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Thadee Natanson e Misia, Pierre Bonnard

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Pierre Bonnard, Thadee Natanson e Misia
Pierre Bonnard, Thadee Natanson e Misia

Pierre Bonnard ebbe fin da subito le idee molto chiare. Nonostante il padre, un ufficiale del ministero della difesa francese, volesse per il figlio una carriera come giudice o avvocato, il giovane Pierre puntò i piedi e seguì la sua vera passione: l’arte. E così dal 1888, all’età di ventun anni, cominciò a prendere lezioni di disegno a Parigi e a conoscere diversi giovani artisti in un periodo in cui la capitale francese era il centro del mondo. Le opere di Bonnard rispecchiano bene il suo tempo e sembrano emanare tutte calore e benessere, distinte da una pennellata veloce e vivace. Caratteristiche che secondo molti fanno di questo artista uno dei maggiori continuatori della tradizione impressionista, iniziata con Claude Monet.

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Le due persone rappresentate in questo dipinto del 1906 esemplificano molto bene la ricchezza degli ambienti culturali della Parigi all’inizio del XX secolo. La scena è ambientata in un interno borghese. L’uomo seduto in poltrona è Thadée Natanson, proveniente da una ricca famiglia di banchieri ebrei polacchi. Questi fu co-fondatore della rivista letteraria La Revue blanche nata nel 1889 e che in breve tempo divenne un periodico di gran prestigio. Basti solo pensare che vi collaborarono i nomi più illustri del mondo della cultura del tempo, come gli scrittori Marcel Proust e Apollinaire, e il poeta Mallarmé.

Gli uffici della rivista al numero 1 di rue Laffitte a Parigi erano inoltre il luogo di incontro per molti pittori. Natanson sposò Misia Godebska, la figlia dello scultore polacco Cyprien Godebski, ed è proprio lei la donna al centro del dipinto, di profilo, imponente come una statua antica. Misia fu sostenitrice energica e musa della rivista che infatti non durò molto a lungo, a seguito della separazione della coppia. Tuttavia Misia mantenne i suoi legami con il mondo dell’arte.

Una coppia legata al mondo dell’arte

Coco Chanel fu sua grande amica, Toulouse-Lautrec la rappresentò nei suoi manifesti, Édouard Vuillard, Auguste Renoir e Felix Vallotton la inserirono nei loro dipinti. Dopo il primo divorzio Misia cambiò marito diverse volte, ma rimase sempre una generosa mecenate, una collezionista di opere d’arte e i suoi salotti continuarono a ospitare scrittori, musicisti e pittori. Era la cosiddetta “Belle Epoque”, un periodo di grandi progetti e di fermento culturale per l’Europa che, di lì a pochi anni, si sarebbe tuffata nell’oscurità di due terribili guerre mondiali.

C.C.

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The Court of Redonda

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Pensata appositamente per Ca’ Dandolo, The Court of Redonda è una personale di Stephen Chambers. Aperta al pubblico gratuitamente fino al 26 novembre prossimo. Dal fascino tutto particolare per tema, colori e location, la mostra è un evento collaterale della 57° Biennale d’arte di Venezia. Qui l’artista inglese presenta al pubblico 101 ritratti dei cortigiani di Redonda. Redonda è un’isola caraibica, uno scoglio impossibile da abitare nel mezzo dell’Oceano Atlantico. Ma dotata di una corte immaginaria fatta di artisti, scrittori e letterati che nel tempo hanno saputo costruire attorno a sé un racconto sospeso tra leggenda e realtà.

The Court of RedondaLa corte di Redonda vive proprio, e solo, per mano dei suoi cortigiani che la descrivono e la dipingono, insomma la raccontano, alimentandone la leggenda. Come ogni corte che si rispetti anche Redonda ha un Re. L’ultimo in ordine temporale è stato Javier Marias, noto scrittore spagnolo, che ha recentemente insignito Chambers del titolo di Visconte. A Ca’ Dandolo, dunque, siamo di fronte a un élite artistica che viene raccontata visivamente da Chambers, ma che non può fisicamente abitare la propria isola.

Gli sfondi monocromi e i colori accesi usati dall’artista inglese collocano questi personaggi in un tempo indefinito. Ca’ Dandolo accentua questa dimensione atemporale e fiabesca, accompagnando lo spettatore in un percorso non solo artistico, ma anche geografico e letterario. Con un colpo d’occhio si può avere uno scorcio di Venezia fuori dalla finestra. E con un altro si possono apprezzare i volti dei cortigiani, immaginari ma reali, appesi alle pareti del salone centrale.

The Court of Redonda

Il tema del doppio, quindi è il cuore di questa mostra, sotto diversi punti di vista. Qual è il confine tra immaginazione e realtà? Quant’è lontana Redonda da Venezia? E questi cortigiani a quale mondo appartengono di più, a quello immaginario di Redonda o a quello reale di Venezia? La specificità di ogni personaggio è sublimata in una semplice posa con dettagli stilistici simili tra loro, ma mai uguali, in una continuità ritmica tra i vari ritratti. 101, per la precisione, è un numero primo, divisibile solo per uno e per se stesso e infatti possiamo considerare questa panoramica di volti di Redonda un’unica opera. Scendere dal vaporetto di San Tomà ed entrare a visitare questa mostra è un momento di pura poesia di cui abbiamo tutti estremamente bisogno.

The Court of Redonda

È ancora possibile raccontate una leggenda?

La magnificenza di questa corte immaginaria, ci aiuta a trascendere la realtà dei fatti e credere che sia ancora possibile raccontare una leggenda. Questa diversamente dal solito, non appartiene a un passato remoto, ma è presente e vive in mezzo a noi, grazie e soprattutto al lavoro d Stephen Chambers. Nel palazzo sono esposti anche altri lavori di Chambers, tra cui il trittico “State of a Nation”, allegoria della Brexit, e la vita di Casanova realizzata in tredici stampe su chine collè.  Nell’ultima stanza, infine, campeggia una serie dal titolo “The gangs of New York”. Opera realizzata da Chambers durante una residenza artistica del 2014 a Brooklyn, in cui emergono le peculiarità degli abitanti del Five Points Disctrict di New York a metà del diciannovesimo secolo.

Carlotta Borasco

Sono laureata in arti&design presso lo Iuav di Venezia dall’aprile 2013. Ho lavorato come performer per Bruce Nauman, Pawel Althamer, Andreco e Motus. Nell’agosto 2017 ho partecipato alla prima fase del progetto Conca Nomade insieme agli artisti Giulia Terenzi, Rossano D’Andrea e Georgia Galanti con una mostra prevista a Cattolica tra ottobre e novembre 2017. Durante l’ultima Biennale d’arte di Venezia ho lavorato come unica assistente di lingua italiana alla mostra The Court of Redonda dell’artista inglese Stephen Chambers, RA. Focalizzo il mio interesse per l’arte soprattutto su performing arts e videoarte. Sono sempre alla ricerca di nuove collaborazioni artistiche. 

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Cristo in pietà e un angelo, Antonello da Messina

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Cristo in pietà e un angelo, Antonello da Messina
Cristo in pietà e un angelo, Antonello da Messina

Poche personalità nella storia dell’arte hanno saputo creare immagini così magnetiche, espressive e coinvolgenti, come quelle realizzate da Antonello da Messina. L’artista nacque in Sicilia, a Messina, verso il 1430 e divenne il primo vero promotore della pittura a olio in Italia. Antonello si formò come artista a Napoli, la città del sud Italia forse più influenzata dalla pittura nordica fiamminga, ma cominciò presto a spostarsi per cercare nuovi committenti e lavori. Le notizie riguardanti la vita di questo pittore sono scarse e confuse. Lavorò sicuramente in Sicilia e nell’Italia continentale, facendo diversi viaggi che lo portarono anche a Venezia verso il 1475.

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Questa straordinaria opera risale all’ultimo periodo di Antonello, quando attorno al 1476 fece ritorno a Messina, città che l’artista rende visibile nel bel paesaggio verdeggiante sullo sfondo del dipinto. La tecnica pittorica di Antonello fu influenzata dai molti spostamenti, dagli artisti e dalle opere che incontrò lungo il cammino. Il pittore seppe unire la resa minuziosa della realtà, tipica dell’arte nord europea, con il trattamento monumentale dell’anatomia e una preoccupazione per il volume e la prospettiva caratteristiche dell’arte italiana.

L’idea iconografica del Cristo morto, seduto e sorretto alle spalle da un angelo addolorato che gli copre il braccio con un mantello è ripresa dal pittore veneziano Giovanni Bellini. La scena immaginata e rappresentata non è narrata da nessuno dei libri sacri del Cristianesimo. Gesú infatti è già stato deposto dalla croce e in attesa d’essere collocato nel sepolcro e sostenuto da un angelo. Qui Antonello da Messina dà prova di tutta la sua maestria aggiungendo una forza tragica senza precedenti. Lo vediamo bene nel volto di Cristo appena rovesciato all’indietro, irrigidito nell’ultimo respiro di vita con la bocca aperta e le palpebre socchiuse, il sangue che sgorga dalla ferita al costato.

Tutta l’immagine è di uno sconvolgente naturalismo, accentuato dalle lacrime che rigano copiose il volto dell’angelo. I teschi e i tronchi secchi che vediamo dietro e a fianco del corpo di Cristo simboleggiano la morte, mentre la città e il verde della natura sono un richiamo alla Resurrezione. Antonello da Messina nel corso sella sua vita era tornato spesso sul tema della Passione di Cristo. Un soggetto a cui evidentemente era affezionato, ma qui diede vita a una delle opere più belle e intense sul tema della Pietà. Nelle opere di Antonello, veri capolavori della storia dell’arte, le figure prendono vita e i paesaggi hanno un’anima.

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→ Il ritratto e la svolta di Antonello
→ Antonello da Messina e il ritratto dell’uomo
→ San Girolamo nello studio

C.C.

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Raffaello, genio indiscusso del rinascimento maturo

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Raffaello Sanzio, deposizione di Cristo
Raffaello Sanzio, deposizione di Cristo

Raffaello Sanzio fu uno dei più importanti artisti che operarono in Italia tra la fine del XV e l’inizio del XVI secolo, insieme ad altri grandi maestri come Michelangelo, Leonardo e Botticelli. Le sue opere, dal più piccolo ritratto ai maestosi affreschi come la Scuola di Atene, sono ammirate da turisti, critici e studiosi di tutto il mondo come capolavori di quel periodo storico-artistico noto come rinascimento.

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In Italia, il rinascimento si sviluppò principalmente a Firenze, arrivando a toccare la corte
napoletana degli Aragona, quella milanese di Ludovico il Moro e quella papale di Pio II, il papa umanista, e poi di Leone X. L’obiettivo della civiltà rinascimentale, come suggerisce la parola stessa, era quello del recupero dei valori di un tempo, della rivalutazione della classicità antica come modello per i valori e la naturalità dell’uomo. Questo metteva anche in discussione la visione religiosa cristiana che aveva dominato in Europa per tutto il periodo medioevale.

Il rinascimento vide anche la fioritura delle lettere e di una nuova arte. Nel primo caso si
cominciò a sviluppare la filologia, lo studio e l’interesse per le parole, e il culto delle humanae litterae, da cui il termine Umanesimo, in contrapposizione con le divinae litterae che avevano permeato il periodo storico precedente. In campo artistico, si cominciò a dipingere ad olio e si fecero importanti studi sull’uso della prospettiva, poco utilizzata o del tutto assente nelle opere prerinascimentali. Fu in questo periodo di grandi innovazioni culturali e artistiche che visse e dipinse il maestro urbinate.

Raffaello Sanzio, ritratto di giovane donna con unicorno
Raffaello Sanzio, ritratto di giovane donna con unicorno

Raffaello nacque nella splendida cornice dell’Urbino rinascimentale il 28 marzo o il 6 aprile del 1483. Il padre era Giovanni Santi, un artista già piuttosto famoso per la sua collaborazione come letterato, pittore e scenografo della sofisticata casata ducale dei Montefeltro. Il ragazzo dimostrò fin da subito una forte passione per l’arte, di certo tramandatagli dal padre e dall’ambiente che la famiglia frequentava.
A diciassette anni figurò già tra gli autori principali di un’opera artistica: la pala d’altare della chiesa di Sant’Agostino a Città del Castello, in Umbria. Si interessò presto all’opera del
Perugino, che elevava a suo maestro spirituale quando dipingeva le sue prime opere.

Trasferitosi a Perugia, collaborò con il Pinturicchio e continuò ad occuparsi di dipinti a tema
sacro e pale d’altare: tutte queste opere dimostrano ancora una volta la sua forte passione per tutta l’opera del Perugino. Nel 1504, dopo aver dipinto lo Sposalizio della Vergine per la
cappella degli Albizzini nella chiesa di San Francesco, sempre a Città del Castello, Raffaello
decise di provare a cercare fortuna a Firenze, nelle cui corti elitarie riuscì ad entrare grazie ad una raccomandazione dei Montefeltro. Vi lavorò per quattro anni, dipingendo capolavori come la serie delle Madonne.

Nel 1508 si recò a Roma, chiamato a lavorare per la corte papale di Giulio II come decoratore per le stanze private del papa nei Palazzi Vaticani e per la Stanza della Segnatura. Qui dipingerà delle opere di grandi dimensioni, come l’affresco Scuola di Atene. Mentre viveva a Roma, a Trastevere, conobbe una popolana di nome Margherita Luti: era solo la figlia di un fornaio, ma il venticinquenne Raffaello se ne innamorò ugualmente e tra i due scoppiò una passione amorosa. Nel frattempo entrò in contatto con la pittura luminosa e colorata dei maestri veneziani e questo fu un momento importante per la sua carriera, che avrebbe modificato radicalmente il suo modo di studiare e riprodurre la luce e i colori.

Raffaello non fu solo un grande pittore, ma si occupò ugualmente di architettura, con risultati altrettanto buoni: nel 1515 venne nominato primo architetto papale da Leone X. Secondo gli stilemi del Rinascimento, Raffaello si occupò anche dell’organizzazione e della supervisione dei cantieri per Roma antica e moderna, cercando di restituire agli edifici capitolini il loro aspetto originario e di studiare la pianta della città imperiale. Purtroppo Raffaello morì improvvisamente il Venerdì Santo del 6 aprile 1520. Quel giorno, secondo i testimoni, il cielo si fece scuro e un piccolo terremoto crepò una parete dei Palazzi Vaticani, quasi a voler sottolineare l’importanza tanto terrena quanto divina del maestro appena scomparso.

Raffaello Sanzio e Giulio Romano, Transfigurazione
Raffaello Sanzio e Giulio Romano, Transfigurazione

Raffaello lasciò un’eredità importantissima per la storia dell’arte. I suoi discepoli rappresentavano una vera e propria scuola artistica che pose le basi per tutta la pittura dei
secoli successivi. Artisti legati al Classicismo del calibro dei Carracci, di Caravaggio, di Rubens e di Velazquez dovettero moltissimo al genio urbinate, così come alcuni movimenti del XIX secolo come i Preraffaelliti, che da lui, oltre al nome, presero il giovanile interesse per la rievocazione arcadica del Quattrocento e del primissimo Cinquecento.

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Un ritrattista poco ricordato
Madonna di Foligno
Trasfigurazione
Grottesche e festoni
La Fornarina
La deposizione di Cristo
Ritratto di giovane donna con unicorno

C.C.

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Le due Frida, Frida Kahlo

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Le due FridaEd eccoci a una nuova opera, Le due Fridache voi stessi avete votato di più tra quelle dell’artista Messicana, Frida Kahlo, in occasione del sondaggio realizzato nella →community di Artesplorando su Facebook. Come forse saprete già, Frida dipinse la sua vita, il suo mondo ed è anche per questo motivo che è così amata dalle persone. Sono le sue stesse parole a confermarcelo:

Dipingo me stessa perché passo molto tempo da sola e sono il soggetto che conosco meglio.

Anche questo dipinto non fa eccezione, è un doppio autoritratto che ci parla di un momento particolare nella vita dell’artista. L’opera infatti fu completata nel 1939, poco dopo il suo divorzio da Diego Rivera, con cui però si sarebbe poi risposata. Questo straordinario ritratto ci mostra le due personalità di Frida. Guardando l’opera, a sinistra vediamo una Frida in abiti tradizionali con il cuore strappato e lacerato. A destra invece una Frida più indipendente e vestita in maniera moderna.

Inizialmente l’artista scrisse che questo dipinto era scaturito dal ricordo di un amico immaginario della sua infanzia. Più tardi però ammise che con le due Frida aveva dato un’immagine alla sua disperazione e alla sua solitudine, sentimenti provati a seguito della separazione da Diego. In questo dipinto le due donne si tengono per mano. Entrambe ci mostrano il cuore quasi come se fossimo in grado di vedere attraverso la carne. Il cuore della Frida tradizionale è tagliato, consumato e strappato. L’arteria principale, proveniente da esso, è tagliata e tenuta stretta dalle pinze chirurgiche nella mano dell’artista. Il sangue nonostante ciò continua a gocciolare sul vestito bianco e ci dà una sensazione di pericolo per un’emorragia che potrebbe portare alla morte.

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La versione moderna dell’artista ha invece il cuore intatto e in mano tiene un piccolo ritratto di Diego da giovane. A unire le due donne c’è una vena che collega direttamente i due cuori. Il sangue è la metafora di un unione viscerale e non a caso, attraverso una vena, alimenta la miniatura di Diego. Il cielo, cupo e tempestoso, è pieno di nuvole spinte dal vento e indubbiamente riflette i sentimenti di Frida. Abbiamo quindi di fronte a noi lo stato d’animo dell’artista: ferita e “sanguinante” per la separazione, ma anche forte e determinata ad andare avanti.

Nel 1947 quest’opera fu acquisita dall’Istituto Nazionale delle Belle Arti di Città del Messico. Venne pagato 4.000 Pesos (più o meno 180 euro d’oggi) più un aggiunta di 36 Pesos per la cornice. Un prezzo ridicolo con il senno di poi, ma il più alto pagato per un dipinto di Frida quando lei era ancora in vita. Una riproduzione di quest’opera è esposta nel Museo Frida Kahlo di Coyoacan, in Messico.

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→ L’autoritratto infinito – Frida Kahlo
→ Frida Kahlo
→ Frida – il film
→ Autoritratto con collana di spine, Frida Kahlo

C.C.

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Ballerina di 14 anni, Edgar Degas

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Ballerina di 14 anni
Edgar Degas, Ballerina di 14 anni

Degas è conosciuto al grande pubblico principalmente come pittore, ma la realtà dei fatti è ben diversa. Nell’atelier dell’artista che scolpiva per dipingere meglio, furono trovati, alla sua morte, circa centocinquanta modelli in cera o in argilla che non vennero mai esposti. L’unica di queste opere a essere esibita fu la Ballerina di 14 anni che vedete qui nella versione in bronzo, presentata da Degas alla mostra impressionista del 1881. Il fatto di tenere per sé queste sculture è spiegato dalle parole dell’artista che disse:

è solo per soddisfazione personale che ho modellato in cera bestie e persone, non per riposarmi dalla pittura e dal disegno, ma per dare maggiore espressione, ardore e vita ai miei dipinti e ai miei disegni. Sono esercizi per allenarmi, documenti, niente di più.

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Questa ballerina è una statua in bronzo, ma include anche l’utilizzo di altri materiali per dare un maggior effetto realista. I colori sono molto naturali, i capelli autentici, è vestita con un tutù e con delle vere e proprie scarpette di raso. Degas qui diventa quasi uno scienziato o un antropologo che osserva con grande precisione la realtà, mettendo la scultura sotto una teca di vetro come se fosse un esemplare da museo. L’artista sentiva il bisogno di esprimere la natura in tutto il suo carattere, il movimento in tutta la sua esatta verità, di accentuare le ossa, i muscoli e la compattezza delle carni.

L’opera fu giudicata negativamente dai critici per il modo in cui venne mostrata una ragazzina di quattordici anni: la paragonarono a una scimmia e a una mummia azteca da mettere sotto formalina. L’artista ci mostra con spietato realismo i segni lasciati sul corpo dell’adolescente dal duro lavoro della danza, portando all’estremo la logica del realismo. La modella fu una giovane ballerina di nome Marie Geneviève van Goethem. La testa è lievemente piegata da un lato, il mento rialzato quasi sprezzante, ma lo sguardo appare stanco.

Le spalle e le braccia sono tese, le dita delle mani strettamente intrecciate dietro la schiena. La versione in bronzo fu realizzata dopo la sua morte per preservare al meglio le caratteristiche dell’opera originale in cera. La teca di vetro è l’unico elemento voluto proprio da Degas che, in questo modo, riconosceva alla sua ballerina lo statuto di opera d’arte. Un lavoro toccante per la grande dignità espressa da questa giovane donna.

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→ Edgar Degas e Auguste Renoir, storie di ritrattisti

C.C.

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Ninfee blu, Claude Monet

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Ninfee blu
Ninfee blu, Musée d’Orsay, Parigi, 1916-1919

La prima serie delle Ninfee viene dipinta da Claude Monet tra il 1899 e il 1904. Le Ninfee blu di cui vi parlerò qui sono più tarde. In un cero senso rappresentano un ulteriore passo nelle sperimentazioni dell’artista. La ricerca principale di Monet rimane quella della luce e dell’acqua, materialità al limite fra il sensibile e il non sensibile, inafferrabili nelle conseguenze concrete dei loro effetti, imprigionate nell’impressione di un quadro proprio grazie ai colori della tavolozza dell’artista.

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Man mano che la serie delle Ninfee procedeva, Monet assunse un punto di vista diverso. Una sorta di moderno zoom verso un obiettivo che si liberava lentamente degli elementi esterni e si mostrava sempre più dettagliato, ma allo stesso tempo più sfocato. Ninfee sempre più astratte, sospese nel vuoto di una superficie acquatica sempre più difficile da distinguere. Monet continuò a dipingere con piacere i fiori e gli alberi del suo giardino di Giverny anche nel primo decennio del nuovo secolo. Il più maestoso del ciclo delle Ninfee è il monumentale olio su tela dipinto tra il 1916 e il 1919, alto due metri e largo altrettanto, chiamato semplicemente Ninfee blu. In piena Guerra Mondiale, Monet, vecchio e isolato nel suo eden fiorito, riuscì a dipingere un capolavoro.

Osservandolo ci si sente presi dall’interno da un soggetto apparentemente assente che si
materializza nel gruppo centrale di una ventina di ninfee. Sembra trasformarsi in una nuvola verde-acqua che sale vorticosamente verso il cielo, per poi esplodere in quella pioggia di fuochi d’artificio che i rami del salice piangente ricreano con poesia. I giochi di luce e le scelte specifiche dei toni freddi del blu e del verde sembrano quasi dividere il quadro in due aree distinte. Una zona di luce dove il cielo si riflette nell’acqua e una zona d’ombra, dove l’albero stende la sua coperta di foglie piangenti sui fiori.

Le Ninfee degli ultimi anni, quadri in cui luce e ombra si intrecciano in un gioco di
trasformazione e fusione, sono una rappresentazione su tela dell’esistenza e della personalità dello stesso Monet. In gioventù c’era la ricerca della potenza solare, capace di cambiare la percezione dei colori e della luce stessa agli occhi dello spettatore, e in vecchiaia c’era la ricerca del dettaglio di un fiore sotto la lugubre ombra di salici e pioppi. La graduale perdita della vista e l’avanzare dell’età non impedirono a Monet di continuare a dipingere ninfee fino al 1926, anno della sua morte, ma i soggetti divenivano sempre più astratti.

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Le ultime opere di Monet hanno veramente ben poco di impressionismo, nonostante ai suoi deboli occhi fossero ancora delle impressioni di quello che vedeva in quel momento. Il suo immenso contribuito all’arte del XIX e del XX secolo porterà alla nascita dell’espressionismo e dell’astrattismo, nonché a molte delle avanguardie che il Novecento imparerà a conoscere ed apprezzare. Malgrado molti artisti nella storia non riuscirono ad ottenere in vita il giusto riconoscimento economico, Monet riuscì a sostenere tutte le sue spese e quelle della tenuta di Giverny con il suo lavoro. Fu sempre molto modesto, però, sulla sua condizione di artista professionista.

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→ Monet e la delicatezza della luce
→ Paesaggi – pioppi, tre alberi rosa in autunno

C.C.

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Pieter Bruegel il Vecchio, capostipite di una famiglia ad arte

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Pieter Bruegel il Vecchio
Pieter Bruegel il Vecchio, Torre di Babele, 1563

Nel corso della storia dell’arte, non è raro trovare artisti capaci e famosi che non appartengono solo ad un genere specifico, ma che fanno anche parte della stessa famiglia biologica. I Carracci, Annibale, Agostino e Ludovico, ma anche i Gentileschi, Orazio e la figlia Artemisia, gli Anguissola e gli Zavattari, per citarne alcune italiane. Per quanto riguarda il resto d’Europa, ogni appassionato di storia dell’arte riconosce nei Bruegel uno dei massimi momenti della pittura olandese tra il Cinquecento e il Seicento. Il primo e più importante membro di questa famiglia di artisti fiamminghi è Pieter, noto come “Bruegel il Vecchio”, famoso per opere come Banchetto nuziale, Cacciatori nella neve, Trionfo della morte e le due Torri di Babele.

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Pieter Bruegel il Vecchio ebbe una vita breve, ma intensa. Viaggiò molto e conobbe altri importanti artisti della scuola fiamminga. Visse in un periodo in cui la raccolta e il mantenimento di informazioni biografiche era più complesso di oggi e di lui ci sono arrivati dettagli ed eventi lacunosi e spesso contraddittori. Sappiamo che nacque tra il 1525 e il 1530 a Breda, nei Paesi Bassi. Studiò arte e pittura a Bruxelles, sotto l’ala protettrice di Pieter Coecke van Aeist, pittore di corte di Carlo V, di cui in seguito avrebbe sposato la figlia.

Pieter Bruegel il Vecchio
Pieter Bruegel il Vecchio, il trionfo della Morte, 1562

Frequentò anche l’incisore Hieronymus Cock ad Anversa, che lo avvicinò alle opere di Hieronymus Bosch e all’arte fiamminga precedente. Nell’ambiente più frizzante e cosmopolita di Anversa, realizzò i suoi primi lavori su commissione e cominciò a farsi un nome tra i collezionisti e gli esperti d’arte contemporanea. Nel 1551 fece un lungo viaggio in Italia, anche se non si conoscono precisamente i dettagli del suo soggiorno. È certo che si fermò a lungo a Roma, come documentano alcune opere che ritraggono paesaggi capitolini. Lì ammirò sicuramente le opere di Michelangelo, come la volta della Cappella Sistina, ma resistette alla tentazione di venirne influenzato.

Pieter Bruegel il Vecchio
Pieter Bruegel il Vecchio, banchetto nuziale, 1567

La visita delle maestose rovine romane, lasciò tuttavia un segno indelebile in Brueghel: le sue Torri di Babele richiamano tantissimo il Colosseo nella struttura architettonica. Dopo essere tornato ad Anversa, il maestro continuò a dedicarsi a disegni per incisioni e dipinti. Non fu mai personalmente un incisore, ma proponeva i suoi soggetti a professionisti che poi li traducevano in incisioni. È di quel periodo uno dei suoi quadri più conosciuti, il capolavoro noto come Trionfo della Morte. Nell’estate del 1563 si sposò con la figlia del suo primo maestro, Mayeken Coecke e i due novelli sposi si trasferirono a Bruxelles.

Pieter Bruegel il Vecchio
Pieter Bruegel il Vecchio, cacciatori nella neve, 1565

In quello stesso anno e in quel nuovo ambiente, più caotico e oscuro rispetto a quello di Anversa, dipinse una delle sue opere più famose: la doppia Torre di Babele. L’anno successivo nacque Pieter, il loro primogenito. Negli ultimi anni della sua vita, il suo punto di vista nei quadri sembra avvicinarsi alle scene. Nelle opere giovanili, erano i paesaggi e le ambientazioni a fare da padroni, mentre uomini e donne erano dipinti come piccole formiche, viste da lontano. In opere senili come Banchetto nuziale o il Ladro di nidi, dipinte entrambe nel 1568, si possono vedere finalmente i dettagli di quelle formiche. I personaggi vengono rappresentati più da vicino, caratterizzati nelle loro azioni quotidiane. Lo stesso anno, nacque il figlio Jan.

Pieter Bruegel il Vecchio
Pieter Bruegel il Vecchio, Torre di Babele “piccola”, 1564

L’artista morì il 9 settembre 1569 a Bruxelles e fu sepolto nella chiesa di Notre-Dame de la Chapelle. Ancora oggi, il monumento funebre, eretto dai suoi figli in suo onore, troneggia nelle navate della chiesa, a testimoniare la dimensione di un artista di talento che ebbe grande fortuna e rispetto tanto in vita quanto dopo la morte.

Continua l’esplorazione …

→ Paesaggi – cacciatori nella neve

C.C.

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La Belle Jardiniere, Raffaello Sanzio

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La Belle Jardiniere
Raffaello Sanzio, La Belle Jardiniere, 1507

La Madonna con bambino che vedete di fronte a voi, soprannominata La Belle Jardiniere (Bella giardiniera) per via dello sfondo campestre che la circonda, rappresenta una delle numerose variazioni dello stesso tema religioso realizzate, dal divino Raffaello, durante la sua permanenza a Firenze. L’artista di Urbino, città del centro Italia, si firma “RAPHAELLO URB.” sull’orlo del mantello della Vergine sopra il piede, mentre l’anno, in numeri romani “MDVII” 1507, è segnato vicino al gomito. Questa raffinata composizione fu realizzata esattamente un anno prima che egli venisse chiamato a Roma da Papa Giulio II per ricevere l’incarico degli affreschi destinati alla decorazione delle stanze vaticane.

Il dipinto fu commissionato da Filippo Sergardi, nobile toscano che nel Cinquecento si fece costruire la bella villa di campagna, nucleo centrale dell’attuale “scoletta”, villino che si trova a Roma, nel quartiere della Garbatella. Raffaello lasciò incompiuta l’opera, che fu poi completata dal Ghirlandaio, per partire alla volta di Roma. Finito il lavoro, Francesco I di Francia, a nome del Sergardi, acquisì l’opera portandola però fuori dall’Italia su suolo francese dove ancora oggi si trova.

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L’opera presenta una struttura piramidale d’origine Leonardesca, con la Madonna adagiata su una roccia mentre è intenta a scambiare sguardi e gesti delicati con il proprio bambino. Inginocchiato alla nostra destra troviamo San Giovannino, anch’egli in connessione con Gesù bambino tramite uno sguardo dolce e intenso. Nei gesti del gruppo è anche inserita simbolicamente quella che sarà la Passione di Cristo. Questo presentimento è espresso nello scambio di sguardi tra Gesù che cerca di prendere sul grembo della madre il libro che contiene l’annuncio della sua esecuzione. Mentre il piccolo Giovanni segue attentamente il gesto tra madre e figlio.

Inoltre in primo piano Raffaello ha dipinto con cura molte piante. Violette, vicino ai piedi di Gesù, simbolo dell’umiltà della Vergine. E aquilegie, lungo il bordo sinistro dell’opera a fianco di Gesù, allegoria della Passione di Cristo. Sullo sfondo dei personaggi un delicato e morbido paesaggio collinare con alberi e una cittadina, il tutto racchiuso dall’arco formato dalla tavola che completa armoniosamente la composizione. Nonostante Raffaello richiami la struttura delle studiate composizioni di Leonardo e il volto della madonna risenta ancora dell’influsso del suo maestro, il Perugino, il giovane pittore afferma già la propria personalità. In particolare per le espressioni tenere che si scambiano i personaggi, per la loro dolcezza e spontaneità nonché per il ritmo e l’armonia che caratterizzano il suo stile.

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→ Raffaello, ritrattista poco ricordato
→ Trasfigurazione, Raffaello e Giulio Romano
→ Grottesche e festoni nella bottega di Raffaello
→ Ritratto di giovane donna con unicorno, Raffaello
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→ La deposizione di Cristo
→ Madonna di Foligno

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La Scuola di Atene, Raffaello Sanzio

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La Scuola di Atene
Una visuale della stanza della Segnatura con l’affresco La Scuola di Atene

Raffaello Sanzio fu uno dei più importanti artisti che operarono in Italia tra la fine del XV e l’inizio del XVI secolo, insieme ad altri grandi maestri come Michelangelo, Leonardo e Botticelli. Le sue opere, dal più piccolo ritratto ai maestosi affreschi come la Scuola di Atene, sono ammirate da turisti, critici e studiosi di tutto il mondo come capolavori di quel periodo storico-artistico noto come rinascimento. Nel 1508 Raffaello arrivò a Roma. Era già un artista affermato, ma principalmente tra le corti fiorentine e le sue opere non erano ancora così ricercate al di fuori di certi ambienti. La chiamata, arrivata direttamente dal papa Giulio II della Rovere, lo rese fiero e agitato allo stesso tempo. Quando poi gli vennero commissionate le decorazioni dell’appartamento privato del pontefice al secondo piano dei Palazzi Vaticani, Raffaello si sentì ancora più sotto pressione.

I primi anni che trascorse a Roma, infatti, furono segnati da una sorta di nervosismo, che si manifestò nella discontinuità con cui lavorò a opere come il Trasporto di Cristo al sepolcro, la Disputa del Sacramento, la volta della stanza della Segnatura e la stessa Scuola di Atene che ora vedremo nel dettaglio. La Stanza della Segnatura è un ambiente imponente e magnificamente affrescato, pieno di colori, punti di luce e soggetti importanti. Ma la stella più brillante della Segnatura è la Scuola di Atene. Subito dopo aver concluso i lavori sulla Disputa del Sacramento, Raffaello si dedicò alla seconda parete lunga della Stanza della Segnatura. Qui, tra il 1509 e il 1510, il maestro urbinate dipinse uno dei suoi capolavori del periodo romano.

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Direttamente contrapposto alla Disputa del Sacramento, entrambi dipinti sulle pareti lunghe della stanza, la Scuola di Atene venne concepito insieme all’altro dipinto. Da un lato c’è il contrasto concettuale di sacro e profano, dall’altro c’è un riferimento analogo alla scena teatrale di tipo greco. Uno rappresenta la Verità spirituale e soprannaturale teologica, mentre l’altro rappresenta la Verità terrena e razionale dei filosofi antichi. In entrambi viene rappresentato una sorta di palcoscenico su cui si trovano i personaggi, quasi fossero attori di un’opera teatrale, ai quali viene affidata la comunicazione dei concetti teologici e filosofici.

La Scuola di Atene
La Scuola di Atene, 1509-10

Ad ogni modo, nessuno dei due dipinti fu concepito da Raffaello come opera per il grande pubblico. Erano da destinarsi ad una biblioteca di un Papa, un ambiente privato quindi, e dedicate a una cerchia ristretta di persone dotte. I metodi di lettura della Scuola di Atene sono almeno due. Il primo è quello riguardante la capacità di capire chi sono i personaggi sotto il profilo teologico, storico e filosofico e cosa vogliono significare singolarmente. Il secondo metodo di lettura è più immediato e concerne la possibilità di riconoscere le persone ritratte nelle due scene da un punto di vista storico, poiché molti erano personaggi viventi o morti da poco all’epoca di Raffaello.

La Scuola di Atene
La Scuola di Atene, dettaglio

Come abbiamo visto, il criterio di rappresentazione è molto teatrale. Riproduce, infatti, una prassi della corte papale di Giulio II, dove i dotti recitavano in commedie o tragedie classiche. Questa particolare consuetudine, tipicamente umanistica, si rifaceva ai Gonzaga di Mantova e alla cultura figurativa del Mantegna che, nella sua Camera degli Sposi aveva osato ritrarre i suoi mecenati in rappresentazioni di carattere storico-archeologico, trasformando la loro vera natura. Tutto questo accade anche nei dipinti di Raffaello nella Stanza della Segnatura. La Disputa del Sacramento e la Scuola di Atene sono indubbiamente delle metafore visive della rappresentazione umanistica.

La Scuola di Atene
La Scuola di Atene, dettaglio

Prima ancora di dedicarsi alla lettura metaforica dei personaggi che compongono il dipinto, gli occhi di chi guarda la Scuola di Atene si focalizzano sulla componente strutturale e
sull’incredibile architettura che fa da sfondo a tutta la scena. Si tratta di una struttura di derivazione classica. Non è chiaro se sia una costruzione incompiuta, un tempio aperto assurdamente sul cielo o un rudere non ricostruito ma perfettamente integrato nelle parti mancanti, parzialmente conservate. È una struttura solenne che richiama l’architettura tardo-antica, con le volte a cassettoni e lo scheletro del tamburo di una cupola. Pare che si ispirasse ai progetti per la nuova Basilica di San Pietro del Bramante, con i grandiosi bracci di una croce greca.

Quello che coglie l’attenzione dello spettatore, tuttavia, è la perfetta prospettiva con cui la
struttura viene dipinta. Il lungo corridoio in cui camminano i due personaggi centrali, Aristotele e Platone, si allunga a perdita d’occhio verso lo sfondo con un limpido cielo azzurro. Su entrambi i lati, le enormi statue riprese da modelli classici di Apollo, sulla sinistra, e Atena, sulla destra, accompagnano tutto il percorso e creano la scenografia perfetta per una rappresentazione come quella. Non è certo che sia stato personalmente Raffaello ad occuparsi della progettazione prospettica della Scuola di Atene. A stretto contatto con lui, infatti, lavorava uno dei migliori architetti dell’epoca, Bastiano da Sangallo, talmente bravo da essere soprannominato l’Aristotele dell’architettura.

Nell’affresco sono rappresentati cinquantotto personaggi e alcuni di loro furono ritratti con le sembianze di uomini dell’epoca di Raffaello, viventi o morti da poco. Il dipinto nella sua interezza risulta coerente e organico, ma solo perché c’è una prospettiva centrale che unifica tutto. I personaggi, infatti, sono disposti in modo caotico e tutt’altro che armonioso, su una scalinata che taglia in due la scena. I gruppi sono insiemi a sé stanti e Raffaello li volle rappresentare così per dare l’idea dell’isolamento e della vanità della storia della filosofia.

La Scuola di Atene
Platone e Aristotele

Al centro della scena Raffaello dipinse Platone e Aristotele, i due principali pensatori della
filosofia antica. Platone è rappresentato con una lunga barba grigia e un abito di un rosso
sgargiante, con le sembianze di Leonardo da Vinci, contemporaneo di Raffaello.
Platone regge il Timeo, uno dei dialoghi che scrisse per far conoscere la sua dottrina, e punta un dito verso l’alto, ad indicare che la sua filosofia si basa sulle idee trascendenti che risiedono appunto nella sfera celeste. Al suo fianco si trova Aristotele, vestito di blu, che si pensa sia stato rappresentato con le sembianze di Bastiano da Sangallo, architetto collaboratore di Raffaello. Aristotele regge l’Etica Nicomachea, uno dei suoi trattati filosofici, e distende il braccio destro indicando una dimensione filosofica più umana e terrena, in linea con il suo pensiero.

La Scuola di Atene
La Scuola di Atene, dettaglio

Nel gruppo a sinistra di Platone è possibile distinguere altri personaggi importanti, come
Socrate, dipinto con indosso una lunga tunica verde-bottiglia mentre parla con un gruppo di
giovani. Tra questi è possibile riconoscere Senofonte e Alessandro Magno, con elmo e armatura di metallo. In primo piano si trova Pitagora, seduto con una tunica rosa e azzurra, intento a scrivere un grande libro, con due uomini che si piegano verso di lui e prendono appunti. Poco più a destra, isolato, un pensoso Eraclito o forse Democrito poggia il gomito sinistro su un blocco di pietra. Pare che egli abbia le sembianze di Michelangelo, altro grande contemporaneo di Raffaello e suo diretto concorrente nell’ambito romano.

La Scuola di Atene
La Scuola di Atene, dettaglio

Questo personaggio fu aggiunto in seguito al dipinto e il modo in cui si pone richiama le torsioni dei corpi e la plasticità dei fisici tipiche del collega toscano.
Il gruppo a destra di Aristotele è di più difficile interpretazione. È possibile vedere Plotino, in silenzioso isolamento con la sua tunica rosso scuro. Al centro, sdraiato sui gradini proprio
davanti ad Aristotele, si trova Diogene, riconoscibile dalla ciotola al suo fianco e dagli abiti
laceri. Sulla destra, un folto numero di persone si riunisce intorno a colui che potrebbe essere Euclide o Archimede, con le sembianze di Donato Bramante, intento a disegnare figure geometriche con un compasso per i suoi giovani allievi. L’uomo con la corona e l’abito giallo dietro di lui è Tolomeo, che regge il globo terrestre per via delle sue idee rivoluzionarie sulla struttura dell’universo e la posizione centrale della Terra nel Sistema Solare.

La Scuola di Atene
La Scuola di Atene, dettaglio

Anche Raffaello stesso sembra essersi ritratto in uno dei due uomini in abiti moderni all’estrema destra, insieme al collega e amico Giovanni Antonio Bazzi, detto “il Sodoma”. Nel corso degli anni, gli studiosi hanno attribuito alla Scuola di Atene diverse interpretazioni e chiavi di lettura, come abbiamo visto in precedenza. Si tratta certamente di un’opera che mostra la storia del pensiero fin dagli albori delle prime civiltà, ricca di riferimenti storici colti, che è anche una rappresentazione delle arti come la grammatica, la matematica, la geometria, la musica, la dialettica e l’astronomia. L’intero affresco è un “manifesto” della concezione squisitamente rinascimentale che vede l’uomo al centro dell’universo culturale e letterario. Grazie all’intelletto e alla razionalità di cui dispone, l’essere umano è in grado di dominare la realtà.

La Scuola di Atene
L’autoritratto dell’artista

La Scuola di Atene è dedicata alla filosofia come un percorso verso la conoscenza. Tutti i
filosofi dipinti nel quadro cercavano tradizionalmente la verità attraverso la conoscenza e lo
studio delle cause alla base della realtà, come il titolo stesso del quadro suggerisce.
Oggi è possibile ammirare la Scuola di Atene, la Disputa del Sacramento e gli altri affreschi
della Stanza della Segnatura durante la visita al Palazzo Apostolico, che fa parte dei Musei
Vaticani. L’ambiente ha mantenuto intatto il fascino che aveva nel 1508, quando Raffaello fu chiamato dal papa Giulio II per dipingerne le pareti e farne una biblioteca privata. Poco
distante, la Cappella Sistina attira forse più turisti, ma se osserviamo con cognizione i maestosi affreschi di Raffello Sanzio possiamo facilmente renderci conto che, a
Michelangelo, Raffaello non ha niente da invidiare.

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Come trovare le immagini per il tuo blog

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Come trovare le immagini per il tuo blog

Comincia oggi un percorso che sarà possibile grazie alla collaborazione tra Artesplorando e Valentina D’Angelo. Lei è la persona che ha reso possibile il completo restyling del blog e metterà a nostra disposizione le sue competenze da graphic e web designer per dare una mano a chiunque voglia o abbia già intrapreso l’avventura da art blogger. Scoprirete quindi tanti piccoli trucchi e segreti a partire da questo post in cui Valentina ti spiegherà come trovare le immagini per il tuo blog. Buona lettura!

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Come blogger siamo sempre alla ricerca di belle immagini che accompagnino i nostri articoli e li arricchiscano, rendendo la lettura più scorrevole e piacevole. Per gli art blogger trovare le immagini giuste è ancora più importante, perché il materiale visivo non solo alleggerisce la lettura, ma serve soprattutto come elemento illustrativo del testo e va a completarlo. Sarebbe infatti difficile (come di fatto lo è) leggere un testo che parla di un’opera che non abbiamo mai visto. Appurato che abbiamo bisogno assoluto di immagini a corredo dei nostri testi, e che queste devono essere di buona qualità, la domanda che ci viene spontanea subito dopo è: “dove posso trovare delle immagini da usare sul mio blog?”. Verrebbe da rispondere: “Dove trovo tutto il resto: su Google!”,  ma le cose sono un po’ più complicate di così.

Come trovare le immagini per il tuo blog

Internet è fatta di testi, immagini e video; le immagini sono ovunque e a portata di clic, ma si possono usare tutte indiscriminatamente? E ancora: se digito su Google immagini “Goya” posso poi usare una qualunque delle immagini che risultano dalla ricerca? La risposta alle due domande è la stessa: “No!”. Se vuoi stare dalla parte dei buoni, non puoi usare indiscriminatamente le foto che trovi, ma devi assicurarti di poterle usare verificando lo stato dei diritti dell’immagine. Allora quali si possono usare? Per fortuna Google ci viene in aiuto permettendoci di ricercare le immagini in base ai diritti di utilizzo. Basta fare la ricerca su Google Immagini, cliccare su Strumenti, cliccare su Diritti di utilizzo e selezionare una delle voci a seconda delle proprie necessità.

Immagini libere da diritti (royalty free)

Possiamo usare le immagini libere da diritti (royalty free), ma come si fa a sapere se un’immagine è libera o no? Anche se non è specificato che l’immagine appartiene a qualcuno, non puoi usarla perché comunque non è specificato che è libera di essere usata. Per rendere le cose meno complesse, qualche anno fa è stato creato il sistema di licenze CC (Creative Commoms – per saperne di più: http://www.creativecommons.it/cosa-fa-cc) da un’associazione americana no-profit, per suggerire delle linee guida a tutela del diritto d’autore. Molti portali come Flikr, Youtube, ecc hanno scelto di aderire a questo sistema di segnalazione dei diritti.

Come trovare le immagini per il tuo blog

In breve, si tratta di un codice per segnalare il tipo di licenza del contenuto. Faccio un esempio chiarificatore: i video su YouTube vengono pubblicati di default con una licenza CC BY che significa che possono essere condivisi, cioè che sei libero di riprodurre, distribuire, comunicare al pubblico, esporre in pubblico, rappresentare, eseguire e recitare quel materiale con qualsiasi mezzo e formato, e che possono essere modificati, per cui puoi remixare, trasformare il materiale e basarti su di esso per le tue opere per qualsiasi fine, anche commerciale, a patto però di citare (e linkare) la fonte. Le immagini libere da diritti si trovano sia gratuite che a pagamento.

Immagini di pubblico dominio

Quando decadono i diritti d’autore, le immagini diventano di pubblico dominio (public domain) e si possono utilizzare per scopi personali e commerciali. Puoi trovare un elenco delle immagini di pubblico domino qui ()

Come trovare le immagini per il tuo blog

Trovare le immagini senza Google

Quindi il punto non è “Come reperire le immagini”, ma “Come reperire immagini libere da diritti o di pubblico dominio”. Una prima grande distinzione possiamo farla tra immagini gratuite e immagini a pagamento. Per le immagini a pagamento esistono delle banche immagini, dove le immagini sono catalogate accuratamente in modo da poter trovare rapidamente l’immagine di cui si ha bisogno. Si possono comprare singole immagini, pacchetti di immagini, oppure fare abbonamenti. Sono utili quando si pubblicano molti contenuti e non si ha tempo da dedicare alla ricerca di un’immagine gratuita di qualità e se, naturalmente, si hanno fondi a disposizione. Le immagini gratuite possono essere trovate su varie siti aggregatori di immagini libere da diritti e di pubblico dominio. Indico qui sotto qualcuno tra i maggiori di questi siti gratuiti.

  1. Siti di immagini gratuite:

Pixabay (https://pixabay.com/it/)

Pexels (https://www.pexels.com/)

Unsplash (https://unsplash.com/)

Wikimedia Commons (https://commons.wikimedia.org/wiki/?uselang=it)

  1. Archivi fotografici di musei:

Recentemente molti musei hanno messo a disposizione l’archivio fotografico delle loro collezioni. Alcuni musei mettono a disposizione immagini di buonissima qualità, mentre altri forniscono immagini piccole, che non sono molto versatili, ma possono comunque rivelarsi utili. Nella maggior parte dei casi si tratta di immagini da poter utilizzare liberamente purché non si abbiano scopi commerciali, ma ci sono anche musei che hanno rilasciato le immagini come pubblico dominio. Tra le raccolte principali:

The MET (The Metropolitan Museum of art) – http://www.metmuseum.org/art/collection

Rijksmuseum – https://www.rijksmuseum.nl/en/search?ii=0&p=1

Louvre – http://www.louvre.fr/en/moteur-de-recherche-oeuvres

British Library – https://www.flickr.com/photos/britishlibrary

Getty Museum – http://www.getty.edu/about/whatwedo/opencontent.html

Come utilizzare immagini che non sono libere da diritti

Senza entrare nel dettaglio della legge sul diritto d’autore, che non è proprio il mio campo, ci sono alcuni casi nei quali si riescono ad usare immagini con copyright. In alcune circostanze è possibile l’utilizzo del materiale protetto da copyright, senza necessità di autorizzazioni da parte del titolare dei diritti d’autore (fair use). Questo utilizzo è possibile in genere solo per scopi didattici, divulgativi, di critica, dibattito… e non per scopi commerciali. Un’altra pratica comune è quella di scaricare qualunque immagine e pasticciarla un po’ per dire “è mia”. Attenzione! Si pensa che alterando le immagini e introducendo una minima manipolazione il proprietario originario ne perda i diritti: si raccomanda cautela perché la questione è controversa, non è ben regolamentata e va quindi valutata bene caso per caso.

Come trovare le immagini per il tuo blog

Concludendo, c’è molto materiale grafico a disposizione ed è bene sapersi districare ed orientare in questo labirinto di immagini. Anche se è improbabile che qualcuno verrà mai a controllare i diritti delle immagini del vostro blog, è bene comunque essere consapevoli di quali immagini si possono usare e quali no, perché un blogger consapevole è un blogger felice!

Alla prossima puntata con il tema “come modificare le immagini”!

Valentina D’Angelo

Valentina D’Angelo vive a Roma dove lavora come graphic designer e web designer freelance. Laureata in Applicazioni Digitali per le Arti Visive, è appassionata di visual design e comunicazione. Per maggiori info: www.dangeloweb.it

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Jasper Johns: l’artista insignito della Presidential Medal of Freedom

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Jasper Johns
Jasper Johns, Flag, 1954-55

Nato nel 1930 ad Augusta, Jasper Johns ha rappresentato e continua a rappresentare ancora oggi un esempio di crescita artistica fulminante, che ha portato le sue opere d’arte a quadruplicare il loro stesso valore iniziale. Avviato al mondo dell’arte sin dalla più tenera età, Johns iniziò a frequentare la University of South Carolina in Columbia prima di spostarsi, nel 1948, a New York. Per potersi mantenere lavorò come fattorino, pur continuando sempre a frequentare il mondo dell’arte e a dare libero sfogo alla sua vena creativa.

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Fu l’8 marzo del 1957, però, a segnare profondamente la sua carriera di pittore, portandolo di lì a pochi mesi a divenire l’idolo d’America, ma anche il pittore capace di destare gli animi e risvegliare i sensi dell’uomo. L’incontro con Leo Castelli, proprietario a quel tempo di una nuova galleria di New York, fu per lui fondamentale. Grazie al Castelli, infatti, poté esporre una ventina delle sue opere d’arte, assicurandosi la vendita di diciannove capolavori. Un risultato strabiliante per il mercante e lo stesso artista, ora consapevole del suo ruolo nel mondo dell’arte internazionale.

Jasper Johns
Jasper Johns, Diver, 1962-63

In quella occasione 3 opere vennero acquistate anche dal Museum of Modern Art di New York che a quel tempo iniziava ad interessarsi al mondo della contemporaneità. Sebbene l’acquisto dei quadri esposti nella prima personale di Jasper Johns fu molto conveniente, lo stesso non si poté dire per il quadro “White flag”, l’unico che rimase invenduto ma che nel 1988 (ben 31 anni dopo!) venne acquistato dal Metropolitan Museum per più di 20 milioni di dollari. Un artista, Jasper Johns, che ha offerto al mondo dell’arte contemporanea una nuova strada di comunicazione, una nuova via per la creazione artistica. Se a quel tempo, infatti, vigeva l’Espressionismo astratto, Johns diede il via alla nuova espressione artistica che si sviluppò nella Pop Art e nella corrente minimalista.

Jasper Johns
Jasper Johns, Target with Four Faces, 1955

Tra i suoi più grandi capolavori meritano di essere citate le “Flags”, i “Targets”, le “Maps”, gli “Alphabet” e i “Number Painting”. Opere che sembrano semplici ma che racchiudono un mondo carico di sentimenti, lotte, obiettivi, esistenze, sensazioni, emozioni e molto altro ancora. La dirompente contemporaneità entrò prepotentemente nella sua creazione artistica portandolo anche a inserire oggetti della quotidianità nelle opere d’arte stesse. Un’abilità che lo rese famoso in tutto il mondo, arrivando a essere celebrato (esasperandone la figura) anche con un cameo nella serie animata “The Simpson”.

Dopo aver ricevuto nel 1988 il Leone d’oro per la pittura alla Biennale di Venezia e dopo essere divenuto, nel 1989, membro onorario della Royal Academy di Londra, nel 2011 Jasper Johns riceve la Presidential medal of freedom. La più alta decorazione degli Stati Uniti d’America, consegnata direttamente dal 44esimo Presidente degli Stati Uniti d’America Barack Obama.

L’artista contemporaneo vivente più famoso al mondo

Una “chiosa” (per così dire) di una carriera scoppiettante, che lo ha portato ad essere un’icona dell’arte contemporanea ancora oggi studiata e ammirata dalle nuove generazioni di artisti: una fama internazionale che lo ha reso l’artista contemporaneo vivente più famoso al mondo.

Le foto sono tratte dal sito ufficiale del MOMA (https://www.moma.org/)

Marco Grilli

Storico e critico d’arte, ho fatto della cultura la mia mission. Ho curato mostre, realizzato pubblicazioni, redatto testi critici e sono entrato nel mondo digitale, qualificandomi come Content Manager 2.0. Il web è, infatti, la nuova “frontiera culturale” e l’arte è sempre più universale. Con questa consapevolezza possiamo diffondere il sapere.

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Il negozio di Artesplorando

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Il negozio di Artesplorando

Cari Artesploratori, oggi vi metto al corrente di una novità che riguarda il blog e il come potete sostenere il progetto che esplora l’arte. Da tempo cercavo un modo che permettesse a voi Artesploratori di sostenermi e allo stesso tempo farvi un bel regalo. Ed ecco quindi l’idea del negozio di Artesplorando, ovvero uno spazio in cui troverete una serie di articoli personalizzati con immagini e loghi originali. Il negozio è all’interno di Spreadshirt, una piattaforma creativa internazionale per l’abbigliamento personalizzato. Spreadshirt mi dà la possibilità di creare contenuti occupandosi della stampa e della spedizione dei prodotti. Il negozio di Artesplorando si propone di offrirvi una serie di gadget in cui le immagini stampate prendono ispirazione dal mondo dell’arte, dai suoi protagonisti, dai suoi capolavori e dalle grafiche del blog.

Il negozio di ArtesplorandoIl negozio di Artesplorando

Lo potete trovare all’indirizzo shop.spreadshirt.it/artesplorando/. Il principio attraverso il quale mi aiuterete acquistando un qualsiasi articolo dal negozio è molto semplice. Per ogni maglietta o accessorio una percentuale verrà assegnata ad Artesplorando. Spreadshirt si occuperà di stampare il prodotto e di farvelo recapitare a casa con tempistiche diverse a seconda delle spese di spedizione che sceglierete tra le varie possibilità. Il pagamento può avvenire mediante addebito bancario (su mandato SEPA), carta di credito, bonifico bancario oppure con altre modalità di pagamento. La durata della garanzia per la merce consegnata è di due anni dal momento del ritiro. Se l’acquirente è un commerciante il periodo di garanzia è limitato a un anno. Tutte le altre informazioni riguardanti Condizioni & Termini di vendita le trovate QUI.

Perciò non vi resta altro se non fare un po’ di sano shopping!

Grazie in anticipo per tutto il sostegno che mi vorrete dare.

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Collezionisti critici e mercanti #5

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Collezionisti critici e mercanti
Daniel Georg van Beuningen

Qinto appuntamento che ci porta alla scoperta dei più importanti collezionisti, critici e mercanti della storia dell’arte. Gli altri post li potete leggere seguendo il link →Collezionisti, critici e mercanti, ma oggi proseguiamo nella nostra esplorazione conoscendo nuove illustri personalità. Uomini e donne che hanno saputo amare l’arte, collezionarla e sostenerla. Un dono che è allo stesso livello di chi l’arte la crea.

Daniel Georg van Beuningen

Questo celebre industriale di Rotterdam intorno al 1913 divenne un grande collezionista interessandosi non più solo di maioliche antiche, ma anche di pittura. Inizialmente acquistò solo opere olandesi, ma in seguito allargò il proprio orizzonte, collezionando dipinti di tendenze molto diverse. Nella sua casa di Vierhouten erano appesi alle pareti quadri di Van Eyck, Memling, Bosch, Quentin Metsys, Bruegel. Maestri italiani, olandesi e fiamminghi del XVII secolo, artisti francesi del XVIII secolo e molti impressionisti.
Alla sua morte cedette la collezione al Museo Boymans di Rotterdam, a cui già aveva fatto diverse donazioni. Per omaggiare il generoso collezionista, il Museo di Rotterdam da diversi anni si chiama Museo Boymans van Beuningen.

Collezionisti critici e mercanti
Pierre Riel de Beurnonville

Pierre Riel de Beurnonville

Generale francese dell’era napoleonica, fu un grande amante dell’arte, ma la sua importante collezione andò dispersa in diverse aste tra il 1872 e il 1885. Grazie ai cataloghi delle aste possiamo renderci conto della straordinaria varietà e qualità di questa collezione. Conteneva infatti circa un migliaio di quadri, senza contare gli oggetti d’arte e di arredo che all’atto della vendita attrassero i più celebri mercanti e amatori dell’epoca. Molte opere che oggi vediamo esposte nei musei europei e americani passarono attraverso la collezione di Beurnonville. Il generale francese poteva ammirare nei propri salotti opere di Corot, della scuola di Barbizon, ma anche di Delacroix, Rembrandt, Boucher, Watteau, Fragonard e Chardin.

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Etienne-Jean Bignou

Il parigino Bignou fu uno dei più importanti mercanti d’arte francesi tra le due guerre il cui interesse spaziò dall’arte contemporanea, al periodo impressionista e postimpressionista.
Grazie alle sue capacità commerciali e al suo gusto, molti collezionisti celebri acquistarono alcune delle loro tele più belle. Ebbe talmente successo da aprire nel 1932 una galleria, succursale di quella parigina, negli Stati Uniti, a New York. Attraverso la galleria di Bignou passarono quadri famosi tra cui diverse tele appartenute al mercante Ambroise Vollard, con il quale viaggiò negli Stati Uniti.

Collezionisti critici e mercanti
Siegfrid Bing

Siegfrid Bing

Mercante e critico d’arte tedesco naturalizzato francese, dal 1875, dopo un viaggio in Cina e in Giappone, divenne a Parigi un importante mercante di oggetti d’arte orientale.
Tornato da un viaggio negli Stati Uniti trasformò il suo negozio parigino nella celebre Galleria dell’Art Nouveau. Qui esposero pittori, scultori, artisti del vetro e gioiellieri le cui opere rientrarono nell’omonimo movimento artistico. Siegfrid, noto anche come Samuel, fu un grande organizzatore di mostre, ma ci ha lasciato anche numerosi scritti. Dal 1888 al 1891 infatti fu editore di “Japon artistique”, pubblicazione d’arte stampata in tre lingue: tedesco, inglese e francese.

Collezionisti critici e mercanti
François-Xavier Fabre, ritratto di Luciano Bonaparte

Luciano Bonaparte

Luciano era il fratello più giovane di Napoleone I e principe di Canino. Anche se ebbe un’esistenza travagliata, segnata dalla politica e da affari di stato, nutrì sempre un grande amore per l’arte. Come ministro dell’Interno, dopo il 18 brumaio, diede la propria protezione alle lettere, alle arti e all’istruzione pubblica in generale. Nei suoi molti viaggi,
in particolare nella sua Canino, borgo in provincia di Viterbo elevato dal papa a principato, raccolse una collezione molto importante. Luciano possedeva antichità romane e una raccolta di quadri che in alcuni momenti arrivò a ben 400 tele.

L’attività di ambasciatore in Spagna, dal 1800 al 1803, gli permise di acquisire da 100 a 150 quadri, alcuni dei quali comperati e altri donatigli dal re Carlo IV. Tra questi preziosi regali spiccavano un Raffaello, i Carracci e Ribera. Le opere collezionate da Luciano andarono disperse in aste pubbliche a Parigi e in alcuni musei d’Europa. Ma grazie a un album di incisioni del 1822 abbiamo un’istantanea dei migliori dipinti di questa collezione.

Collezionisti critici e mercanti
André Bonger

André Bonger

Era fratello della moglie di Theo van Gogh, a sua volta fratello di Vincent. La collezione che André aprì al pubblico nel 1947 ad Almen, apparteneva alla sua vedova, la baronessa Van der Borch van Verwolde. Conteneva opere di Redon, di Cézanne, di Emile Bernard e di Van Gogh. La parte più preziosa della raccolta però era legata ai lavori di Redon e alle sue opere grafiche. André soggiornò in Francia dal 1873 al 1892 e ciò gli permise di conoscere i pittori di cui raccoglieva le opere che in alcuni casi divennero suoi intimi amici. È il caso di Redon che gli dedicò le sue “Confessioni di un artista”. Oggi la collezione Bonger fa parte del Van Gogh Museum di Amsterdam.

C.C.

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Loving Vincent, tra arte e animazione

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Loving Vincent

Nuovo post della rubrica “Art si gira!!!” in cui ogni volta scopriamo un film dedicato a qualche artista. Oggi vi parlo di Loving Vincent, un progetto durato anni, ma che lo scorso mese ha finalmente portato sugli schermi italiani per tre giorni un piccolo capolavoro. Quello che lo scrittore e regista Dorota Kobiela e il co-regista Hugh Welchman hanno fatto è stato letteralmente far dipingere fotogramma per fotogramma la storia immaginata degli ultimi giorni di Van Gogh. Un’idea straordinaria e uno sforzo immane. Ogni immagine di questo film è un dipinto su tela. Basti pensare che per i primi 10 secondi di film ci sono volute 20 settimane di lavoro, quindi mezzo anno di vita di qualcuno.

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Ma come si è svolto il processo creativo? L’intero script è stato girato in azione dal vivo in 14 giorni, a Londra. Il film ottenuto è stato poi consegnato a una squadra di oltre 50 pittori a Danzica, i quali meticolosamente e con l’aiuto di software grafici, ha trasformato ogni immagine in un dipinto. La tecnica è quella detta del “rotoscope” che ha permesso ai pittori di rielaborare le scene partendo dalle immagini girate. Per quanto riguarda la trama, il film si concentra sulla consegna di una delle ultime lettere di Van Gogh al fratello Theo, dopo la morte del pittore.

Ciò che vediamo quindi è il viaggio intrapreso dal figlio del postino, Armand Roulin, che comincia a indagare sulle ultime settimane di vita del pittore. L’ipotesi mette in discussione il fatto che Van Gogh si sia suicidato e coinvolge tutte le persone che hanno gravitato attorno all’artista. Emerge quindi la possibilità che sia stato qualcun altro a premere il grilletto. Molti dei personaggi che incontriamo lungo il percorso sono ben noti grazie ai dipinti di Van Gogh. Il dottor Paul Gachet e sua figlia Margeurite, il postino Joseph Roulin, Adeline Ravoux, la ragazza in bianco e La Mousmé.

Ogni volta che un nuovo personaggio viene introdotto nel film si trova nella stessa posizione in cui Van Gogh lo ha dipinto. Per le parti del film a colori ovviamente la tecnica pittorica usata dai 50 artisti si è basata sullo stile di Van Gogh con le sue pennellate dense e ben separate. Per le sequenze in bianco e nero invece ci si è ispirati a un piccolo numero di fotografie, relative ai luoghi e ai personaggi vicini al pittore, scattate alla fine del secolo. Quindi una grande meticolosità tecnica nel cercare di ricreare l’atmosfera del tempo di Van Gogh e del suo modo di dipingere e di vedere il mondo.

Loving Vincent
Una delle artiste al lavoro su un fotogramma del film

Il film è indubbiamente riuscito, azzarderei a dire che si tratta di un piccolo capolavoro. Impeccabile dal punto di vista tecnico e interessante nel presentarci la storia degli ultimi giorni di vita del pittore (anche se mette in scena solo un’ipotesi). Resta da chiedersi cosa farebbe Van Gogh di questo ritratto Technicolor dei suoi ultimi giorni di vita. Avrebbe approvato la produzione del film? Se fosse stato vivo oggi avrebbe sperimentato il mezzo cinematografico? Da un certo punto di vista la popolarità di questo pittore, la sua vita, la sua morte avvenuta in circostanze poco chiare, ha finito con l’offuscare i suoi dipinti. Ma se ci soffermiamo solo a guardare le sue opere, ci rendiamo conto di come molte di esse siano assolutamente sorprendenti. E forse questo film serve anche a farci ripensare ai dipinti e alla potenza espressiva dell’arte di Van Gogh.

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Artesplorazioni: art nouveau

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Le Artesplorazioni sono una serie di video che vi guideranno tra i movimenti e i temi della storia dell’arte, rispondendo alle 5 domande: cosa, chi, dove, quando e perché. Oggi parliamo di … art nouveau!

L‘art nouveau fu un movimento artistico e uno stile decorativo che, con declinazioni diverse, si diffuse in Europa e negli Stati Uniti tra il 1890 e il 1910. Come possiamo intuire dal termine, rappresentò per certi versi il desiderio di creare uno stile nuovo e di non rifarsi più agli stili storici del passato.
Il tratto più caratteristico dell’art nouveau sicuramente risiede nelle linee, nelle forme e nei soggetti rappresentati. Si ispirò infatti da un lato alla natura, ai fiori, alle foglie e ai viticci, dall’altro elevò a musa un archetipo di figura femminile dai capelli folti e fluenti.

Il video è sottotitolato in italiano, inglese, francese e spagnolo.

Letture da Artesplorando blog:

→ Art nouveau

Letture consigliate:

→ Art nouveau per Giunti Editore http://amzn.to/2kXhBwh
→ Mucha http://amzn.to/2xPFoo3
→ Art Nouveau. Le arti decorative alle origini del moderno http://amzn.to/2kYfE2K

Buona lettura e buona visione!

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Artesplorazioni: fauvismo

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Le Artesplorazioni sono una serie di video che vi guideranno tra i movimenti e i temi della storia dell’arte, rispondendo alle 5 domande: cosa, chi, dove, quando e perché. Oggi parliamo di … fauvismo!

Il fauvismo fu il primo movimento espressionista europeo e la prima avanguardia ma, a differenza dei successivi, non nutrì interesse per le questioni politico-sociali. Il nome al movimento venne dato dal critico Louis Vauxcelles che indicò una scultura in stile rinascimentale al centro di una stanza del Salon ed esclamò: “Donatello au milieu des fauves!” ovvero Donatello tra gli animali selvatici. In verità in loro vi fu ben poco di selvaggio.

Il video è sottotitolato in italiano, inglese, francese e spagnolo.

Letture da Artesplorando blog:

Les fauves, le belve dei colori

Buona lettura e buona visione!

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Artesplorazioni: arts and crafts

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Le Artesplorazioni sono una serie di video che vi guideranno tra i movimenti e i temi della storia dell’arte, rispondendo alle 5 domande: cosa, chi, dove, quando e perché. Oggi parliamo di … arts and crafts!

Arts and Crafts è stato un movimento sociale ed estetico sviluppatosi tra la fine del XIX secolo e l’inizio del XX secolo. Il suo scopo fu quello di promuovere un design e un artigianato di buona qualità, nel pieno di un’epoca in cui si faceva strada la produzione meccanica di massa. Proprio per questa sua vocazione, riguardò in maniera particolare l’architettura e le arti decorative.

Il video è sottotitolato in italiano, inglese, francese e spagnolo.

Letture da Artesplorando blog:

Arts and crafts

Buona lettura e buona visione!

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10 momenti di morte

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10 opere d’arte per avvicinarci al tema della morte. Un nodo chiave nella vita dell’uomo che si intreccia con la religione e che spesso è stato affrontato nell’arte. Nuovo video della serie “10 momenti di …”, realizzato da Artesplorando con lo scopo di offrirvi dei punti di vista originali sull’arte.

La rappresentazione del corpo umano privo di vita ha da sempre suscitato interesse da parte degli artisti. Ecco il perchè di questo breve video che ci porta alla scoperta della rappresentazione della morte nell’arte.

Il video è sottotitolato in italiano, inglese, francese e spagnolo.

Letture da Artesplorando blog:

Storie di cadaveri ad arte

Letture consigliate:

→ Buffalmacco e il trionfo della morte http://amzn.to/2zTfDAF

Buona lettura e buona visione!

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Storia dell’Autoritratto: dalle origini sino ai giorni nostri

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Storia dell’Autoritratto
Narciso

L’autoritratto è da sempre considerato una volontà dell’autore (in questo caso l’artista) di lasciare traccia, testimonianza di sé non solo attraverso le sue creazioni ma soprattutto attraverso la sua rappresentazione fisica.
Ciò che lo rende così affascinante quasi irrinunciabile agli occhi degli artisti (e non solo) è la sua capacità di sostituirsi interamente alla persona di cui è copia. Capacità che non è tanto di chi o cosa è ritratto, quanto del pensiero e della psicologia che fanno sì che l’immagine funzioni da doppio del soggetto soddisfacendo anche il bisogno della presenza costante di sé.

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L’autoritratto, quindi, non rappresenta solo le fattezze dell’autore ma soprattutto il suo essere persona. Il suo carattere, le sue emozioni, i suoi sogni e i suoi pensieri più reconditi. Anche la sua visione del mondo circostante, espressa dal suo stesso stile, a volte preciso e misurato, altre veloce e schizzato.
Purtroppo lo spazio non mi permette di approfondire ogni singola opera o filone ma cercherò di fornire, al meglio, una panoramica dello sviluppo del genere dell’autoritratto.
Secondo il critico e collezionista Maurizio Fagiolo dell’Arco l’autoritratto è “il sublime ricordo dell’antico mito di Narciso, è la proiezione del passato nella storia. È allegoria ed emblema, racconto e menzogna. Può essere finzione assoluta o verità inconscia”.

Narciso, infatti, è il personaggio della mitologia greca divenuto famoso per la sua immane bellezza. Figlio della ninfa Liriope e del dio fluviale Cefiso (o secondo un’altra versione di Selene ed Endimione), nel mito appare incredibilmente crudele, in quanto disdegna ogni persona che lo ama. A seguito di una punizione divina, Narciso si innamora della sua stessa immagine riflessa in uno specchio d’acqua e muore struggendosi di dolore (o affogando nel riflesso). Questa assimilazione dell’autoritratto al mito di Narciso ricorre molto nel campo della storia dell’arte. Recentemente anche il critico e storico dell’arte inglese James Hall ha definito il genere dell’autoritratto “cultura del narcisismo”.
Ma da dove ha origine lo sviluppo dell’autoritratto e quali sono stati i suoi significati nel corso dei secoli? Cerchiamo di fare un po’ di chiarezza.

Pressoché quasi completamente sconosciuto nell’arte antica, il genere dell’autoritratto si inizia ad affermare nel periodo medievale. Raggiungerà la sua completa fortuna e dignità artistica nel corso del Rinascimento, grazie ai grandi pittori dell’epoca, sia essi italiani che provenienti dai territori dell’Europa settentrionale.
Pur essendo un “fenomeno” prettamente pittorico, si posso annoverare anche notevoli esempi di autoritratti scultorei (basti pensare al Ghiberti che si raffigura sulle porte nord ed est del Battistero di Firenze, e al Filarete che si ritrasse con il compasso in mano nella porta del Filarete nella Basilica di San Pietro. A partire dal XIX secolo (con l’invenzione della fotografia) abbiamo anche autoritratti fotografici di pregio.

Nel periodo di sviluppo dell’arte antica (così definito il periodo di produzione artistica delle civiltà in Cina, India, Mesopotamia, Egitto, Grecia e impero romano) non vi fu una vera e propria tradizione legata alla produzione dell’autoritratto. Infatti neanche alcune raffigurazioni egizie si possono annoverare nel genere dell’autoritratto in quanto si tratta di semplici immagini corporative equivalenti alla firma dell’autore.
Significativo, invece, in ambito greco è il ritratto dello scultore Fidia. Secondo quanto riportato da Plutarco nella Vita di Pericle, avrebbe avuto l’ardire di ritrarsi affianco allo stesso Pericle nella Battaglia delle Amazzoni, scolpita a bassorilievo sullo scudo dell’Atena Promachos nel Partenone. Gesto che gli sarebbe costato una condanna per empietà, alla quale sarebbe seguito il volontario esilio che lo condusse alla morte lontano da Atene. Purtroppo la sua raffigurazione non ci è pervenuta se non attraverso la mano scrivente di Plutarco.

Marco Grilli

Storico e critico d’arte, ho fatto della cultura la mia mission. Ho curato mostre, realizzato pubblicazioni, redatto testi critici e sono entrato nel mondo digitale, qualificandomi come Content Manager 2.0. Il web è, infatti, la nuova “frontiera culturale” e l’arte è sempre più universale. Con questa consapevolezza possiamo diffondere il sapere.

Continua l’esplorazione …

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