Quantcast
Channel: Artesplorando
Viewing all 966 articles
Browse latest View live

Adorazione dei Magi, Jan Gossaert

$
0
0

Questa grande tavola fu realizzata come pala d'altare per la cappella della Madonna nell’abbazia di San Adrian, a Geraardsbergen, nei pressi di Bruxelles. Fu commissionata da un nobile locale, Daniel van Boechout, che doveva essere sepolto proprio nell’abbazia. Al centro dell’opera vediamo la Madonna con il bambino e in ginocchio re Gaspare, il più anziano dei Magi, che ha appoggiato davanti a Gesù scettro e corona. Re Melchiorre si trova in secondo piano dietro a Gaspare con un seguito di attendenti in attesa di potersi avvicinare per portare il suo dono, la mirra. Baldassare invece si trova sulla sinistra, raffigurato come un giovane dalla pelle scura che offre con devozione il recipiente con l'incenso.

L’artista si è firmato sia sul bordo del copricapo di quest’ultimo, sia sul collare indossato dal suo assistente.  San Giuseppe, vestito di rosso e appoggiato al bastone, resta in disparte insieme al bue e all’asino, alzando lo sguardo al cielo. Vicino a Giuseppe un personaggio fa capolino da un’apertura nel muro di mattoni rossi, proprio sopra la testa del bue, forse si tratta dell’autoritratto del pittore. In primo piano, sul pavimento sconnesso, vediamo due cani, simbolo di fedeltà e alcune pianticelle selvatiche. La colomba, simbolo dello Spirito Santo, scende verso Gesù bambino dalla stella brillante che vediamo nel cielo. Gli angeli accorrono e si avvicinano da una grande distanza passando attraverso una serie di archi e dando alla scena uno spettacolare senso di spazio e profondità.

Se ti piace il blog, seguilo anche su Facebook! 👇👇👌

Tutti i personaggi sono inseriti su uno sfondo di antiche rovine, molto probabilmente ricordi del viaggio del pittore in Italia e simbolo della decadenza della civiltà antica, restaurata e rinnovata dalla venuta di Gesù Cristo. In lontananza si intravedono le armate di re Erode che presto metteranno in fuga la sacra Famiglia. Il paesaggio sfuma all’orizzonte con diversi edifici fantasiosi.
Gossaert ha utilizzato un colore brillante e una cura quasi maniacale nel realizzare tanti dettagli preziosi, rendendo il dipinto elegante e sofisticato. Notate le ali degli angeli con il loro delicato piumaggio, o la soffice resa dei capelli delle figure che indossano sontuosi costumi realizzati con tessuti pregiati. I doni presentati dai re sono elaborati prodotti di oreficeria e riflettono il design contemporaneo. La descrizione minuziosa dei prodotti più lussuosi realizzati da tessitori, pellicciai, ricamatori, sarti, cappellai e calzolai, diventa una vera e propria immagine pubblicitaria del livello qualitativo raggiunto dalle botteghe manifatturiere dei Paesi Bassi.

Questo post si avvale di contributi bibliografici vari che potete consultare qui


Autoritratto con camicia ricamata, Rembrandt

$
0
0

La pittura per Rembrandt fu la sua vita stessa, esaltatane da giovane, ricca negli anni del successo, malinconica dopo il fallimento finanziario conseguente alla sua avidità collezionistica; e i numerosissimi autoritratti che fece nel corso della sua carriera artistica sono una straordinaria testimonianza delle diverse fasi che il pittore attraversò.
Questo dipinto è strettamente legato a un autoritratto realizzato da Rembrandt con la tecnica dell’incisione nel corso dell'anno precedente, il 1639.

In entrambi i casi la composizione dell’opera è influenzata da altri ritratti del passato: una posa simile la ritroviamo nel Ritratto di Baldassarre Castiglione di Raffaello, oggi al Louvre, o nel Ritratto di Ariosto realizzato da Tiziano e anch’esso conservato alla National Gallery di Londra, o nell’Autoritratto con fiore d'eringio di Albrecht Dürer, esposto al Prado di Madrid.

Se ti piace il blog, seguilo anche su Facebook! 👇👇👌

Il ritratto ci mostra un Rembrandt a 34 anni, al culmine della sua carriera, che si presenta a noi in posa, indossando un elaborato vestito che rispecchia la moda del XVI secolo. L’artista ci guarda con un’espressione soddisfatta e sicura, in grado di trasmettere tutta la fierezza di un pittore emergente, giovane e ambizioso. Sembra infatti che Rembrandt, riferendosi deliberatamente ai suoi celebri predecessori, voglia porsi come continuatore della grande tradizione dei vecchi maestri. L’artista quindi si paragona idealmente a maestri italiani del calibro di Raffaello e Tiziano ma, a differenza dei pittori rinascimentali, qui Rembrandt usa una gamma di colori molto ristretta, in linea con il gusto dell’Olanda puritana d’allora.

L'incisione del 1639
Ma osserviamo attentamente la tela: l’artista si raffigura di tre quarti, con un braccio appoggiato a quello che potrebbe essere un davanzale o una balaustra. Proprio su questo supporto ritroviamo la firma e la data: "REMBRANDT 1640 conterfeycel", dove la parola "conterfeycel"è un termine olandese arcaico che significa ritratto. Il colore è steso con grande cura, in modo uniforme, per cui non distinguiamo le pennellate. Dall’insieme omogeneo e scuro dell’opera, emerge il volto del pittore, quasi come se fosse illuminato da un faretto. In questo punto il marrone e il nero che dominano la tela, lasciano il posto al rosa chiaro dell’incarnato e al rosso delle labbra. Grande attenzione è riservata alla resa delle diverse consistenze dei tessuti: dal colletto di pelliccia, al cotone della camicia, al velluto della manica.
Tutto concorre a restituirci un’immagine di consapevolezza di sé, con la sicurezza e la spavalderia che molte persone in gioventù avranno provato almeno una volta.

Continua l'esplorazione

→ Rembrandt van Rijn e il Secolo d’oro
→ Paesaggi - paesaggio in tempesta
→ Rembrandt van Rijn grande ritrattista
→ L'autoritratto

Questo post si avvale di contributi bibliografici vari che potete consultare qui

La Venere di Milo

$
0
0

La Venere di Milo venne scoperta da un contadino nel 1820 sull'isola di Melos, Milo in greco moderno, nelle Cicladi sud-occidentali. L’opera fu poi confiscata da alcuni militari turchi, fino a che un ufficiale della marina francese, Olivier Voutier, ne distinse il valore e, grazie alla mediazione del Marchese di Rivière, ambasciatore francese presso gli ottomani, riuscì a concluderne l'acquisto.  Il Marchese de Rivière la donò al re di Francia Luigi XVIII, che a sua volta regalò la statua al Louvre.

L’opera è composta principalmente da due blocchi di marmo a cui si aggiungono parti scolpite separatamente, poi fissate con sostegni verticali, come il busto, le gambe, il braccio e il piede sinistro. Si tratta di una tecnica abbastanza comune nel mondo greco. La dea originariamente indossava gioielli tra cui un bracciale, due orecchini, e una fascia di cui restano solo i fori di fissaggio ed era inoltre impreziosita da una superficie dipinta.

Se ti piace il blog, seguilo anche su G+ 👇👇😊


La statua è ancora oggi avvolta nel mistero. I pezzi mancanti e l’assenza di simboli hanno reso la sua identificazione molto difficile. La si è immaginata appoggiata a una colonna, sulla spalla di Ares, dio della guerra, o con diversi oggetti. A seconda che tenesse un arco o un'anfora, possiamo pensare ad Artemide, dea della caccia o a Danae, figura della mitologia greca. Principalmente però si propende per Afrodite, dea della bellezza, a causa della semi-nudità e delle sensuali curve femminili. Forse teneva in mano una corona, uno scudo, o uno specchio in cui si ammirava riflessa. Tuttavia potrebbe anche essere la dea del mare Anfitrite, molto venerata proprio sull'isola di Milo.


Difficile da collocare con precisione nel tempo, la Venere di Milo fa rivivere di fronte a noi la tradizione classica: l'aria di distacco della dea, l'armonia e l’impassibilità del suo viso ne sono una prova. La composizione a spirale, lo sviluppo della figura nello spazio tridimensionale, e il corpo allungato sono tutte caratteristiche però tipiche dell’ellenismo, periodo storico-culturale che si pone al termine della civiltà greca classica, nel I secolo a.C.
Una statua straordinaria che seppe influenzare artisti di tutte le epoche: la ritroviamo ad esempio nella figura della Libertà che guida il popolo nel celebre dipinto di Delacroix. O ancora nel film The Dreamers di Bernardo Bertolucci in cui la protagonista femminile appare con guanti neri su uno sfondo nero che, per effetto ottico, sembra cancellarle le braccia.

Questo post si avvale di contributi bibliografici vari che potete consultare qui

Collezionisti, critici e mercanti #4

$
0
0
Gheorghe de Bellio
Quarto appuntamento che ci porta alla scoperta dei più importanti collezionisti, critici e mercanti della storia dell'arte. Gli altri post li potete leggere seguendo il link →Collezionisti, critici e mercanti, ma oggi proseguiamo nella nostra esplorazione conoscendo nuove illustri personalità. A volte può capitare che la medesima persona sia collezionista, critico e mercante allo stesso tempo, mentre il più delle volte questi tre ruoli non coincidono. Comunque sia queste persone ci fanno capire quanto l'arte sia legata a uomini e donne lungimiranti, disposti a investire anche ingenti somme sulla cultura, sostenendo gli artisti e collezionandone le opere.

Gheorghe de Bellio 

Gheorghe de Bellio nacque a Bucarest nel 1828, anche se molto presto si trasferì in Francia. Stabilitosi a Parigi, acquistò il suo primo quadro impressionista, un Monet, il 13 gennaio 1874. In breve tempo si legò personalmente agli impressionisti e in maniera particolare a Monet, Renoir e Pissarro, spesso aiutandoli  e raccogliendo una notevole collezione delle loro opere. Dal 1883 partecipò alle cene impressioniste del caffè Riche insieme a Monet, Pissarro, Renoir, Sisley, Caillebotte, Duret, Mirbeau e Mallarmé, e fu intimamente coinvolto nell’evoluzione del gruppo.
Donop de Monchy, marito di Victorine de Bellio, figlia del collezionista, redasse un parziale inventario delle opere ereditate dal suocero e lasciate al Museo Marmottan di Parigi.

Robert Henry Benson ritratto da John Singer Sargent

Robert Henry Benson

Robert Henry Benson, vissuto tra Ottocento e Novecento, fu un banchiere che costituì una notevole collezione: 114 dipinti italiani del XIV e XV secolo, alcuni quadri inglesi, principalmente ritratti del XVIII secolo e un piccolo paesaggio di Gainsborough, nonché opere del XIX secolo. La sezione italiana di questa preziosa collezione comprendeva quattro pannelli della Maestà di Duccio, l’Ultima comunione di san Girolamo di Botticelli, alcune Madonne di Crivelli, Antonello da Messina e Signorelli, San Girolamo e una Sacra conversazione di Bellini, la Sacra Famiglia di Giorgione e molto altro ancora. Tale collezione venne venduta in blocco a Duveen nel 1927, ma per la maggior parte, dopo esser passata attraverso diverse collezioni private, entrò a fasi successive nei grandi musei americani.

Paul Bérard ritratto da Renoir

Paul Bérard

Diplomatico di carriera vissuto nella seconda metà dell'Ottocento, si mise a collezionare prima del 1880 opere degli impressionisti. Nella sua dimora parigina in rue Pigalle, nonché nella sua proprietà di Wargemont presso Dieppe, accoglieva spesso questi artisti e in particolare Renoir, che, facendo il suo ritratto e quelli di sua moglie e dei suoi bambini, realizzò alcuni dei propri capolavori.
Il fratello Edouard, amministratore di società, ordinò anch’egli ritratti a Renoir, in particolare quelli
dei propri figli. Da vivo, Paul Bérard aveva comunicato il proprio intento di far mettere pubblicamente all’asta la sua collezione, ma i 36 quadri venduti l’8 e 9 maggio 1905 alla Galleria Petit non ne comprendevano alcune tra le tele più belle. Il nipote di Paul, Maurice, ha proseguito la tradizione familiare dedicandosi per lunghi anni allo sviluppo di associazioni culturali e raccogliendo una collezione eclettica di pittura francese dal XVII al XX secolo.

Se ti piace il blog, seguilo anche su Twitter 👇👇😊


Jean de France, duca di Berry

Mecenate francese vissuto tra Trecento e Quattrocento, fu uno dei più grandi del suo tempo; era il terzo figlio del re di Francia Giovanni il Buono. Poco portato per l’attività politica, dedicò la sua lunga vita a collezionare tesori d’arte di ogni specie, in particolare manoscritti miniati, che raccoglieva per eredità, per dono o per acquisto, e soprattutto facendone eseguire appositamente. Come collezionista, seppe riunire alcuni tra i manoscritti più rappresentativi delle principali
tendenze artistiche del XIV secolo per la maggior parte appartenuti al fratello Carlo V. Come committente, fece lavorare i massimi miniatori contemporanei, Beauneveu, Jacquemart de Hesdin, i fratelli Limbourg e vari artisti anonimi, rimasti noti col nome di "pittori del duca di Berry". I Libri d’ore eseguiti per lui durante i suoi quarant’anni di mecenatismo sono esemplari del percorso della pittura francese del suo tempo.

Il cardinale Bessarione

Il cardinale Bessarione

Vissuto nel Quattrocento, fu al servizio di Giovanni VIII di Costantinopoli, con il quale partecipò al concilio di Ferrara, sostenendo la necessità dell’unione tra la chiesa d’Oriente e quella d'Occidente. Si stabilì a Roma nel 1443, dopo che vi era stato nominato cardinale prete della basilica dei SS. Apostoli. Si distinse nel promuovere gli studi riorganizzando l’università di Bologna e proteggendo umanisti italiani come Pomponio Leto, Lorenzo Valla e Flavio Biondo, e dotti greci come Giorgio da
Trebisonda e Michele Apostolis. Bessarione inoltre possedeva una straordinaria biblioteca, che lasciò in dono alla Repubblica di Venezia: essa formò il primo nucleo della libreria Marciana costruita
appositamente nel 1537. Venne sepolto nella tomba che egli stesso si era fatto costruire ed affrescare nella basilica dei SS. Apostoli a Roma.

Questo post si avvale di contributi bibliografici vari che potete consultare qui

Gli amanti in blu, Marc Chagall

$
0
0

Ed eccoci a una nuova opera che voi stessi avete votato di più tra quelle dell'artista di origine russa, ma francese d'adozione, Marc Chagall, in occasione del sondaggio realizzato nella →community di Artesplorando su Facebook. Chagall produsse moltissime opere: dipinti, illustrazioni, vetrate, scenografie e costumi per il teatro, un vero artista a 360°. La sua creatività traeva origine dai ricordi di vita ebraica (Marc proveniva da una famiglia ebrea) e dal folklore dei suoi primi anni in Russia, e dalla Bibbia. 
Per arrivare a parlare di questo dipinto, Gli amanti in blu, occorre parlare di Bella Rosenfeld, la donna che Marc sposò nel 1915 e che rappresentò non solo il suo più grande amore, ma anche una musa. Di Bella, che morì prematuramente, ne parlai in un post di qualche tempo fa → Bella Rosenfeld: grande amore e musa di Chagall. Durante gli anni felici del loro fidanzamento, Chagall realizzò una serie di opere in cui il tema trattato era l'amore come rivelazione poetica, un viaggio attraverso un mondo onirico, sensuale e avvolgente.

Se ti piace il blog, seguilo anche su G+ 👇👇😊



Ne Gli amanti in blu, realizzato nel 1914, Marc e Bella sono raffigurati con i volti appoggiati l'uno all'altro, fissati in un istante in cui entrambi non sono persone riconoscibili, ma diventano un simbolo del sentimento puro, immerso in un'atmosfera da sogno. Bella è la figura posta frontalmente a noi di cui vediamo anche una mano guantata con la quale avvicina a se l'amato per stampargli un bacio allo stesso tempo dolce e sicuro sul lato delle labbra. Marc è di profilo, lo distinguiamo anche dai riccioli, ha una corona d'alloro tra i capelli e la mano dell'amata premuta contro una guancia. Gli occhi sono chiusi, quasi a voler assaporare il momento e la luna rischiara i corpi di entrambi gli amanti, immersi in un blu vibrante che sembra abbracciarli. 


E' commovente vedere come Chagall non avesse problemi nel mostrarsi completamente arreso all'amore, esposto e fragile, trattenuto con passione da Bella che ci appare più forte e sicura di Marc. Ma poco importa perché ci pensa la notte a cullare gli amanti e a dar loro quella profonda intimità che di rado due persone riescono a raggiungere. Marc e Bella l'avevano raggiunta e questa splendida opera lo dimostra.

Continua l'esplorazione


Questo post si avvale di contributi bibliografici vari che potete consultare qui

La bagnante di Valpinçon, Jean-Auguste-Dominique Ingres

$
0
0
un dettaglio dell'opera
Questo dipinto, noto anche come La grande bagnante, fu realizzato da Jean-Auguste-Dominique Ingres nel 1808 ed è probabilmente fra i più noti del pittore. Si tratta di un quadro a olio su tela delle dimensioni di 146 per 97 centimetri, oggi conservato al Louvre di Parigi. L’opera venne ideata ed eseguita dal pittore durante il suo soggiorno a Roma presso l’accademia di Francia ed è per questo che in basso a sinistra si legge: "Ingres. Rome 1808". Sono qui evidenti le influenze sull’artista francese dei pittori del rinascimento italiano, soprattutto di Raffaello, dal quale adottò le linee eleganti e armoniose che caratterizzano il nudo femminile che osserviamo.

La bagnante ebbe molte critiche dal mondo accademico, ma un grande successo da parte del pubblico e fu subito acquistata dal conte Jean Rapp, tramite la mediazione del pittore francese Pascal Simon Gérard, della cui collezione fece parte fino al 1822.  Poco più tardi fu acquistata al prezzo di 400 franchi, dalla famiglia Valpinçon, da cui derivò poi il nome del dipinto. Ma le traversie non finiscono qui: in seguito il dipinto passò di proprietà alla famiglia Pereire, da cui giunse nel 1879 al prezzo di 60.000 franchi, all’attuale Museo del Louvre.


Ma osserviamo con attenzione il dipinto: possiamo notare al centro di esso una donna completamente nuda con il volto celato che siede di spalle sul bordo di un letto. Ha una specie di turbante in testa che le raccoglie i capelli scuri. Il bianco lenzuolo che ricade verso terra, termina con un prezioso bordo ricamato e una frangia. Tra la tenda a sinistra e le gambe della donna intravediamo una vasca in cui un piccolo getto sta riversando dell’acqua. La linea di contorno del corpo è perfetta e crea curve armoniose definendo una bellezza assoluta, classica. Il corpo della donna, racchiuso per intero da una linea di contorno marcata, è costituito da una superficie di colore puro che quasi non modella le forme e le ombre.

Se ti piace il blog, metti un like alla pagina Facebook 👇👇👀

La luce si diffonde morbidamente creando lievi effetti di chiaro scuro e raggiunge il punto di massima intensità sui tessuti drappeggiati e sul turbante a righe rosse. Lo spazio pittorico è essenziale, dolcemente definito dalle linee verticali della tenda verde ricca di pieghe e da quelle orizzontali del letto e della vasca. La tavolozza dei colori risulta molto sobria, costituita da modulazioni di verdi e di grigi che avvolgono delicatamente la pelle lattiginosa della donna che ci appare morbida e liscia.  Eliminato qualsiasi elemento decorativo inutile, diventa vera protagonista dell’opera la schiena nuda della bagnante, collocata in uno spazio pittorico essenziale. Questo nudo risente del gusto estetico e formale del suo tempo per la tensione tra i poli estremi di sensualità e neoclassica freddezza. L’immagine è perfettamente racchiusa dalle linee verticali della tenda e da quelle orizzontali del letto e della vasca.

un dettaglio dell'opera
Ma chi è la donna raffigurata nel dipinto? qual è il tema che vuole rappresentare? Qui è richiesta una piccola riflessione sulla società e sull’epoca nella quale Ingres si trovò a lavorare. L’immaginario collettivo dell’Ottocento era rimasto molto colpito dai racconti sull’Impero Ottomano. Un impero turco che si estendeva dalle periferie di Vienna e della Polonia a nord fino allo Yemen e all'Eritrea a sud; dall'Algeria a ovest fino all'Azerbaigian a est, controllando gran parte dei Balcani, del Vicino Oriente e del Nordafrica. A capo di questo vasto regno stava il sultano che viveva all’interno di un sontuoso palazzo in cui era collocato l’harem. In questo luogo vivevano le mogli del sultano, le concubine e tutte le donne della corte tra cui le celebri odalische. Queste giovani fanciulle vergini facevano da cameriere ai gradini più alti, quelli delle concubine e infine delle mogli del sultano. Se erano brave a ballare, a suonare diversi strumenti e graziose nei modi e nell’aspetto fisico, potevano essere notate dal sultano e diventare concubine o mogli, salendo la scala sociale.

Jean-Auguste-Dominique Ingres, Bagno turco
L’odalisca elegante e svelta sarà al centro delle fantasie erotiche dei borghesi europei per tutto l’Ottocento, arrivando fino all’arte di Henri Matisse. Quando si parla di nudo artistico quindi è normale trovare questo tipo di soggetto: la bagnate odalisca che magari in un momento di relax sta preparandosi un bagno oppure che sta attendendo l’arrivo del sultano. Ed ecco quindi svelata la figura di spalle raffigurata da Ingres in questo dipinto. Qui l’artista riuscì a riassumere la sua passione per Raffaello e i turbanti che l’artista italiano metteva in testa alle sue modelle, unita al classicismo e all’erotismo che l’evocazione dell’odalisca immancabilmente provocava nel pubblico d’allora. Lentamente il gusto per l’esotico, per le terre lontane, diventerà uno dei temi principali per fuggire dalla realtà concreta in un mondo in cui la rivoluzione industriale stava cambiando tutto.

Henri Matisse, odalisca con le magnolie 
La tela fin dall’inizio divise la critica che, analizzando il corpo della giovane donna rappresentata, vi trovò numerosi difetti anatomici. Nonostante ciò queste imperfezioni erano funzionali alla creazione di un’immagine di perfetta bellezza. Ingres fu tra i massimi interpreti del nudo femminile e nel corso della sua vita tornò diverse volte sul tema della bagnante, creando immagini allo stesso tempo erotiche e distaccate. L’artista in precedenza aveva dipinto altri nudi femminili, ma questo lavoro è ampiamente considerato come il suo primo grande capolavoro nel genere.
Charles Baudelaire, celebre scrittore e poeta francese, descrisse la bagnante parlando di "profonda voluttuosità", anche se per molti versi si presenta principalmente casta. Questa contraddizione è evidente in molti elementi dell’opera. La curva del collo, i contorni della schiena e le gambe sono accentuati dalla tenda verde, dal telo bianco che fa da sfondo di fronte alla donna e dalle pieghe delle lenzuola.

un dettaglio dell'opera
Tuttavia questi elementi sono contrastati dal tono freddo con cui la carne è resa, oltre che da dettagli come l'elegante marmo nero a sinistra della bagnante. Commentando la capacità di Ingres nel dipingere il corpo umano in un modo unico, il critico d'arte Robert Rosenblum scrisse che "l'effetto finale della bagnante è una magica sospensione del tempo e del movimento, anche delle leggi di gravità ... la figura sembra galleggiare senza peso sulle lisce superfici, esercitando solo una delicata pressione, e le aspettative gravitazionali date dalle forme generose della donna, sono sorprendentemente smentite."
Come nelle altre opere dell’artista anche nella Bagnante di Valpinçon, Ingres, persegue l’idea di una pittura lineare, elegante e armoniosa, capace di compiacere a sé stessa. L’audacia della scelta di raffigurare un unico nudo femminile di spalle ne è la testimonianza: come avvenne per l’arte di Ingres, la donna raffigurata non ha bisogno di ricambiare lo sguardo del pubblico, si compiace soltanto nel sentirsi osservata e ammirata.

Continua l'esplorazione

Romanticismi - il bagno turco
→ Jean-Auguste-Dominique Ingres ritrattista

Questo post si avvale di contributi bibliografici vari che potete consultare qui

Il trittico del Giardino delle Delizie, Hieronymus Bosch

$
0
0

Questo straordinario trittico costituisce forse l’apice nell’arte di Hieronymus Bosch, delle sue invenzioni e della sua straordinaria immaginazione. Come dice la parola stessa, "trittico", l’opera si divide in tre pannelli: uno centrale più largo e due laterali più stretti. I due scomparti laterali inoltre si posso chiudere su quello centrale, esattamente come due ante di una finestra, rivelando una quarta immagine che raramente viene mostrata, raffigurante il terzo giorno della creazione del mondo. Ad ante aperte, davanti ai nostri occhi sconcertati, si delinea una rappresentazione ricchissima che spazia dalla creazione dei progenitori, passando per il giardino delle delizie, fino a scendere all’inferno. Insomma una vera macchina figurativa che non conosce rivali.

Nel pannello di sinistra sullo sfondo di un rigoglioso Paradiso terrestre popolato da splendide creature, Dio presenta Eva al cospetto di Adamo. Lui appena svegliato dal sonno osserva la compagna, generata da una sua costola, con un’espressione di vera sorpresa. Dio è rappresentato più giovane del solito, più simile in effetti alle immagini di Gesù. La scena brulica di animali tra i quali scorgiamo creature reali, come la giraffa, l’elefante, la lepre, delle scimmie e così via, ma anche creature inventate, come l’unicorno. Le piante presenti sono le più disparate e sicuramente attirerà la vostra attenzione un curioso albero alle spalle di Adamo, noto come "dracena". Forse vi dirà poco il nome, ma in realtà la versione arbusto di quest’albero è chiamata "tronchetto della felicità" ed è molto frequente nei salotti e negli uffici come pianta da interno. Al centro del fantastico paesaggio, ricco di fauna e flora, vediamo infine un laghetto dal quale emerge una splendida fontana della vita.

Se ti piace il blog, seguilo anche su Twitter! 👇👇💛


La parte centrale del trittico raffigura un finto Paradiso che inganna i sensi, un giardino delle delizie dedicato al peccato e alla lussuria. Qui Bosch ha incluso un gran numero di figure umane nude, con l'eccezione della coppia in basso a destra, identificata come Adamo ed Eva dopo la cacciata dal Paradiso. Uomini e donne sono divisi in gruppi o coppie, intenti a consumare relazioni amorose di varia natura. L’artista colloca al centro di un grande parco un ammasso di fanciulle e intorno ad esse un largo cerchio di cavalieri che ruota in senso antiorario. In primo piano un gruppo di uomini e donne nudi si divertono, godendo della presenza di uccelli, piante e compagni dell’altro sesso.

Il pannello di sinistra
Gli animali rappresentati sono molto più grandi della realtà e tra questi Bosch sottolinea in particolare due diversi tipi di gufo che evocano il male: questi uccelli, ai due estremi laterali del pannello, dirigono i loro sguardi inquietanti verso di noi. Sono presenti anche piante e frutta, raffigurate molto più grandi rispetto alle dimensioni reali, con connotazioni erotiche e riferimenti allegorici agli organi sessuali. In contrasto con la confusione che prevale in primo piano, la geometria si impone invece sullo sfondo, attraverso costruzioni architettoniche fantastiche. Vediamo fontane e padiglioni intorno a un lago che si spinge fino all’orizzonte, mentre a destra e a sinistra alcune misteriose figure alate spiccano il volo.

Il pannello centrale
Il pannello di destra raffigura un inferno musicale, dalla presenza degli strumenti usati per torturare i peccatori che hanno dedicato il loro tempo alla musica profana. Qui tutti i peccati capitali sono puniti: gli avari vengono divorati e immediatamente espulsi dall'ano di una creatura con la testa di un uccello, seduta su una specie di trono-gabinetto. I golosi sono castigati nella taverna al centro del dipinto, situata all'interno dell'albero-uomo, in attesa d’essere serviti da rospi, diavoli e altre creature sgradevoli. Gli invidiosi invece sono torturati per immersione in acqua ghiacciata. La curiosa taverna-uomo al centro dello scomparto ha il torso a forma di uovo, la parte inferiore del corpo formata da tronchi d’albero marci e i piedi appoggiati su barche. In questa parte del trittico Bosch descrive la trasformazione dell’uomo in bestia come meritato castigo al vizio e alla depravazione. Il pittore qui si sofferma come mai prima sulle punizioni dei peccatori, raggiungendo un vertice nella descrizione pittorica delle cose più disgustose e inquietanti. Insomma un vero guazzabuglio infernale che ancora oggi incute paura e affascina allo stesso tempo.

Il pannello di destra
Sul retro delle ante, visibile sono quando il trittico è chiuso, Bosch dipinse la creazione del mondo, racchiusa in un globo cristallino e vista come il terzo giorno della creazione descritto nel libro della Genesi, quando le acque furono separate dalla terra. Questa immagine è realizzata con la tecnica del "grisaille" che utilizza solo i toni del grigio, creando dipinti monocromi.
Le tre scene dipinte sulla faccia interna del trittico, quella normalmente esposta al pubblico, hanno fatto nascere le più svariate e anche assurde teorie per spiegare il perché delle immagini rappresentate. Quella più attendibile e ragionevole individua come filo conduttore dei tra pannelli il peccato. In breve possiamo dire che l’intera opera costituisce una predica moraleggiante contro i piaceri della carne e che descrive l’umanità come perduta nel peccato.

Il trittico con le ante chiuse
Si passa infatti dalla nascita del peccato originale, a sinistra, alla fine del peccato punito all’inferno a destra, passando per il pannello centrale in cui domina la lussuria. Visti i molti dettagli e le allegorie spesso indecifrabili, siamo portati a pensare che questo trittico non fosse ideato per una chiesa, dove sarebbe stato esposto al popolo, ma per un mecenate laico e intellettuale. Purtroppo non conosciamo né il committente né le traversie che portarono l’opera in Spagna, nella collezione dell’Escorial nel 1595, per poi finire in tempi più recenti al museo del Prado dove oggi è esposta. Lo stato di conservazione del dipinto non è buono a causa di puliture troppo aggressive che hanno appiattito molti particolari e figure, ma nonostante ciò la sua visione d’insieme è ancora stupefacente.


Di fronte a opere come questa siamo portati a pensare, fino a che punto può spingersi l’immaginazione umana? Hieronymus Bosch qui mescola tradizioni popolari e citazioni bibliche, diavoli e paradisi, incubi e nanetti, esseri mitologici e animali fantastici. Tutto si incrocia e si mescola, creando un universo visivo senza precedenti. E anche se noi persone moderne, nella maggioranza dei casi, non ci facciamo più condizionare da superstizioni, morali e leggende, rimaniamo estasiati da ciò che è stato in grado di produrre il pennello di un pittore che non si mosse mai dalla sua piccola città del nord Europa.

Continua l'esplorazione

→ Paesaggi - il Paradiso del trittico delle delizie

Questo post si avvale di contributi bibliografici vari che potete consultare qui

Il Giudizio Universale, Michelangelo

$
0
0

L’ultimo progetto decorativo della Cappella Sistina fu intrapreso nel 1536, quando Michelangelo, ormai sessantenne, iniziò a dipingere sulla parete di fondo dell’enorme ambiente il Giudizio Universale. L’artista si recò a Roma, per stabilirvisi fino alla morte, su invito di papa Clemente VII. Il papa nell’ultimo periodo del suo difficile pontificato, diede all’artista questo importante incarico, confermato dal successore Paolo III Farnese. Michelangelo tornò così alla pittura dopo più di vent’anni dalla realizzazione degli affreschi della volta della stessa cappella.

La grandiosa rappresentazione del Giudizio Universale lo impegnò dal 1536 al 1541, segnando un cambiamento decisivo rispetto alla tendenza decorativa ancora visibile negli affreschi della volta. Nel realizzare il monumentale dipinto di 200 metri quadrati, Michelangelo abbandonò lo schema utilizzato nella volta in cui architettura, pittura e scultura erano sintetizzati. Nel Giudizio Universale la sola architettura è quella dei corpi degli esseri umani, imponenti, eroici e impegnati in un movimento convulso e continuo.

Se ti piace il blog, metti un like alla pagina Facebook 👇👇💛


L’immensa parete della Sistina perde ogni consistenza strutturale e si apre in un cielo infinito, di un azzurro intenso, privo di ogni riferimento spaziale, ma animato da una catena di impulsi dinamici inarrestabili. Le figure si addensano in gruppi tra loro estranei, ma allo stesso tempo uniti nel movimento rotatorio, vorticoso, prodotto dall’ascensione, a sinistra, dei risorti, e dal precipitare, a destra, dei dannati. Al centro di tutto vediamo un Cristo terribile, vigoroso, quasi scultoreo che, con il
gesto perentorio e potente del braccio destro sollevato, sembra comandare una sentenza eterna e inappellabile. L’assemblea di santi e patriarchi, apostoli e martiri si dispone intorno a questo Cristo Giudice severo, di fronte al quale anche la stessa Madonna, alle sue spalle, sembra indietreggiare impaurita.


Fra i santi si riconoscono i maestosi Pietro e Paolo e, davanti a Cristo, sulla destra, san Bartolomeo con la pelle, simbolo del suo martirio, che nasconde un angoscioso autoritratto di Michelangelo. Nella raffigurazione della pelle scorticata e ormai senza vita si nasconde un pensiero che attraversa tutto il Giudizio: l’anima sopravvive al corpo come l’opera d’arte sopravvive all’uomo. Nella fascia centrale sono rappresentati coloro che, dopo essere stati giudicati, ascendo al Cielo o cadono all’Inferno. In fondo all’affresco infuria una lotta scatenata tra diavoli e angeli che si contendono le anime. Appena sopra all’altare compare la barca di Caronte, che batte con il remo i dannati giunti all’Inferno. Al centro in basso un gruppo di angeli suonano le trombe per richiamare in vita i morti: l’arcangelo Michele, sulla sinistra, tiene un registro in cui sono scritti i nomi degli eletti.

Michelangelo, il Giudizio Universale
Nel realizzare l’immensa scena del Giudizio Universale Michelangelo aumentò le dimensioni dei personaggi collocati nella parte alta dell’affresco. Usò questa licenza poetica non tanto per compensare la riduzione prospettica dal basso verso l’alto, quanto invece per sconvolgere la staticità degli equilibri e darci l’impressione che questa massa di corpi ci stia precipitando addosso. Questo
senso di squilibrio e precarietà viene accentuato dall’estrema varietà degli atteggiamenti e del dinamismo delle singole figure. Abbiamo di fronte a noi un infinito campionario di posizioni e atteggiamenti che il corpo umano possa mai assumere, rappresentati secondo diversi e molteplici effetti di scorcio. Al corpo umano viene dato un ruolo fondamentale, alla sua nudità è attribuito un valore primordiale, eliminando ogni ricerca di perfezione formale.


Michelangelo rinunciò anche alla ricca gamma di colori presenti sulla volta, usando solo due
toni: il bruno dei corpi e l’azzurro del cielo, generando un’impressione di austerità. L’opera venne inaugurata nel 1541 alla vigilia del giorno di Ognissanti. Sia durante l’esecuzione, sia alla fine del lavoro le immagini suscitarono accuse di immoralità da parte di molte persone. La situazione, resa ancora più grave dal clima sviluppatosi con il Concilio di Trento e dalla conseguente Controriforma,
portò alla copertura delle nudità dei personaggi, considerate oscene. Nel 1564 venne dato incarico a Daniele da Volterra, allievo di Michelangelo, di dipingere drappi sopra le parti intime delle figure: da allora lo sventurato artista venne ricordato come il "Braghettone", per le braghe che dovette realizzare.


Nel recente restauro compiuto sugli affreschi si è deciso di mantenere, come testimonianza storica, i ritocchi dell’allievo e di rimuovere tutte le aggiunte successive, per permettere di godere appieno della bellezza espressiva del Giudizio. Questo straordinario affresco esprime una visione tragica della condizione e del destino dell’umanità, che non nasconde la propria paura di fronte all’ultima sentenza divina. L’opera si fa quindi perfetta interprete della tensione spirituale in quegli anni del Cinquecento. Anni di contrasto tra luterani e cattolici, riformatori e controriformatori. Anni di lotte religiose in cui più che mai si fece strada, tra gli animi sensibili come quello di Michelangelo, l’esigenza di un’unità e di una chiesa universale. Con quest’ultima impresa michelangiolesca si conclusero i cicli decorativi della Cappella Sistina che ad oggi, al di là delle credenze religiose, resta un luogo magico dove pare che il sacro e l’inconoscibile prenda corpo e forma.


Continua l'esplorazione

→ Michelangelo

Questo post si avvale di contributi bibliografici vari che potete consultare qui

Quick Museum e l'arte in tasca

$
0
0
In questo post non vi parlerò di una qualche opera o movimento artistico, né di un museo o di una mostra. Vi parlerò invece di come potete portarvi l'arte direttamente in tasca. Perché Artesplorando ha contribuito e partecipa alla realizzazione di un’app che guida i visitatori attraverso i principali musei europei, in un modo nuovo e coinvolgente, grazie a percorsi personalizzati, quiz e storie raccontate con un linguaggio semplice e alla portata di tutti.
Si tratta di Quick Museum. Certo voi direte "ancora un'altra app come ce ne sono molte altre", ma non è assolutamente così.

Questo perché con Quick Museum Artesplorando, insieme a una squadra di professionisti in diversi settori, ha cercato di sviluppare uno strumento in grado di ovviare al fatto che spesso i musei non riescono a comunicare e a raccontare le proprie collezioni a un pubblico ampio. I musei oggi ad esempio devono saper attrarre anche i visitatori più giovani poco preparati in storia dell'arte, ma interessati a conoscere le storie che si nascondono dietro i capolavori dell’arte mondiale.


Quick Museum e le audioguide che contiene permette quindi di approcciarsi all'arte in maniera completamente libera, scelta dal visitatore stesso attraverso un linguaggio semplice e una serie di funzionalità che vedete bene riassunte nell'immagine qui sopra. Tour a tempo, tour personalizzati costruiti scegliendo tra una serie di parole chiave, tour quiz che mettono alla prova le tue conoscenze sull'arte e tour test che rivelano quale tipo di amante dell'arte sei. I contenuti sono distribuiti sulla mappa del museo e sono elencati in una lista delle opere.

Al momento siamo partiti dai musei più grandi per afflusso di visitatori e di capolavori conservati, per farci conoscere ad un pubblico ampio però puntiamo ad aggiungere all'interno di Quick Museum anche i piccoli musei. Per ora l’app è disponibile solo per iOS (iPhone) e si può scaricare gratuitamente dall’Apple Store, ma stiamo già lavorando alla versione Android. Le audioguide dei Musei Vaticani di Roma e del Louvre di Parigi sono scaricabili gratuitamente per essere ascoltate anche offline. Per gli altri musei invece occorre acquistare dei moduli corrispondenti alle città disponibili in italiano e inglese.
Per ogni informazione aggiuntiva vi invito a contattarmi o a visitare voi stessi il sito dell'app → www.quickmuseum.it
Cosa aspettate allora? provate Quick Museum e mettetevi in tasca la storia dell'arte!

C.C.

Artesplorando 2.0

$
0
0

Cari Artesploratori, c'è un importante annuncio che vi devo fare, grandi novità sono in arrivo.
Presto il blog che esplora l'arte avrà un nuovo aspetto sia nella grafica che nella presentazione dei contenuti.
Si tratta di un cambiamento ponderato ma necessario per migliorare questo blog e a cui voi stessi mi avete portato. Il mio più grande desiderio è proprio quello di fare progressi anche grazie a voi proponendovi un'esperienza di esplorazione d'arte sempre più completa, accattivante e di qualità.
E' un processo di trasformazione iniziato già da tempo, ma che nel prossimo mese giungerà al termine.
Per essere efficiente al massimo dovrò mettere temporaneamente in pausa il blog per tutto il mese di agosto. Ma non temente, a settembre Artesplorando tornerà con una nuova veste smagliante.
In attesa dell'evento a cui sarete tutti invitati potete sempre rileggere i post passati che vi terranno comunque compagnia.

Per quanto riguarda le pagine social continueranno a condividere e postare senza nessuna interruzione. Vi ricordo quindi tutti i link utili a riguardo:

La pagina Facebook del blog dove ogni giorno trovate immagini, video e link che vi trasportano nel mondo dell'arte → www.facebook.com/Artesplorando
Il profilo Twitter per seguire i cinguettii sull'arte → twitter.com/artesplorando
La pagina Google Plus → google.com/+Artesplorando
Il profilo Pinterest con tante bacheche interessanti su artisti, movimenti e argomenti che vi potranno ispirare  → www.pinterest.com/artesplorando/
E ovviamente il canale Youtube che ormai è un vero riferimento per appassionati d'arte, studenti o semplici curiosi → www.youtube.com/user/artesplorandochannel

Oltre a questi link vi invito a seguire tutte le attività delle due community di Artesplorando su Facebook e su Google Plus.
Infine iscrivetevi alla mailing list del blog per rimanere aggiornati sul lancio di Artesplorando 2.0.

L'arte sarà davvero alla portata di tutti 💗
A presto

Cristian

Artesplorazioni: simbolismo

$
0
0

Le Artesplorazioni sono una serie di video che vi guideranno tra i movimenti e i temi della storia dell’arte, rispondendo alle 5 domande: cosa, chi, dove, quando e perché. Oggi parliamo di … simbolismo!

Il simbolismo è un movimento letterario e artistico caratterizzato dal rifiuto della rappresentazione diretta e conforme alla realtà in favore di un’evocazione e una suggestione pittorica. Faceva parte di una più ampia visione, non solo artistica, antimaterialistica e antirazionalistica, che ebbe grande successo verso la fine del XIX secolo.

Il video è sottotitolato in italiano, inglese, francese e spagnolo.

Letture da Artesplorando blog:

Il simbolismo
I preraffaelliti
Josephin Peladan

Buona lettura e buona visione!

C.C.

L'articolo Artesplorazioni: simbolismo proviene da Artesplorando.

Claude Monet – Ninfee blu

$
0
0

Artesplorando in collaborazione con Area51editore, vi presenta un assaggio degli audioquadri. Pillole d’approfondimento di storia dell’arte. Qui parliamo di Claude Monet e delle sue splendide Ninfee.

Questa è una versione demo, per maggiori info e per acquistare l’audioquadro completo:
Audioquadro
www.area51editore.com

Il video è sottotitolato in italiano, inglese, francese e spagnolo

Letture da Artesplorando blog:

Paesaggi – pioppi, tre alberi rosa in autunno 
Monet e la delicatezza della luce

Buona visione e buona lettura!

C.C.

L'articolo Claude Monet – Ninfee blu proviene da Artesplorando.

10 momenti di follia

$
0
0

10 opere d’arte per avvicinarci a un tema complesso che ha attraversato l’arte, la follia. Nuovo video della serie “10 momenti di …”, realizzato da Artesplorando con lo scopo di offrirvi dei punti di vista originali sull’arte. L’arte ha aperto la strada che ha portato a considerare la malattia mentale non come qualcosa di estraneo o spregevole, ma parte della condizione umana. L’arte moderna ha celebrato la sofferenza mentale come un’avventura creativa.

Questa modernità è iniziata con la “follia” di Vincent Van Gogh anche se ha radici storiche più profonde. Lo possiamo vedere con Albrecht Durer, genio malinconico già a partire dal rinascimento e dai pittori romantici.
Forse non è difficile capire perché gli artisti spesso mostrano empatia per ciò che la società chiama malattia: tutta la creatività è in fondo un viaggio irrazionale.

Il video è sottotitolato in italiano, inglese, francese e spagnolo.

Letture da Artesplorando blog:

Breve storia della malattia mentale in arte

Buona lettura e buona visione!

C.C.

L'articolo 10 momenti di follia proviene da Artesplorando.

Artesplorazioni: preraffaelliti

$
0
0

Le Artesplorazioni sono una serie di video che vi guideranno tra i movimenti e i temi della storia dell’arte, rispondendo alle 5 domande: cosa, chi, dove, quando e perché. Oggi parliamo di … preraffaelliti! La Confraternita Preraffaellita riunì, dal settembre 1848 fino al 1853 circa un gruppo di giovani londinesi. Questi artisti erano suggestionati dall’idea di creare una società segreta ispirata a comuni ideali artistici. Dei cosiddetti preraffaelliti fecero parte pittori, scultori, critici d’arte e letterati.

Il nome stava proprio a indicare l’ispirazione ad artisti che precedettero Raffaello Sanzio considerato come il capostipite del rigido accademismo a cui si opponevano. Figure dominanti del circolo sono tre allievi e compagni della Royal Academy: Dante Gabriel Rossetti, William Holman Hunt e John Everett Millais a cui presto però si unirono altri artisti che divennero molto popolari.

Il video è sottotitolato in italiano, inglese, francese e spagnolo.

Letture da Artesplorando blog:

Il simbolismo
I preraffaelliti 
Josephin Peladan 
Elizabeth Siddal

Buona lettura e buona visione!

C.C.

L'articolo Artesplorazioni: preraffaelliti proviene da Artesplorando.

Artesplorando 2.0 ci siamo!

$
0
0

Gli screenshot dei social Artesplorando

Eccoci finalmente ad Artesplorando 2.0, il frutto di mesi di lavoro, revisione, riorganizzazione, ecc. ecc. Ma di che si tratta, vi chiederete. Tutti gli Artesploratori più assidui sanno già da un po’ del cambiamento in atto. Ora però mi sembra giusto celebrare il nuovo Artesplorando riassumendo tutte le tappe di questa rinascita.

Tutto è iniziato quando un bel giorno, era poco prima dell’estate, mi contattò Valentina D’Angelo (www.dangeloweb.it). È lei la graphic e web designer freelance, appassionata di visual design e comunicazione che ha dato il via a questo cambiamento. Valentina mi propose di realizzare un restyling completo del blog, dalla grafica alla presentazione dei contenuti. In effetti era già da un po’ di tempo che ci stavo pensando: infatti in un sondaggio realizzato proprio con il vostro contributo era emerso che secondo voi lettori la parte più carente del blog era l’aspetto grafico.

I passaggi verso il nuovo logo

Il nuovo Artesplorando

Detto fatto quindi, nonostante un po’ di incertezze e timori all’idea di abbandonare la piattaforma blogger, ho accettato la sfida e credo che il risultato sia ben riuscito. Durante la progettazione e le numerose chiacchierate via Skype io e Valentina abbiamo dato vita a una nuova veste grafica del blog. Obiettivo principale, quello di permettere una migliore fruizione dei molti contenuti di Artesplorando. È cambiato anche il logo, più moderno e allegro, prendendo le mosse da una farfalla che svolazza sui fiori proprio come questo blog esplora la storia dell’arte e i suoi argomenti.

Ma non è finita qui, ovviamente la riorganizzazione ha coinvolto anche i social network, la newsletter, il canale youtube e tutte le parti attive del blog in un lavoro capillare finalizzato a migliorare la vostra esperienza. In più devo dire che ancora una volta Artesplorando mi ha dato la possibilità di conoscere una bella persona: Valentina, una professionista, una donna in gamba, piena d’energia. Insomma un percorso di rilancio che parte da ora, per cui non resta che tuffarci nel nuovo Artesplorando 2.0!

C.C.

L'articolo Artesplorando 2.0 ci siamo! proviene da Artesplorando.


I volti del cuore la mostra Palazzo Viani Dugnani

$
0
0
Antonio Ambrogio Alciati, Il convegno una delle opere in mostra a Palazzo Viani Dugnani
Antonio Ambrogio Alciati, Il convegno

Ricomincia la consueta attività del blog con un post per parlarvi di una mostra tanto interessante quanto forse poco conosciuta. Si tratta di “I volti del cuore, la figura femminile da Ranzoni a Sironi e Martini” che potete ammirare fino al primo di ottobre 2017 (salvo proroghe).

Nella deliziosa cornice di Palazzo Viani Dugnani a Verbania si snoda questa interessante mostra che sta riscontrando un grande successo e che vi consiglio di andare a visitare se vi trovate nei pressi del lago Maggiore. Come si può intuire dal titolo, la mostra si occupa della figura femminile nell’arte tra fine Ottocento e prima metà del Novecento.

Se ti piace il blog, seguilo anche su Twitter! 👇👇😊

La cosa che sorprende subito di Palazzo Viani Dugnani è il prezzo del biglietto. Con soli 5 euro possiamo ammirare le opere di molti artisti: da Daniele Ranzoni, importante maestro della Scapigliatura a Mario Tozzi, artista internazionale che fondò a Parigi il “movimento dei Sette” insieme a De Chirico, Savinio, De Pisis e molti altri. Le sale sono sono quelle di Palazzo Viani, storica dimora nobiliare settecentesca completamente rinnovata per l’occasione.

Achille Tominetti, L'aratura a Miazzina una delle opere in mostra a Palazzo Viani Dugnani
Achille Tominetti, L’aratura a Miazzina

Le sezioni della mostra

La mostra di Palazzo Viani Dugnani si suddivide in undici sezioni permettendoci di esplorare i periodi storici più significativi e gli artisti che ne fecero parte passando da tematiche molto diverse e trasversali, proprio come piace ad Artesplorando. Ammiriamo quindi i ritratti femminili di Daniele Ranzoni a cavallo tra Ottocento e Novecento. Entriamo nei luoghi di vita delle donne dell’epoca: la casa, il giardino, le vie e i luoghi di lavoro. Scopriamo gli affetti dell’universo femminile, l’amore e la dolcezza della maternità. Si prosegue toccando la religione, il lavoro, il nudo e il movimento simbolista in cui le figure di donna ebbero molta importanza. Si termina infine con grandi maestri quali Arturo Martini, Mario Tozzi e Mario Sironi.

Complimenti alla curatrice Elena Pontiggia che è riuscita a mette insieme una mostra di grande bellezza e interesse. Per tutte le info potete accedere al link www.museodelpaesaggio.it

C.C.

L'articolo I volti del cuore la mostra Palazzo Viani Dugnani proviene da Artesplorando.

Il bodegon e la natura morta spagnola

$
0
0
Juan Sánchez Cotán, Natura morta
Juan Sánchez Cotán, Natura morta

Vi è mai capitato di sentire il termine “bodegon” in arte? Non è una parola italiana, ma spagnola ed è legata alla storia dell’arte, o meglio a un genere artistico. In Spagna infatti si usa il termine bodegon per indicare più o meno gli stessi dipinti che in Italia chiamiamo nature morte. In linea di massima gli stessi dipinti indicati come “still life” in inglese e “vanitas” negli antichi Paesi Bassi. Inizialmente però bodegon si usava solamente per quei quadri rappresentanti la cucina e tutti gli elementi ad essa connessi. Ci trovavamo quindi raffigurati selvaggina morta, pesci e dolci, insieme a brocche, piatti, bicchieri e a volte anche personaggi come venditori e cuochi.

Se ti piace il blog, metti un like alla pagina Facebook 👇👇👌

Le tele con dipinti vasi di fiori e composizioni vegetali erano considerate una volta un ulteriore genere a parte, ma al giorno d’oggi sono tutti bodegon. Ma in Spagna quando nacque questo genere di pittura? sappiamo bene che in Italia c’è una lunga tradizione storica che risale agli antichi romani. E in effetti il bodegon nacque alla fine del XVI secolo proprio sulle orme della natura morta italiana e si sviluppò a pieno nel XVII secolo. Tra gli artisti che si dedicarono per primi a questo soggetto, ci fu un certo Juan Fernandez , chiamato El Labrador, originario dell’Estremadura.

Juan Fernandez il Labrador, vaso di fiori
Juan Fernandez il Labrador, vaso di fiori, 1636, olio su tavola

A questo pittore dobbiamo la creazione di opere molto belle, anche se la critica d’arte oggi fatica ad assegnarle tutte a El Labrador. Questo perché tra Cinquecento e Seicento dipingeva anche il toledano Blas de Prado, spesso confuso con un certo Blas de Ledesma e molti altri pittori validi. A partire dal XVII secolo però le cose cambiarono. Infatti si fece strada in Spagna in quel periodo una diversa sensibilità, umile, profonda e piena di
sentimento religioso. Questi elementi diedero ai bodegon un valore simbolico, ben diverso dalla ricca sensualità delle nature morte fiamminghe, olandesi e italiane.

Pittore esemplare per spiegarvi bene questo genere di pittura è Sánchez Cotán. Questo artista sviluppò a partire dal 1602 tutti gli elementi basi del bodegon spagnolo. Ecco quindi come potrete voi stessi, in un museo o ad una mostra, individuare un bodegon. Molto spesso vedrete dipinta davanti a vuoi un’apertura squadrata, una finestra, con pochi oggetti oggetti appoggiati al suo interno. Ci troverete, frutta e verdura, disposti in modo ordinato, illuminati da una forte luce e messi in rilievo da intense ombre, quasi irreali.

Francisco de Zurbarán, natura morta con vasi di ceramica

Non potrete sbagliare perché questo è lo schema impiegato da tutti gli specialisti del periodo. Qualche nome? Juan van der Hamen, Felipe Ramirez, Juan Bautista Espinosa
e persino Zurbarán. Ma non finisce qui, allo stesso tempo si sviluppò il bodegon con
personaggi umani, rispettando sempre il forte chiaroscuro. Esempi di questo tipo ce li offrono Francisco Barrera, Juan Esteban e perfino il grande Velázquez. Il celebre pittore di Las Meninas dipinse agli inizi dei soggetti religiosi che di fatto sono veri e propri bodegon per il realismo dei personaggi.

Diego Velazquez, donna anziana che frigge le uova

Nella seconda metà del XVII secolo questo stile evolve verso una maggiore vitalità barocca a causa dell’influenza di italiani e fiamminghi. Ed ecco quindi che a fianco di bodegon tradizionali, come quelli di Pedro de Camprobin e Tomas de Hiepes si sviluppano opere diverse. Infatti maestri come Pereda, Mateo Cerezo, Francisco Palacios e Andrés Deleito usano una tecnica brillante e dipingono gli oggetti in apparente disordine, in modo molto diverso dai precedenti bodegon.

In sintesi possiamo dire che il bodegon nacque alla fine del Cinquecento, definì le sue caratteristiche (ordine, forte chiaroscuro, semplicità) nel Seicento e alla fine del secolo perse la sua unicità, mescolandosi ad altri stili. Un tipo di natura morta caratteristica della Spagna.

Scopri di più …

Se ti piace il genere della natura morta, resta ancora nel blog e scopri altri articoli:
→ Mercati e cucine
→ I vasi di fiori di Ludger tom Ring
→ Grottesche e festoni nella bottega di Raffaello
→ Jacopo de’ Barbari e il primo trompe-l’oeil
→ La Brocca di Hans Memling
→ Sebastian Stoskopff: Vanitas
→ Vincenzo Campi
→ Willem Claesz. Heda
→ Nature morte (non morte): fiori fiamminghi
Mario dei Fiori
→ Lo Scarabattolo, Domenico Remps
→ Nature morte (non morte) – la brioche
→ Francisco de Zurbaran
→ Luoise Moillon
→ Fede Galizia
→ Nature morte (non morte) – Caravaggio
→ Acqua
→ Pesci
→ La natura morta

Questo post si avvale di contributi bibliografici vari che potete consultare qui

C.C.

L'articolo Il bodegon e la natura morta spagnola proviene da Artesplorando.

Las Meninas, Diego Velazquez

$
0
0

Las Meninas, Diego VelazquezFin dall’inizio questo splendido dipinto fu da tutti riconosciuto come il capolavoro di Velazquez. Las Meninas è un ritratto di gruppo in cui ognuno occupa, secondo il suo rango, un posto preciso, in armonia con le regole della corte spagnola. Vediamo l’artista che si raffigura in piedi con pennelli e tavolozza, a sinistra, vicino a una grande tela appoggiata su un cavalletto.

Se ti piace il blog, seguilo anche su Twitter! 👇👇💛

Al centro è collocata la principessa Margherita tra due damigelle d’onore che le offrono dell’acqua in una coppa e le porgono un inchino. Sul lato destro vediamo i due nani di corte, uno dei quali stuzzica con il piede il cane in primo piano. In secondo piano scorgiamo l’addetta al servizio delle dame della regina, in abiti monacali e un funzionario che aveva il compito di dirigere le udienze di corte. Sul fondo del dipinto, nel vano della porta, si delinea la sagoma del maresciallo di palazzo, responsabile della sicurezza. Nello specchio accanto vediamo le immagini riflesse della regina Marianna d’Austria e del re di Spagna Filippo IV.

Las Meninas, dettaglio

Ciò che colpisce di più di quest’opera è la complessità spaziale e il gioco di specchi messo in scena da Velazquez. Il pittore nel dipinto sembra guardare noi, ma in realtà fissa la coppia reale collocata al di fuori del quadro in posa e riflessa nello specchio appeso sulla parete di fondo. Noi spettatori ci troviamo quindi nella stessa posizione occupata dal re e dalla regina. Un altro aspetto straordinario di questa grande tela è la tecnica pittorica. Lo si vede bene nelle mani del pittore e del nano a destra: con poche e veloci pennellate l’artista rende perfettamente il movimento delle dita, cogliendo un attimo fuggente, come da effetto fotografico.

Come capita spesso con Velázquez, in quest’opera ci sono molti significati che coesistono e che sono stati oggetto delle più svariate interpretazioni. C’è un livello politico riconoscibile dal fatto che la protagonista del dipinto è la principessa di Spagna, il futuro della monarchia. C’è un livello storico-artistico espresso attraverso la presenza del pittore e dei quadri appesi sulla parete di fondo. Inoltre l’inclusione dello specchio rende questo lavoro una riflessione sull’atto del vedere: noi spettatori siamo invitati a ragionare sui limiti tra pittura e realtà e sul nostro ruolo all’interno del dipinto.

Picasso. Las Meninas
Una delle versioni realizzate da Picasso

Las Meninas è senza dubbio un’icona pop e lo dimostra il fatto che a partire da Goya e Picasso fino ai giorni nostri, sono state prodotte sempre nuove versioni e remake di questo capolavoro.

Continua l’esplorazione

→ Velazquez, il volto e l’anima della corte

C.C.

Questo post si avvale di contributi bibliografici vari che potete consultare qui

L'articolo Las Meninas, Diego Velazquez proviene da Artesplorando.

Maja Desnuda e Maja Vestida, Goya

$
0
0

Maja Desnuda e Maja VestidaLa Maja Desnuda e Maja Vestida, due delle opere più famose del pittore spagnolo Francisco Goya. Da un lato una donna vestita con un abito trasparente e una giacca gialla con decorazioni nere, distesa su un divano di velluto verde con cuscini. Dall’altro lato la stessa donna sdraiata sullo stesso divano, ma in questo caso completamente nuda come Venere, dea della bellezza. Fiumi d’inchiostro sono stati versati per queste opere fatte per stare l’una vicina all’altra. Il motivo di tanto interesse è che ancora oggi non sappiamo chi sia la donna rappresentata e nemmeno chi sia il committente. Tra le poche certezze, si sa che i due dipinti erano nella collezione del potente ministro spagnolo Godoy, i cui beni furono sequestrati nel 1814. Le due opere passarono alla Real Academia de San Fernando e giunsero al Prado nel 1901.

Se ti piace il blog, seguilo anche su Twitter 👇👇👀

La Maja vestida serviva a coprire la versione nuda che all’epoca della sua realizzazione suscitò un enorme scandalo. Pensate che in Spagna per secoli le immagini di nudo, anche quelle giustificate da un tema mitologico, erano proibite dalla Chiesa e punite dal tribunale religioso dell’Inquisizione. Si arrivò a un tale livello di censura che nel XVIII secolo due re spagnoli gettarono nelle fiamme tutti i nudi presenti nelle collezioni reali.

Ed è per questo motivo che l’unico esempio di nudo spagnolo sopravvissuto prima della Maja desnuda è la Venere Rokeby di Diego Velazquez, oggi alla National Gallery di Londra. La versione svestita della Maja fu esposta solo nel 1900, dopo un periodo d’oblio durato parecchi anni.
Tradizionalmente si riteneva che la donna rappresentata nei due dipinti fosse la duchessa d’Alba, ritratta diverse volte da Goya e, secondo alcuni, amante del pittore. Recenti studi hanno però smentito quest’ipotesi, identificando la donna con Pepita Tudó, amante del ministro Godoy.

Maja Desnuda e Maja VestidaFermatevi a osservare l’innegabile sensualità dei due corpi dipinti, adagiati senza vergogna tra i cuscini di pizzo e offerti al nostro sguardo. Nelle due opere cambia la realizzazione del volto: nella Maja desnuda infatti si nota come il viso un po’ banale contrasti con il meraviglioso corpo, facendo preferire l’espressione della Maja vestida.
La Maja Desnuda è stata oggetto delle attenzioni del cinema: nel 1958 è diventata il titolo di un film diretto da Henry Koster che raccontò la presunta relazione tra la duchessa d’Alba e Goya. Inoltre il dipinto è protagonista di una truffa nel film italiano Totò, Eva e il pennello proibito.

Una curiosità: negli anni trenta del Novecento la Spagna realizzò un francobollo celebrativo con la Maja Desnuda e le poste americane arrivarono a respingere la corrispondenza affrancata con la riproduzione del dipinto, considerandolo indecente.

Scopri di più …

→ Francisco Goya, 3 maggio 1808
→ Ritratti di famiglia #2 – i reali di Spagna
→ Francisco Goya ritrattista
→ Francisco Goya

C.C.

Questo post si avvale di contributi bibliografici vari che potete consultare qui

L'articolo Maja Desnuda e Maja Vestida, Goya proviene da Artesplorando.

Non solo Wharol: Franco Angeli e la Pop Art (italiana)

$
0
0
Franco Angeli, Half Dollar, 1975, smalto su tela
Franco Angeli, Half Dollar, 1975, smalto su tela

Nato nel 1935 a Roma, Franco Angeli ha visto crescere le sue quotazioni in modo esponenziale, arrivando ad attestarsi come un vero e proprio precursore della Pop Art italiana. Pop Art interpretata come mezzo simbolico facilmente comprensibile, capace di trasmettere messaggi universali legati alla grandezza del passato e alla denuncia socio-politica del mondo che lo circondava. Il suo, però, non era un intento strettamente rivoluzionario ma una volontà di esprimere quei forti messaggi presenti nella sua contemporaneità.

Se ti piace il blog, seguilo anche su Twitter! 👇👇💛

Figlio di una famiglia socialista romana, costretta spesso a spostarsi per sfuggire alle accuse di sovversivismo, l’Angeli iniziò a lavorare sin dalla più tenera età. Svolse qualsiasi mansione gli permettesse di monetizzare e aiutare la sua numerosa famiglia, colpita dalla perdita precoce del padre e dalla malattia della madre. È solo nel 1955 che intraprende la strada della pittura, facendo tesoro di quelle tecniche che aveva potuto conoscere nei suoi lavori precedenti. Non a caso lavorando da un carrozziere era riuscito a prendere confidenza con sagome, forme e tagli mentre lavorando da un tappezziere per auto aveva imparato la tecnica del velatino, poi applicata alla sua creazione artistica.

Franco Angeli, Half Dollar, fine anni ’60 inizio anni ’70, smalto su tela

Il suo avvicinamento all’arte si ebbe con lo scultore Edgardo Mannucci che gli permise anche di conoscere alcune opere dell’umbro Alberto Burri, dal quale riuscì ad apprendere quella matericità che lo allontanerà sempre più dalla viscerale agitazione più tipica del clima informale. La sua pittura sarà tendenzialmente monocroma, basata sull’accordo tonale. Segni, tratti, oggetti e immagini si sovrappongono sulla tela con un effetto cromatico che porta alla graduale scoperta di ogni singolo elemento. Un esempio sono i numerosi “Half dollar”, realizzatati con tecniche diverse, dove a dominare il supporto è il simbolo presidenziale americano, riproposto in modi e colori diversi, ma sempre con la stessa forza emotiva.

Franco Angeli, United States of America, 1965, smalto su tela con tulle

Sono le icone del mondo lui contemporaneo che si trasformano in simbolo dell’artista, divenendo un tratto distintivo che collega tra loro le opere d’arte di Franco Angeli, ora chiaramente “neutralizzate” nel supporto materico.

Un artista da scoprire

Tutto questo substrato storico, artistico ed emotivo lo rende ancora oggi un artista da scoprire. Attraverso le sue opere non ci dà certezze ma ipotesi, invitando tutti a visitare il suo portfolio per cercare di comprendere a fondo l’animo della creazione. Una scoperta che può essere piacevolmente approfondita nelle numerose mostre nazionali e internazionali dei suoi capolavori (venduti da Sotheby’s a più di 100 mila euro).

Le foto sono state tratte dal sito ufficiale degli Archivi Franco Angeli (www.archiviofrancoangeli.org)

Marco Grilli

Storico e critico d’arte, ho fatto della cultura la mia mission. Ho curato mostre, realizzato pubblicazioni, redatto testi critici e sono entrato nel mondo digitale, qualificandomi come Content Manager 2.0. Il web è, infatti, la nuova “frontiera culturale” e l’arte è sempre più universale. Con questa consapevolezza possiamo diffondere il sapere.

L'articolo Non solo Wharol: Franco Angeli e la Pop Art (italiana) proviene da Artesplorando.

Viewing all 966 articles
Browse latest View live