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Canaletto, riva degli Schiavoni, veduta verso est |
A partire dalla fine del Settecento il termine "veduta", si sostituì a quello di "prospettiva" per definire un genere pittorico consistente nella raffigurazione topografica realistica, secondo rigorosi principi prospettici. La parola derivava dalla terminologia della prospettiva e dell’ottica, in cui veduta equivale a "punto dove batte la vista" e quindi indica quanto è compreso nel campo della piramide visiva. Il termine "prospettiva" nel Seicento gradualmente coincise con quello di veduta e assunse il significato più specifico di "visione della realtà topografica organizzata secondo regole determinate".
Benché la veduta, come genere autonomo, si definisca solo negli ultimi decenni del Seicento, essa trovò però i suoi precedenti in episodi legati alla pittura di paesaggio nella prima metà del secolo, e addirittura nel Cinquecento. Delle anticipazioni di questo genere le troviamo nei disegni eseguiti a Roma nel quarto decennio del Cinquecento dall'olandese Martin van Heemskerck e, nella seconda metà del secolo, da altri artisti nordici di passaggio nella città eterna. Queste raffigurazioni dei luoghi più significativi della scena romana si caratterizzano per un preciso intento documentario e descrittivo che è all'origine della moderna veduta. Sono però immagini quasi sempre riprese da punti di vista rialzati e senza alcun rispetto dei rapporti metrici e proporzionali: per queste caratteristiche si legano piuttosto alla tradizione della cartografia.
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Martin van Heemskerck, la basilica di San Pietro in costruzione |
Se l’impaginazione del paesaggio adottata da Brill trova poi uno sviluppo nella veduta a soggetto italianizzante di Willem van Nieulandt e in quella più tarda di Pieter van Bredael, nella pittura di paesaggio fiorita a Roma tra terzo e quarto decennio del Seicento si ritrovarono gli intenti realistici e le inclinazioni all'origine di questo genere. In particolare Bartholomaeus Breenbergh e Cornelis Poelenburgh, attivi a Roma negli anni Venti, produssero principalmente paesaggi con rovine antiche. Alle intenzioni puramente descrittive che avevano animato gli artisti nordici del Cinquecento si sostituì una visione inedita e in qualche modo romantica della città e della campagna romana, di cui viene sottolineata la continuità, ma insieme il contrasto, tra le vestigia dello splendido passato e gli aspetti più umili della città moderna.
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Hermann Swanevelt, Veduta di Campo Vaccino, 1631 |
L’intento realistico trovò spazio però soprattutto nella produzione grafica di Breenbergh e, con soggetti più legati al problema delle origini della veduta, nei disegni eseguiti a Roma da Andries e Jan Both verso la fine degli anni Trenta e in quelli poco più tardi di Thomas Wijck, questi ultimi dedicati agli aspetti più dimessi e insieme pittoreschi di una Roma "minore".
È comunque nell’ambito dei paesisti nordici attivi a Roma nella prima metà del Seicento che ritroviamo una delle più antiche vedute prospettiche della città, vale a dire la Veduta di Campo Vaccino dipinta da Hermann Swanevelt nel 1631, su cui si appoggia l’analoga veduta di Claude Lorrain, eseguita nel 1636.
È ancora in un episodio minore della pittura romana degli anni Trenta che manifestò, con caratteri più specifici e sistematici, un diretto antecedente della veduta. In particolare nella produzione di Willem Baur sicuramente attivo a Roma durante il quarto decennio del Seicento e interessato alla raffigurazione degli aspetti più tipici della Roma antica e moderna. Le sue vedute, realizzate solitamente a tempera e in piccole dimensioni, destinate con ogni probabilità a viaggiatori di passaggio a Roma, si distinguono per la scrupolosa esattezza di dettaglio e per essere riprese da un punto di vista leggermente più alto del piano di terra. Tali caratteristiche aprono senza dubbio la strada alla veduta intesa come genere autonomo.
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Viviano Codazzi, veduta architettonica, 1627 |
Si possono ricordare come esemplari di quest’atteggiamento nei confronti della realtà urbana, riprodotta senza il filtro, la Veduta di Palazzo Gravina a Napoli e quella della Torre di San Vincenzo a Napoli, in cui l’intima verità dei luoghi è restituita grazie a una nuova attenzione per i valori luminosi e chiaroscurali. Anche le vedute eseguite a Roma dal Codazzi e aventi come oggetto i monumenti antichi cui si erano a lungo ispirati gli artisti oltremontani si caratterizzano per la novità dell’inquadratura e la tendenza a documentare aspetti inediti della scena romana esattamente inseriti nel loro contesto topografico.
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Gennaro Greco, capriccio architettonico. |
È infatti il capriccio, cioè quel genere di raffigurazione topografica che riproduce luoghi e monumenti reali accostati fuori da ogni verosimiglianza di contesto, e ad essi accompagna architetture d’invenzione, conobbe notevole fortuna sia in Italia, che in Olanda, grazie ai paesisti italianizzanti. Tra questi Johannes Lingelbach, attivo ad Amsterdam dopo il 1650, Anton Goubau, operoso ad Anversa fino alla fine del secolo, e Pieter van Bredael, attivo nella stessa città ancora all'inizio del Settecento.
La loro produzione era senza dubbio indirizzata a un gruppo di amatori nordici che inseguiva un’idea generale dell’Italia e in particolare di Roma nei suoi aspetti antichi e moderni, senza alcuna preoccupazione di esattezza o verosimiglianza. Si moltiplicarono così, ad opera di artisti che avevano visitato brevemente l’Italia ma che si appoggiavano più probabilmente a incisioni, ampie vedute di soggetto genericamente italianizzante, quasi sempre animate da episodi che fanno riferimento al repertorio della bambocciata.
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Gaspar van Wittel, veduta di Piazza del Popolo Roma, 1678 |
Tra il 1680 e il 1685 l’artista elaborò i principi di visione utilizzati nelle sue vedute e stabilì, attraverso disegni, i soggetti, i motivi e i punti di vista delle sue vedute romane. Ricordato dal Lanzi come il "pittore della Roma moderna", van Wittel respinse infatti l’interesse esclusivo per l’antico e il pittoresco che aveva distinto gli italianizzanti e l’immagine ideale ed evocativa della città che essi avevano perseguito, ricercandone invece gli aspetti più attuali. Benché egli replicasse senza sostanziali modifiche le vedute di uno stesso luogo, lo scrupolo realistico lo portava ad aggiornarle raffigurando gli edifici di nuova costruzione e dunque con la registrazione di tutti i mutamenti della città. Accanto alle vedute di soggetto romano, tra cui spicca per assoluta novità di ispirazione la serie dedicata al Tevere e alle sue rive, van Wittel non mancò di eseguirne altre raffiguranti le ville di Frascati, e paesi laziali quali Tivoli, Ronciglione e Caprarola.
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Disegni e vedute datate documentano i viaggi dell’artista a Venezia, Bologna e Firenze; prima del 1702 fu invitato a Napoli dal viceré spagnolo che si proponeva di documentare le proprie iniziative urbanistiche attraverso le vedute vanvitelliane. I dipinti di soggetto napoletano del van Wittel, tra cui la Veduta del Largo di Palazzo e quelle raffiguranti laDarsena delle galere, replicate anche in anni successivi, aprirono la strada al vedutismo napoletano che si sviluppò però solo nella seconda metà del Settecento e attraverso il filtro della scuola vedutistica veneziana. Tra i pittori di vedute attivi a Napoli si ricorda innanzi tutto il modenese Antonio Joli, formatosi a Roma e poi a Venezia nell’ambiente canalettiano, attivo a Napoli anche come scenografo a partire dal 1662, dopo un primo soggiorno nel 1659 a cui risalgono le sue Vedute di Paestum.
Lavorarono a Napoli anche i minori Gabriele Ricciardelli (attivo fra il 1740 e il 1780) e Pietro Fabris (documentato dal 1756 al 1792) e, con interessi più paesistici, Carlo Bonavia, documentato con opere datate dal 1755 al 1788. Di particolare rilevanza per lo sviluppo del vedutismo napoletano, stimolato nella seconda metà del secolo anche dalla recente scoperta dei templi di Paestum, l’ambiente illuminista e cosmopolita riunitosi intorno all’ambasciatore inglese Sir William Hamilton, e le sue iniziative tra cui la pubblicazione, nel 1776 e nel 1779, dei Campi Phlegraei, illustrato da incisioni acquerellate tratte da tempere di Pietro Fabris. Alla sua cerchia appartennero anche il minore Cristoforo Kniep (1755-1825) e Philipp Hackert; nella sua attività di pittore di corte a Napoli quest’ultimo eseguì tra il 1789 e il 1793 una serie di vedute dei porti del Regno di Napoli.
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Antonio Joli, la processione reale alla Chiesa di Santa Maria di Piedigrotta, 1770 |
Il vedutismo settecentesco si identificò però soprattutto con la scuola veneziana e con l’opera del Canaletto che ne diede la più geniale e moderna interpretazione; e ancora con il più giovane Luca Carlevarijs, con Michele Marieschi (1710-44) e Bernardo Bellotto, quest’ultimo attivo principalmente a Dresda e a Varsavia. Le vicende della loro committenza danno la misura della dimensione europea raggiunta dalla scuola vedutistica veneziana e rendono ragione della straordinaria novità delle vedute di soggetto inglese del Canaletto e ancor più di quelle di Dresda e di Pirna del Bellotto che, tese a documentare l’espansione di città moderne, si liberano delle convenzioni classiciste che, almeno dal punto di vista tematico, condizionavano la veduta di soggetto italiano e, più specificamente, romano.
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Francesco Guardi, gondole sulla laguna |
Ma questa è un'altra storia!
Questo post si avvale di contributi bibliografici vari che potete consultare qui
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