascimento a Firenze, tra il 1420 e il 1430. Di Donatello vorrei segnalare la bellissima scultura in terracotta, Madonna con Bambino in trono, proveniente da Prato. Un’edicola classica. Probabilmente destinata ad una devozione privata. Le figure dei protagonisti sembrano uscire dalla rigidità dello schema. Manifestano infatti un’evidente dinamicità: nel flessuoso panneggio della veste della Madonna e nel naturalissimo gesto del Bambino che accarezza il seno della Madre. Fonte e sostegno, in tutti i sensi, del suo esistere.

Un tema ripreso più volte da Beato Angelico

L’Annunciazione è un tema ripreso più volte dal Beato Angelico. Impostandolo sul concetto di humiliatione della Vergine. L’istante in cui Maria, umile e mansueta, incrocia le braccia sul petto, reclina la testa lievemente, abbandona la lettura del su libro, ed è pronta ad accogliere l’annuncio dell’arcangelo Gabriele. La rappresentazione sacra è arricchita da uno splendente giardino pieno di fiori. Con i due progenitori, Adamo ed Eva, appena allontanati dal Paradiso. In evidente contrasto con la funzione della Vergine, la nuova Eva, che ci riscatta dal peccato originale.

Da sottolineare l’accuratezza nella raffigurazione delle piante e dei fiori, un’attenzione ai particolari da miniatura tardogotica, che riflettono la tipicità medievale degli erbari. È possibile riconoscere e decodificare la simbologia di alcune piante: la rosa bianca rimanda alla purezza. Quella rossa alla passione di Cristo. La palma è l’albero che vuole indicare la gloria dopo la morte e il martirio.

La mostra

Fra Beato Angelico and the rise of the Florentine Renaissance, Il Prado, Madrid, fino al 15 settembre 2019.

Fausto Politino

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Ex Africa: il valore universale dell’arte africana

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Ex AfricaFinalmente una mostra che conferma come i tempi siano cambiati e come sia arrivato il momento di sfatare miti, luoghi comuni e pregiudizi sull’arte africana. E per giunta proprio nella mia città! È ciò che fa Ex Africa, storie e identità di un’arte africana, a Bologna al Museo Civico Archeologico fino all’8 settembre 2019. In un’epoca di conflitti e di molte incertezze, com’è quella in cui ci troviamo ora, fa bene alla mente e al cuore una mostra illuminata come questa. Una mostra che non si avvicina più alle opere africane come se si trattasse di documenti etnografici o manufatti artigianali, ma semplicemente e finalmente come opere d’arte. Si tratta della più ampia esposizione sull’arte africana mai organizzata in Italia e già solo questo potrebbe bastare a convincervi dell’importanza di visitarla. Ma è solo uno dei suoi aspetti eccezionali.

L’esposizione ci conduce alla scoperta e riscoperta dell’arte africana attraverso 9 sezioni ricche di veri e propri capolavori. In queste passiamo dall’osservare opere di grande e piccola dimensione, a oggetti antichi di celebri regni africani. Ammiriamo maschere, figure rituali e oggetti di potere. Rimaniamo stupiti di fronte alla maestria di alcuni di questi artisti e ci sorprende l’estetica del vodu, con il suo accumulo di materiali e oggetti. Nella mostra di Bologna però c’è anche il rapporto tra Occidente e Africa, il collezionismo e le prime influenze che l’arte africana ha avuto su quella occidentale, a partire dal XX secolo. Infine possiamo saggiare perfino alcuni tra i più importanti artisti contemporanei africani, le cui opere chiudono questo splendido percorso.

Ex Africa
Olifante da caccia, manifattura Africa occidentale, Sierra Leone

Le opere che mi hanno colpito di più

Personalmente sono tre le sezioni che mi hanno colpito più delle altre, per le opere presentate e per il punto di vista che mi hanno offerto. La prima sezione che mi ha veramente lasciato a bocca aperta è quella dedicata agli avori afro-portoghesi. Qui troverete una selezione di raffinate opere antiche commissionate ad artisti africani dai navigatori portoghesi, a partire dalla metà del XV secolo. Sono veri e propri oggetti ibridi che mescolano culture molo diverse tra loro. Saliere, cucchiai, impugnature per daghe, pissidi e olifanti: tutte opere destinate alle collezioni dei principi d’occidente. Sono meraviglie che resero uniche le cosiddette wunderkammer europee, dalla fine del rinascimento fino all’inizio del barocco.

Ex Africa
Testa di Oni con corona, Ife, quartiere di Wunmonije

La seconda sezione che mi ha completamente rapito è quella dedicata all’arte di corte e al Benin. In questa stanza sono esposti alcuni bronzi provenienti dalla città stato di Ife. Straordinari capolavori che gli esploratori europei dei primi del Novecento attribuirono alla mano di un artista greco, un Fidia dell’Equatore. Questo perchè non si riteneva potesse esistere un’arte africana di livello stilistico e tecnico così elevati.

Infine sono molto contento che la mostra Ex Africa abbia dedicato una sezione che ci apre gli occhi sul fatto che nel XX secolo l’arte Europea guardò con molto interesse all’Africa. Si trattò di un dialogo straordinario tra la cultura artistica occidentale e la cultura visiva africana. In particolare gli artisti delle avanguardie storiche attinsero nuova linfa e ispirazione dalle forme arcaiche dell’arte africana e dal loro valore spirituale e simbolico. Fauves e cubisti a Parigi, espressionisti a Berlino e Dresda, scoprirono che in quelle manifestazioni provenienti dall’Africa erano celate tutte le loro ricerche rivoluzionarie. Artisti come Picasso, Matisse, Klee e kirchner, arrivarono perfino a decretare la superiorità dell’arte africana su quella occidentale.

Ex Africa
Man Ray, Noir et Blanche, 1926

Una mostra da non perdere

Prodotta e organizzata da CMS cultura e ben allestita dallo studio di architetti Pierluigi Molteni, Ex Africa è una mostra che vuole mettere sotto una nuova luce l’arte africana. Non più considerata come espressione di “una civiltà inferiore”, ma il frutto del genio creativo di straordinari artisti.
Tutte le info sulla mostra (orari di apertura, biglietti, visite guidate, offerta didattica) le trovate al sito www.mostrafrica.it.

C.C.

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