Breve biografia della vita e delle opere di Camille Corot, artista francese tra Barbizon e l’impressionismo. Nuovo video della serie artisti in 10 punti realizzato con lo scopo di farvi conoscere i protagonisti dell’arte. In questi brevi video avrete modo di conoscere in pochi minuti le caratteristiche principali, le curiosità e alcuni aspetti meno noti di molti artisti.
Camille Corot nacque da un’agiata famiglia della piccola borghesia parigina. Il padre, prima parrucchiere, vendeva stoffe; la madre, modista, aveva una bottega bene avviata. Ambedue progettavano per il figlio una carriera di negoziante. Ma riguardo a ciò Corot si comportò in modo talmente disastroso, che nel 1822 i genitori acconsentirono ai suoi desideri e gli assegnarono una piccola rendita perché potesse dedicarsi alla sua vocazione di pittore.
Il video è anche sottotitolato in italiano, inglese, francese e spagnolo. Per i sottotitoli in lingua straniera puoi contribuire anche tu! Segui quindi la playlist “artisti in 10 punti” per non perderti mai nulla e lascia un commento sotto ai video in cui puoi tu stesso suggerirci opere oppure nuovi temi da trattare in futuro. Il tuo contributo quindi è prezioso.
L‘audioquadro è un nuovo modo per conoscere i più grandi capolavori della storia dell’arte. In maniera semplice e in pochi minuti. Qui vi parlerò di Ecate di William Blake. Un’opera in grado di raccontarci chi è questo artista e qual è il suo modo di fare arte.
Figlio di un commerciante di calze, William Blake ebbe fin dall’infanzia delle visioni che influenzarono il suo rapporto sia con la pittura che con la poesia e che caratterizzano la sua “profetica” personalità di artista. All’età di dieci anni fu avviato al disegno sotto la guida di Henry Pars. Quindi apprese le tecniche della calcografia da James Basire, per il quale disegnò anche soggetti di ispirazione medioevale. Fin dai primi lavori eseguiti in modo indipendente, è riconoscibile l’influenza dei suoi principali modelli, tra i quali Michelangelo era destinato a diventare il più importante. Nel 1778 si iscrisse alla Royal Academy, ma ben presto entrò in conflitto con Joshua Reynolds sul problema della preminenza del colore e del disegno. Blake difese la posizione classicista, che si esprime nelle sue opere in un uso del colore sobrio.
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Rembrandt, la cena in Emmaus (1628). Musée Jacquemart-André. Parigi
Il 2019 è l’anniversario di Rembrandt, 350 anni dalla morte. Lo vorrei ricordare attraverso un tema che l’artista olandese riprende varie volte: La cena in Emmaus. Quella di Parigi del 1628al Musée Jacquemart-André e quella del Louvre del 1648. L’episodio è raccontato nel Vangelo di Luca. Un breve accenno è necessario per capire come è stato affrontato. Ciò che Rembrandt ha voluto trasmettere. Due discepoli si stanno recando da Gerusalemme al villaggio di Emmaus. Gesù si unisce a loro ma non lo riconoscono:
Quando furon vicini al villaggio dove erano diretti, egli fece come se dovesse andare più lontano. Ma essi insistettero: «Resta con noi perché si fa sera e il giorno già volge al declino». Egli entrò per rimanere con loro. Quando fu a tavola con loro, prese il pane, disse la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma lui sparì dalla loro vista.
L’opera del 1628
Che cosa vediamo nella piccola tavola del 1628? Un interno con una bisaccia appesa ad un chiodo. Una tavola e un pane sopra e i tre protagonisti: i due discepoli e lo sconosciuto compagno di viaggio. E lui che prende il pane, lo benedice, lo spezza e lo distribuisce. A quel punto quella sorta di opacità corporale che copre gli occhi dei discepoli, cade e lo riconoscono. Ma Cristo sparisce dalla loro vista. Ed è proprio il momento che la grande arte di Rembrandt ha saputo cogliere. Andando oltre la pura descrizione del racconto. Servendosi dell’alternarsi di luci e ombre, cattura l’istante eccezionale del riconoscimento.
Un improvviso bagliore proveniente dall’esterno illumina la scena notturna. E lo stupore attonito del discepolo in precario equilibrio sulla sedia. Sembra non credere a ciò che vede. Ma ciò che più ci coinvolge è l’aver reso visibile la trasfigurazione di Cristo che dalla corporeità passa alla trascendenza, divenendo un presente-assente, come ha scritto Gianfranco Ravasi. I discepoli passano dal misconoscere al riconoscere. Rembrandt ci rende partecipi dello sconvolgimento che si impadronisce dei due discepoli. Articolando il colore dell’ombra fino a trasformarlo in un elemento luminoso. Con la configurazione di un corpo che accenna ai lineamenti di un essere divino.
Rembrandt, la cena in Emmaus. 1648. Louvre. Parigi
L’opera del 1648
Nella Cena del Louvre il misticismo e la trascendenza invadono ancora la scena anche se con minore intensità rispetto a prima. L’ambientazione si fa più verista. Più descrittiva. Con quel giovane che tiene in mano un vassoio con il cibo. Le immagini acquistano una monumentale corporeità. I personaggi: Cristo davanti ad una nicchia, al centro. Sta spezzando il pane su di un tavolo/altare coperto da una luminosa tovaglia bianca. E i discepoli ai due lati emergono dal fondo scuro. Anche in questo dipinto luci e ombre giocano un ruolo fondamentale. Tuttavia Rembrandt predilige la tonalità dorata che si impone sugli altri colori.
Laureato in filosofia, iscritto all’ordine dei pubblicisti di venezia e già collaboratore del Mattino di Padova. Ora scrivo per la Tribuna di Treviso. Potete seguirmi anche su Twitter: PolitinoF.
Poeta, saggista, drammaturgo, sceneggiatore, disegnatore, scrittore … sono molti i nomi che possiamo attribuire a Jean Cocteau. Come Apollinaire, Cocteau ha sempre manifestato grandissimo interesse per la pittura del suo tempo, con un gusto acuto e sicuro, sotto il segno della modernità. All’inizio rivolse il propri interesse verso artisti mondani come Boldini e alcuni caricaturisti
dell’inizio del secolo. Poi, non senza ritardo, fu attratto dai pionieri della scuola di Parigi, soprattutto Picasso, di cui fu instancabile sostenitore. In particolare spinse Picasso verso una fase meno austera, diventando il tramite per la sua fondamentale collaborazione al balletto Parade nel 1917. Cocteau infatti era una figura trasversale che frequentava mostre, teatri e molti altri ambienti culturali. Negli anni ’20 il suo collaboratore scenografico più fedele fu Jean Hugo, seguito nel 1930 da Christian Bérard.
Agli stessi anni risale inoltre la passione di Cocteau per i quadri di De Chirico, allora respinti dai surrealisti, che gli ispirarono la scrittura di l’Essai de critique indirecte. Egli stesso si dedicò al disegno, realizzando schizzi ispirati a Lautrec, Sem, Grosz e specialmente Jean Hugo. Subì in seguito gli influssi più diversi, particolarmente di Picasso e Bérard. Dal 1950 si diede alla pittura a olio, all’arazzo, al pastello, all’incisione, alla ceramica e all’affresco. Ma tutte queste esperienze non sempre diedero risultati felici.
Sicuramente l’originalità, la versatilità e la grande capacità espressiva gli procurarono un successo internazionale. Oggi però Cocteau è ricordato principalmente per tre creazioni: il romanzo I ragazzi terribili, del 1929, la rappresentazione teatrale La voce umana, del 1930, e il film La bella e la bestia, del 1946.
C.C.
Questo post si avvale di contributi bibliografici vari che potete consultare qui
Nuovo appuntamento con l’imperdibile post dedicato alle persone che hanno contribuito alla storia dell’arte pur non essendo artisti. Collezionisti, critici e mercanti. Si tratta di uomini e donne che hanno collezionato, commerciato, investito sull’arte e sugli artisti. Spesso si tratta più di uomini che donne, ma questa volta troverete anche un’importante collezionista! Badate bene che, a differenza d’oggi, spesso queste persone lo facevano inseguendo un gusto o un progetto personale. Oppure semplicemente per una smania incontenibile di collezionismo. Senza pensare alle opere come mero investimento in grado di rendere nel tempo. A volte si trovarono a sostenere artisti su cui pochi avrebbero scommesso. Insomma troverete come al solito molte storie interessanti. Gli altri post li potete leggere seguendo il link Collezionisti, critici e mercanti.
Benigno Crespi
Milanese, proprietario di grandi manifatture tessili, Benigno raccolse alla fine del secolo scorso, principalmente tra il 1880 e il 1900, una collezione di dipinti. Una collezione che, esposta nel suo palazzo, costituiva un vero e proprio museo di un centinaio di pezzi. La meravigliosa raccolta di opere d’arte era composta quasi esclusivamente di opere italiane, tra cui predominava la scuola lombarda. Era ben rappresenta anche la pittura veneziana e in generale le scuole dell’Italia settentrionale. La collezione andò dispersa all’asta a Parigi il 4 giugno 1914.
Rosalba Carriera, ritratto di Pierre Crozat
Pierre Crozat
Lui è il più celebre collezionista francese del XVIII secolo. Vissuto a Tolosa, dove col fratello Antoine aveva accumulato una fortuna, si trasferì a Parigi con l’incarico di tesoriere di Francia. Già a Tolosa aveva cominciato a raccogliere disegni e da allora non si fermò di accrescere le proprie collezioni. La splendida dimora che aveva acquistato in rue de Richelieu divenne il luogo d’incontro dei migliori appassionati e degli artisti del suo tempo.
Gli agenti di Crozat, in Olanda, ad Anversa, a Londra, erano mobilitati per tutte le vendite importanti, e comperavano intere collezioni. Inviato in Italia nel 1714 per negoziare
l’acquisizione della collezione di Cristina di Svezia da parte del Reggente, ne approfittò per arricchire la propria raccolta personale con opere italiane. Alla sua morte lasciò 19 000 disegni e quasi 400 quadri, senza contare gli oggetti d’arte. Secondo il suo testamento,
i disegni furono venduti a profitto dei poveri e dispersi nelle principali collezioni d’Europa: molti di essi si trovano oggi a Parigi al Louvre.
I dipinti passarono al nipote, Louis-François, marchese du Châtel. Quando questi morì nel 1750, la collezione venne divisa. Alcune opere furono vendute, altre passarono alla figlia, che sposò il duca di Choiseul. Fu però Louis-Antoine Crozat, barone di Thiers, che ne ereditò la parte più notevole. Alla sua morte nel 1770 gli eredi la vendettero interamente a Caterina di Russia. Pensate che si formò così il nucleo del museo dell’Ermitage a Leningrado. Questo enorme apporto comprendeva capolavori di tutte le scuole. Per avere un’idea della ricchezza e della varietà della collezione, basti citare la Giuditta di Giorgione, la Danae di Rembrandt e quella di Tiziano.
Nathan Cummings
Nathan Cummings
Potente industriale, possessore di numerosi zuccherifici e fabbriche di dolciumi, Nathan Cummings cominciò a collezionare nel 1945. Suo primo acquisto fu una tela di Pissarro, seguita presto da altre opere impressioniste: Berthe Morisot, Monet, Mary Cassatt e di nuovo Pissarro, di cui nel 1968 acquistò il Pont-Neuf. La collezione non segue però un particolare programma, né si limita a un’epoca sola. Vi troviamo Matisse, Picasso, Kandinsky, Gauguin, Chagall, Modigliani e Giacometti. Solo per citare una parte di autori acquistati da Nathan.
Marie Cuttoli
Marie Cuttoli
Moglie del senatore di Costantina a lungo vice-presidente del Senato, sin dalla fine della prima guerra mondiale appare tra le più illuminate mecenati d’arte di Parigi. Costantemente impegnata nella scoperta dell’avanguardia, cui assicurerà per tutta la vita un fervido sostegno. Diresse dal 1930 al 1932 la Galleria Vignon, esponendo per la prima volta in Europa, Calder, del quale comperò le prime sculture. Consigliò Helena Rubinstein nella costituzione della sua collezione e aprì il suo salotto in rue de Babylone ad artisti e intellettuali. Fu anche una grande appassionata di arredo e impose negli anni Trenta uno stile purista detto “clinico”. Il suo contributo principale però è stato quello d’aver dato nuovo impulso ai laboratori di Beauvais e di Aubusson, riuscendo di volta in volta a persuadere grandi artisti a eseguire per essi cartoni per arazzi. Il gusto sicurissimo in materia di pittura, l’amicizia che nutrì per gli artisti fecero sì che costituisse una
collezione inestimabile e tra le più originali. Fu esposta al pubblico, prima di andare dispersa. nella Galleria Beyeler di Basilea. Era il 1970 e poche altre donne in seguito sarebbero riuscita ad accumulare una raccolta d’arte simile a quella della Cuttoli.
C.C.
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L‘audioquadro è un nuovo modo per conoscere i più grandi capolavori della storia dell’arte. In maniera semplice e in pochi minuti. Qui vi parlerò di Do it yourself di Andy Warhol. Un’opera in grado di raccontarci chi è questo artista e qual è il suo modo di fare arte.
Come suggerisce il titolo ironico, il dipinto di Warhol è una parafrasi degli schemi di pittura numerati che, come si legge nei cataloghi di innumerevoli grandi magazzini, offrono a qualunque dilettante la possibilità di diventare un artista, limitandosi a riempire con i colori “giusti” i campi numerati. In conformità con i principi fondamentali della Pop Art, in quest’opera Warhol non tematizza soltanto la funzione delle immagini in quanto tipico prodotto di massa della società industriale.
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Le Artesplorazioni sono una serie di video che vi guideranno tra i movimenti e i temi della storia dell’arte, rispondendo alle 5 domande: cosa, chi, dove, quando e perché. Oggi parliamo di … bamboccianti!
Un nome strano e un po’ buffo a dire il vero, “bamboccianti”. Il termine compare per la prima volta in due testi. Nella Satira sulla Pittura scritto dal pittore Salvator Rosa, alla metà del quinto decennio del Seicento. E nella lettera dell’artista Andrea Sacchi al collega Francesco Albani, scritta da Roma nel 1651. In entrambi i testi sono elencate le caratteristiche di un genere pittorico detto “bambocciata”, i cui autori sono chiamati bamboccianti. Presto questo termine venne usato dagli scrittori d’arte in modo negativo per indicare i seguaci, per lo più fiamminghi e olandesi, di Pieter van Laer, soprannominato “bamboccio”. I bamboccianti dipinsero scene di genere di soggetto popolare e romano, in tele di formato ridotto e a piccole figure.
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L’arte dell’inglese Francis Bacon è sempre stata in grado di turbare e sconvolgere lo spettatore. Con il suo particolare linguaggio pittorico l’artista disfaceva e contorceva volti e corpi creando protuberanze e deformazioni inquietanti. Le sue figure sono esseri provenienti da un incubo visionario e l’artista stesso disse un giorno le seguenti parole.
Vorrei che i miei dipinti dessero l’idea che un essere umano li avesse attraversati come un serpente, lasciando un segno della presenza umana e una traccia di memoria di eventi passati come un serpente lascia la sua scia.
Solitamente i dipinti di Bacon rappresentano figure isolate e disperate, inserite in uno spazio stretto simile a una gabbia, un po’ come avviene proprio in quest’opera.
Protagonista del dipinto è una figura sdraiata su di un lettino realizzata a testa i giù e con una visuale prospettica molto deformata, inserita in uno spazio privo di dettagli fatta eccezione per un interruttore alla parete, sulla destra. L’artista iniziò a rappresentare delle figure sdraiate su un letto con il trittico Tre studi per una crocifissione datato 1962 in cui Bacon si avvicinò al corpo umano dal punto di vista della sua visione pessimista dell’esistenza, segnata dall’inevitabilità della morte. La fisicità dei corpi rappresentati dall’artista sembra infatti sottintendere la vulnerabilità stessa della natura umana, il tutto realizzato con una pittura figurativa che, in un periodo in cui l’astrazione prevaleva nel mondo dell’arte, voleva dire andare decisamente controcorrente. Bacon non dipinse mai modelli dal vivo usando invece la memoria e il suo archivio fotografico personale come fonti principali da cui attingere per creare le proprie opere.
Figura sdraiata
La composizione di Figura sdraiata dimostra uno dei punti di forza di Bacon, vale a dire il dialogo con i maestri che lo hanno preceduto come Cimabue, Velázquez, Rembrandt, Poussin, Van Gogh e Picasso. Evocando inoltre le figure del manierismo attraverso la rappresentazione del corpo visto di scorcio dalla testa alle gambe.
Le opere di questo artista furono talmente nuove che per molti anni pubblico e critica si chiesero se considerarlo come un egocentrico in cerca di fama o come un pittore tra i più significativi della Gran Bretagna. Francis Bacon, vissuto attraverso la distruzione di due guerre mondiali, è andato al di là della realtà visiva. Per riflettere la condizione umana, la violenza istintiva nella nostra natura, l’isolamento esistenziale e l’idea d’essere minacciati. Bacon ci offre una nuova immagine dell’uomo che sembra incarnare l’angoscia di un’intera epoca.
Continua l’esplorazione
Allora, ti è piaciuta quest’opera? Conoscevi già Bacon? Scrivimi impressioni, pareri, suggerimenti e rimani ancora con me su Artesplorando
Alberto Burri nasce a Città di Castello (PG) nel 1915. Nel 1935, falsifica la data di nascita e parte come volontario per la guerra di Abissinia. Frequenta la facoltà di medicina. Gli ambienti freddi degli obitori. Conosce le deformazioni causate dalle malattie. Nel 1940 allo scoppio della Seconda guerra mondiale l’esercito italiano lo richiama come medico. Preso prigioniero in Tunisia, è trasferito dagli alleati in Texas al campo di Hereford, recinto n. 4. È il contesto che gli apre le porte della pittura. Inizialmente figurativa. Quando rientra in Italia abbandona la professione medica per dedicarsi solo all’arte. Il 1948 segna la svolta non figurativa con i Catrami e le Muffe. A partire dal 1950 diventano centrali i Sacchi. Il suo sperimentare materiali mai usati continuerà con i legni i ferri le plastiche i cellofan le combustioni. Burri inventa una pittura inedita che diviene il fondamento necessario dell’informale materico e dell’intera arte contemporanea. Scompare a Nizza il 13 febbraio 1995.
La pittura e la sofferenza del corpo.
La sua iniziale formazione medica. Il contatto con le lacerazioni, le ferite, le sofferenze e la morte del corpo, sono il nucleo centrale intorno al quale gira l’intero lavoro di Burri. “Il quadro è carne viva e l’artista il chirurgo”. Dagli iniziali Sacchi di juta fino al grande Cretto di Gibellina in Sicilia è un continuo riferirsi alla materia che si divincola, si guasta, si rompe, si lacera. L’aspetto insolito che assume la sua creazione artistica non dipende solo dai materiali che usa. Ai quali dà in pittura diritto di cittadinanza. Ma soprattutto per l’uso che ne fa.
Perdono il loro statuto di supporti inattivi, immobili, costringendo la stessa pittura a ridefinirsi con l’irrompere della materia nell’ambito del quadro. Ciò porta Burri alla costante rinuncia del pennello per agire direttamente sulle materie. Senza tuttavia abbandonare mai “il sentimento estetico della forma”(Massimo Recalcati: Il mistero delle cose. Nove ritratti di artisti. Feltrinelli, 2016). Cosa vuol dire? Il rapporto nuovo che l’artista stabilisce con la materia impone anche, necessariamente, di dare alla stessa materia proporzione ed equilibrio. Affinché acquisti una forma. Una propria organizzazione.
Alberto Burri, rosso nero, 1953
L’immanenza dell’opera
Burri manda in soffitta la concezione umanistico/rinascimentale del quadro come finestra aperta sul mondo. Quando mostra i suoi primi Sacchi l’informale materico è di là da venire. Il gesto di Fontana, che va oltre lo spazio del quadro lacerandone con un coltello la superficie, non si è ancora manifestato. Se Picasso con Les demoiselles d’Avignon (1906) inaugura la stagione cubista impostando nuove modalità rappresentative, Burri, Pollock e Fontana vanno oltre. Operano una scelta più radicale. Aboliscono qualsiasi referente oggettuale. “Ogni forma di rappresentazione rivendica la sua assoluta immanenza… Il quadro non rappresenta una finestra sulla realtà del mondo ma un nuovo mondo… È questo il fondamento del rigoroso anti mimetismo che ispira” tutte le creazioni di Burri.
La mostra
Burri la pittura, irriducibile presenza. Isola di San Giorgio, Venezia. Fino al 28 luglio 2019.
Fausto Politino
Laureato in filosofia, iscritto all’ordine dei pubblicisti di venezia e già collaboratore del Mattino di Padova. Ora scrivo per la Tribuna di Treviso. Potete seguirmi anche su Twitter: PolitinoF.
A partire dal 5 aprile 2019, il nuovo mtn | museo temporaneo navile lancia una grande sfida. Negli spazi museali di Trilogia Navile, in Bolognina, inaugura infatti un progetto speciale chiamato project room | territori. Il museo temporaneo navile è il primo museo di quartiere in Italia ed è a Bologna, all’interno della Trilogia Navile, in via John Cage. Nasce dalla volontà di creare un centro sperimentale dedicato all’arte nel cuore del quartiere Navile e attraverso 5 artisti e 5 eventi annuali, il nuovo museo valorizzerà le potenzialità di una delle zone più popolate e multi etniche concentrandosi sul tema della territorialità.
All’interno di questo spazio verranno invitati un numero variabile di artisti a presentare una singola opera ciascuno che sintetizzi il proprio territorio estetico. Ogni opera vivrà in maniera ritmica affianco alle altre nella differenza, in alcuni casi nel contrasto, ma sempre in una sorta di equilibrio. È Marcello Tedesco, ideatore del progetto insieme a Silla Guerrini, a spiegare esattamente di cosa si tratta, come hanno reagito gli artisti coinvolti e come funzionerà il “prestito” di opere d’arte.
L’intervista
Cos’è esattamente la project room?
La project room è uno spazio che vogliamo dedicare all’esercizio della pluralità. Una sorta di luogo dove esercitarsi in tal senso, ottenendo dei risultati concreti e tangibili. Qualcosa che possa essere di ispirazione per la comunità. L’arte, quando nasce da un’esperienza reale, ha la capacità di mostrare strade nuove e soprattutto che è possibile assumere comportamenti più coerenti con il periodo storico in atto. Naturalmente serve esercizio, occorre esercitare la volontà in tal senso, superando posizioni astratte o puramente ideologiche.
Silla Guerrini e Marcello Tedesco
Come hanno reagito gli artisti coinvolti alla proposta di parteciparvi? È stato difficile farli convivere? Chi sono?
Gli artisti di solito sono sempre entusiasti di partecipare a nuovi progetti e avere l’opportunità di misurarsi con nuove sfide. Il progetto pone l’attenzione sullo sviluppare in chiave artistica una consapevolezza concreta su concetti come la democrazia e la pluralità che ne è l’habitat stesso. Idea questa che è stata accolta con grande interesse e senso di responsabilità da parte degli artisti, i quali hanno compreso immediatamente che non si tratta di fare una semplice collettiva, ma di mettere a punto uno strumento di ricerca e di ri-definizione di aspetti che sono alla base della vita dell’essere umano.
Non è difficile fare convivere linguaggi e sensibilità differenti, quanto piuttosto rendere tutto ciò un’esperienza significativa, evidenziando il fatto che le differenze e i contrasti possono essere un’energia molto potente per creare un nuovo ritmo, una nuova visone delle cose. Nella project room ci sono artisti con all’attivo mostre di livello internazionale, o che lavorano con gallerie di primo piano, accanto ad alcuni artisti emergenti. Quello che li accomuna tutti è la qualità della ricerca artistica.
Un museo democratico
Idea di un museo democratico, dell’arte democratica…mtn-museo-temporaneo navile è destinato e essere pionieristico? Su quali fronti?
Uno degli aspetti che vogliamo sviluppare con la project room, ma in generale con le attività che promuoviamo, è quello di museo democratico, orizzontale, qualcosa che faccia parte integrante del quartiere e della città. Anche se non è facile, e la strada è insidiosa vogliamo avvicinare un ampio pubblico all’arte contemporanea, mostrare che questa non è un territorio impraticabile ad uso esclusivo di una élite. L’arte, nella sua accezione più alta, è uno strumento indispensabile alla vita, consente tutta una serie di esperienze di cui non si dovrebbe in alcun modo fare a meno. Io credo che in questo periodo storico l’arte abbia l’arduo compito di superare tutta l’incongruenza di un pensiero astratto e univoco, mono-dimensionale, responsabile di questo spirito di avversione reciproca che attraversa il pianeta, e che riguarda assolutamente tutti. Nell’ottica appena descritta è fondamentale che l’arte diventi qualcosa di familiare a quante più persone possibili.
E poi c’è il “prestito” delle opere ai cittadini: ci spiega come funzionerà?
Le opere verranno date in prestito al museo per un mese, dopodiché, per il momento, gli abitanti della Trilogia Navile potranno fare richiesta dell’opera che gli interessa e tenerla nella propria casa per altri trenta giorni. Le abitazioni private che ospiteranno l’opera verranno considerate altre sale del museo e in alcuni casi esse potranno essere aperte al pubblico. Come vedi questa semplice operazione allarga molto l’idea canonica di museo, rendendo questo qualcosa di molto più dinamico e vicino alla vita delle persone.
Il progetto
Il progetto, ideato da Marcello Tedesco e Silla Guerrini è sostenuto da Valdadige Sistemi Urbani, è patrocinato dal Comune di Bologna in collaborazione con il Quartiere Navile ed è dedicato alla figura di Palma Bucarelli.
Giornalista. Laureata al DAMS di Bologna con specializzazione in semiotica, scrivo per la testata online BolognaToday e mi occupo di comunicazione, digital pr e social media, lavorando spesso come addetto stampa. Se potessi berrei volentieri un caffè con Egon Schiele e un aperitivo con Vincent Van Gogh.
Con il termine cubismo si definisce il rivoluzionario stile pittorico creato da Braque e Picasso nel periodo tra il 1907 e il 1914, e successivamente applicato a un movimento più vasto. Il centro di questa rivoluzione è Parigi, ma il movimento che seguì fu poi di portata internazionale e le idee furono adottate e adattate da molti altri artisti. Parliamo ad esempio di Juan Gris, esponente principale oltre ai due fondatori. Ma anche Fernand Leger, Robert Delaunay, Albert Gleizes, Roger de La Fresnaye, Francis Picabia e Jean Metzinger. Giusto per citare i seguaci pittori più importanti. In scultura possiamo fare il nome di Oleksandr Archipenko, Otto Gutfreund, Raymond Duchamp-Villon, Jean-Paul Laurens, Jacques Lipchitz e Ossip Zadkine. Tutti scultori che si servirono del linguaggio cubista.
Il cubismo fu un fenomeno complesso, ma si basava sostanzialmente su un nuovo modo di rappresentare il mondo. La parola deriva da cubo, dato che alcuni paesaggi di Braque, con forme a blocco e piani molto geometrizzati, ispirarono la malignità di qualche critico. In particolare Louis Vauxcelles si riferì alla maniera di Braque di ridurre tutto, luoghi, figure e case, a contorni geometrici, cubi. Come spesso accade con i movimenti rivoluzionari, il termine dispregiativo fu presto adottato dai diretti interessati per darsi una definizione, un nome ufficiale.
Quando abbiamo fatto del cubismo, non avevano la minima intenzione di fare del cubismo, ma solo di esprimere ciò che era in noi.
Chi avrebbe potuto prevedere l’importanza di quel gruppo di cinque nudi femminili, noto col nome Demoiselles d’Avignon, che Picasso decise di dipingere nel 1906, appena uscito dal suo “periodo rosa”? I corpi vennero dipinti in una prima fase a tinte piatte, quasi senza modellato. Ma in seguito l’artista pensò di suggerire il volume senza ricorrere al chiaroscuro tradizionale. A questo scopo, dopo molte prove, finì per sostituire le zone d’ombra con lunghi tratti paralleli di colore. Il giovane pittore fauve Georges Braque, che Apollinaire aveva presentato a Picasso, rimase di stucco di fronte all’opera. Tuttavia non restò insensibile al problema del chiaroscuro e cercò di risolverlo lui stesso. Lo vediamo nel grande Nudo che dipinse poco dopo, nell’inverno del 1907-1908.
Pablo Picasso, les Demoiselles d’Avignon
Molto si è parlato a proposito dell’influsso che l’arte africana avrebbe esercitato sui due artisti. È certo che Picasso e Braque si appassionarono per quest’arte, la cui libertà plastica li affascinava. Vi è una certa somiglianza d’aspetto tra alcune maschere d’arte africana e alcuni studi per le Demoiselles. È chiaro infatti che il problema risolto da Picasso era quello di una nuova rappresentazione dei volumi su una superficie piana. Problema già posto nelle opere di Cézanne, in particolare quelle dell’ultimo decennio della sua vita. Non a caso la retrospettiva dedicata al maestro nell’ottobre 1907 dal Salon d’automne costituì per i giovani futuri cubisti una vera e propria rivelazione. La solidità delle forme di Cézanne rispondeva infatti in anticipo alle loro stesse problematiche. Le opere de cubismo maturo di Braque e Picasso possono essere divise in due fasi: cubismo analitico e cubismo sintetico. Vediamo meglio di che si tratta.
Il cubismo analitico
Nel 1910 Picasso e Braque rompono con la visione classica in vigore da oltre quattro secoli. I due artisti abbandonano l’idea di un punto di vista fisso e iniziano a servirsi di molteplici punti di vista. In questo modo diversi aspetti di un oggetto potevano essere rappresentati nello stesso dipinto. Il ruolo conferito ai piani mediante l’esplosione del volume diede loro l’idea di liberarsi totalmente dalla prospettiva. Ciò portava a opere che difficilmente consentivano allo spettatore di ricomporre mentalmente gli oggetti così descritti. Assegnare il giusto posto alle linee non era sempre facile, tanto più che il colore non forniva alcuna indicazione. I toni usati erano quelli dell’ocra o del grigio che conferivano al quadro grande luminosità, ma non esprimevano più il colore reale degli oggetti.
Georges Braque, Clarinetto e bottiglia di rum su un caminetto, 1911
A piccoli passi questa confusione si ridusse, a mano a mano che i due pittori furono più padroni della loro tecnica e abbastanza sicuri di sé. Inoltre alcuni dettagli servirono come stimoli. Ad esempio la presenza delle chiavi, delle orecchie o del manico di un violino suggeriscono un violino. Il colore si presenta separato, spesso sotto forma di schegge di materiali: di falso legno, ad esempio. Una tale frammentazione e riorganizzazione di forme significava che un dipinto non doveva più essere visto come una finestra attraverso la quale si vede l’immagine del mondo. Si tratta invece di un oggetto fisico sul quale è creata una risposta soggettiva al mondo.
Juan Gris, ritratto di Pablo Picasso, 1912
I papiers collés
Una piccola parentesi va aperta parlando della tecnica artistica usata da Braque e Picasso. Sì, è vero che usarono all’inizio l’usuale pittura a olio, ma poi le cose cambiarono. Venne introdotta una tecnica che fino ad allora non era mai stata applicata alle opere d’arte. Gli artisti cubisti infatti usarono i cosiddetti papiers collés. Una sorta di collage che si pensò di usare per una semplice e logica considerazione. Piuttosto che imitare la materia dell’oggetto, era meglio incollare direttamente sulla tela carte dipinte che la imitassero.
Così, carte che riproducevano il legno, il marmo, le impagliature e le tappezzerie, vennero incollate o semplicemente spillate sulle opere. In seguito, pezzi di giornale, scatole di fiammiferi, francobolli postali o biglietti da visita. Un titolo di giornale bastava così a rappresentare un giornale. Il collage cubista diede agli artisti la totale libertà di fare arte con qualsiasi materiale si volesse incollare sulla tela o assemblare in una scultura. Materiali presi dal mondo reale. Si trattava pertanto di un’arte che non era più imitativa nel senso tradizionale del termine, ma che restava realistica. E, in questo senso, non sembra esagerato affermare che il cubismo si presenta come la più completa e radicale rivoluzione artistica dopo il rinascimento.
Pablo Picasso, chitarra su piedistallo, 1920
Il cubismo sintetico
L’anno 1913 segna una svolta importante nella storia del cubismo. Non è la tecnica, questa volta, che viene rimessa in questione, ma il metodo. Ci si accorse che non era necessario osservare gli oggetti per riprodurli e che si poteva ugualmente fissarne gli attributi essenziali. I principi del cubismo analitico furono rovesciati, poiché l’immagine veniva sintetizzata su elementi o forme preesistenti, piuttosto che essere creata attraverso un processo di frammentazione. Una delle conseguenze del cubismo sintetico fu la reintroduzione del colore nei dipinti di Braque e Picasso. Questi sono anche gli anni dell’affermazione del movimento che a Parigi divenne il linguaggio d’avanguardia dominante, contando su molti seguaci.
Fernand Leger, fumo, 1912
L’esaurimento – non esaurimento del cubismo
La prima guerra mondiale doveva porre brutalmente termine alle attività della maggior parte dei cubisti. Braque, Léger, Metzinger, Gleizes, Villon e Lhote vennero chiamati al fronte. La Fresnaye, riformato, e Marcoussis, di nazionalità polacca, si arruolarono. Molti di loro, certo, verranno riformati e si rimetteranno al lavoro prima della fine della guerra. Ma le cose non torneranno come prima. Ad ogni modo il cubismo risultò estremamente adattabile e fu il punto di partenza o la componente essenziale di molti altri movimenti. Costruttivismo, futurismo, orfismo, purismo e vorticismo, sono solo alcuni nomi dei movimenti artistici che senza cubismo sicuramente sarebbero stati un’altra cosa. Nelle arti applicate il cubismo fu una delle risorse dell’art déco, e più in generale ebbe un enorme e vario impatto sulla cultura pittorica moderna.
La pittura cubista diede agli artisti la totale libertà di rapportarsi alla realtà in modi diversi. Braque e Picasso spalancarono la porta della modernità sviluppando un’arte i cui sviluppi sono stati e continuano ad essere alla base di gran parte della migliore arte contemporanea.
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Quando si parla d’arte spesso si prendono in ballo critici e storici dell’arte. Qui vi voglio parlare della critica d’arte. Di che si tratta? Quando nasce e come si è evoluta nel tempo? Critica d’arte, nel suo significato più ampio, sta ad indicare qualsiasi commento su un’opera contemporanea o del passato. Le sue radici affondano nella storia degli antichi greci. All’epoca si definiva ekphrasis e stava ad indicare la descrizione accurata di oggetti di valore artistico, come scudi, vasi, dipinti. Un fatto è certo: qualsiasi critica d’arte implica un giudizio, esplicito o meno, sull’opera
che viene considerata. Qualsiasi commento a un quadro prevede un gusto, una prassi artistica, una visione della storia e un’estetica. Ogni critica quindi si radica in un determinato contesto socioculturale. La storia della critica quindi aiuta a comprendere meglio i nostri gusti e diventa una disciplina ausiliaria della storia dell’arte.
Una critica d’arte implica, da parte di chi la scrive, una certa considerazione per gli artisti. Quindi possiamo dire che nacque quando pittori e scultori si emanciparono, uscendo dall’anonimato nel quale per lungo tempo furono relegati. I primi tentativi di critica sono stati spesso intrapresi dagli artisti stessi, come lo scultore Xenocrate, principale fonte di Plinio il Vecchio. Con lo svilupparsi del mercato, col costituirsi di collezioni, con l’interesse per le arti visive della filosofia antica e col moltiplicarsi dei viaggi, compare una critica di amatori, spesso letterati. Per loro l’interesse di un quadro sta più nel contenuto (soggetto) che nella modalità della rappresentazione (forma). Ad ogni modo, si trattasse di artisti o amatori, la riflessione antica sull’opera d’arte ha preparato gli strumenti della futura critica d’arte. Certo, la terminologia era ancora ai primi passi, ma si delinearono già i concetti, si precisarono le categorie: verosimiglianza, bellezza, edonismo, utilitarismo… Verso la fine dell’antichità sembra che gli ultimi ostacoli siano rimossi quando si sviluppa la nozione di “fantasia”, segno di un riconoscimento della creatività dell’artista.
Medioevo
Il quasi monopolio della Chiesa nell’organizzazione della produzione artistica, comportò un brusco mutamento delle condizioni socio-culturali, ritardando di più di un millennio la nascita di una critica d’arte vera e propria. Infatti gli artisti tornarono ad essere ignorati, segregati, dato che il medioevo codificò solo le arti meccaniche. I pittori solo col tempo troveranno un loro posto nella società, restando sulle prime di nuovo confinati nell’anonimato. Sul finire del medioevo gli artisti entreranno nelle gilde professionali, accanto ai droghieri. Quando questi artigiani prenderanno in mano la penna, sarà solo per trasmettere procedimenti tecnici, ricette del mestiere. Gli unici scritti dedicati alla pittura saranno quindi, per molto tempo, manuali di bottega.
Inoltre diffidenza iconoclastica, ascetismo e svalutazione del mondo terreno, contribuiscono a limitare al minimo le espressioni critiche sull’arte. Nel medioevo per la Chiesa l’arte deve avere una funzione precisa: parlare ai fedeli, divulgare il messaggio divino. Deve piegarsi a questa esigenza raccontando in modo semplice, chiaro ed elementare. Per questo le poche notazioni critiche positive che emergono nella letteratura medievale assumono spesso carattere quasi clandestino, e sono da cogliere, spesso fra le righe, in testi dispersi. Troviamo ad esempio testi che descrivono monumenti cristiani, reali o immaginari, dove l’accento cade sempre sul programma iconografico e sul suo valore edificante. Oppure ancora guide topografiche fondate sui tesori degli itinerari di pellegrinaggio.
Rinascimento
Nel XV secolo si apre in Italia l’età dell’oro della poetica artistica: il trattato prende il posto del manuale e prepara l’arrivo del saggio. La nascita di testi teorici con regole precise ci fanno capire quanto la voglia di rispettabilità fosse forte tra gli artisti. La pittura cerca nelle scienze e nell’erudizione la giustificazione della sua pretesa allo status di arte liberale. Questa ripresa dell’emancipazione sociale dell’artista, porta Michelangelo ad essere definito “divino” e genera l’interminabile disputa tra pittori, poeti, musicisti e scultori. Alberti, Leonardo, Dürer, Vasari, Zuccaro, Lomazzo, Poussin, Reynolds e molti altri diventano parte di una genealogia di pittori-filosofi, umanisti eruditi. Inoltre gli scrittori portano il loro contributo e partecipano a questo rinnovamento.
All’inizio ogni cosa, per essere chiamata arte, deve essere soggetta alla “misura”, frutto dell’esperienza, e la pittura si afferma come un metodo razionale di conoscenza. Alla natura si aggiunge un secondo oggetto dell’imitazione: l’antico. Al suo posto presto verranno presi a modello i grandi maestri, Raffaello, Michelangelo, Tiziano, la cui opera è chiamata a recitare il ruolo d’una natura migliorata, e fonte della “grande maniera”. Da qui l’alternarsi di naturalismo e idealismo, verità e bellezza, che accompagnerà a lungo la storia dell’arte. Un altro aspetto fondamentale è la riscoperta della storia, annunciata sin dal XV secolo fiorentino e culminante nelle Vite vasariane, che sviluppa una meditazione sul senso dell’evoluzione dell’arte e delle sue forme.
Dal seicento in poi
A partire dal Seicento i critici cominciarono a soffermarsi di più sugli stili degli artisti, quasi a voler creare un parallelo tra stili artistici e stili letterari. In questo secolo ci hanno lasciato importanti testimonianze di critica d’arte Giovanni Battista Agucchi, diplomatico pontificio, arcivescovo cattolico, scrittore ed esperto d’arte. E Pietro Bellori, uno dei biografi più importanti degli artisti del Barocco. Storico dell’arte, Bellori da molti è visto come l’equivalente di epoca barocca di Giorgio Vasari. Con l’arrivo del Settecento, secolo dei lumi, emergono nuovi importanti contributi. Denis Diderot, filosofo ed enciclopedista, che con i suoi testi fece strada alla critica di attualità e all’arte impegnata. E Johann Joachim Winckelmann che realizzò un’imponente trattato di storia dell’arte, esprimendo molti giudizi critici.
Arrivando all’Ottocento non si può non citare John Ruskin, scrittore, pittore, poeta e critico d’arte britannico. John rivalutò l’arte del medioevo e con la sua interpretazione dell’arte e dell’architettura influenzò l’estetica vittoriana ed edoardiana. Pensiamo anche a Konrad Fiedler e Adolf von Hildebrand, che fecero fare un passo avanti alla critica d’arte liberando l’idea di buona arte dai vincoli del modello di imitazione della natura. Con il XX secolo arrivano personalità quali Benedetto Croce e Lionello Venturi, uno dei precursori della storia della critica d’arte. Ma soprattutto con il Novecento si fanno strada nuovi media e di conseguenza sempre più spesso i grandi personaggi della critica d’arte saranno legati alla radio e alla televisione, più che ai testi e ai saggi. In Italia parliamo di Federico Zeri, Achille Bonito Oliva, Vittorio Sgarbi, Philippe Daverio, solo per citare i più celebri.
Federico Zeri
La critica oggi
Oggi, la diversità degli approcci riflette un arricchimento della critica d’arte, che continua ad aprirsi agli apporti delle varie scienze umane. Psicologia, sociologia, fenomenologia esistenzialista, semiologia, teoria dell’informazione… Questa moltiplicazione
dei punti di vista non può essere altro che positiva, a condizione che l’uso di terminologie prese in prestito non porti alla perdita del carattere specifico della pittura. La tendenza comunque è quella della trasversalità del linguaggio per cercare di studiare e divulgare in maniera chiara, autorevole semplice. Oggi sia la critica che la storia dell’arte hanno l’arduo compito di avvicinare un pubblico sempre più distante, refrattario alle spiegazioni difficili, alle complicate analisi scientifiche.
Ed eccoci a una nuova opera, il bacio alla finestra, che voi stessi avete votato di più tra quelle dell’artista Edvard Munch, in occasione del sondaggio realizzato nella community di Artesplorando su Facebook. Per questi che forse è il più grande artista norvegese, il colore cessa di essere descrittivo per diventare funzionale all’evocazione di una profonda inquietudine esistenziale. Munch si immedesima con la propria arte rappresentando la sua intera crescita interiore e il rapporto conflittuale con le donne. Una ricerca che raggiunge l’apice nel cosiddetto Fregio della vita, un ciclo di opere incompiuto che comprende alcuni dei suoi più celebri dipinti: l’urlo e il bacio alla finestra per l’appunto.
All’eccitazione della mente, in continua ricerca di un senso ultimo e fondante rispetto alle imprevedibili sofferenze della vita, corrisponde, sul piano figurativo, una sorte di semplificazione deformante. Nel bacio alla finestra i volti degli innamorati non si congiungono per un istante a significare trasporto amoroso, ma si compenetrano fino a dissolversi. Quello che vediamo è un abbraccio informe che sembra avere la stessa ineluttabile violenza della morte. Se questo è l’amore, la morte non potrà che essere ancora più inquietante, inumana e mostruosa. E in effetti Munch ce ne ha dato prova spesso con le sue opere in cui colori, pennellate e composizione concorrono nel creare immagini di una profonda inquietudine esistenziale.
Breve biografia della vita e delle opere di Georgia O’Keeffe artista statunitense tra i pionieri del modernismo. Nuovo video della serie artisti in 10 punti realizzato con lo scopo di farvi conoscere i protagonisti dell’arte. In questi brevi video avrete modo di conoscere in pochi minuti le caratteristiche principali, le curiosità e alcuni aspetti meno noti di molti artisti.
Pittrice americana, cresciuta in una famiglia numerosa, Georgia O’Keeffe espresse presto il suo talento creativo. Allieva di William Merrit Chase a New York dal 1907, presto si ribellò all’Accademismo e all’imitazione dei pittori europei. Particolarmente importante per lei fu lo studio con Arthur Wesley Dow, attento cultore dell’arte cinese e giapponese. Arthur riteneva che l’arte dovesse essere espressione dei sentimenti dell’artista, resi attraverso una composizione armonica di linee, colori e tonalità. Tutte idee che la O’Keeffe mise in pratica dal 1915 e che costituirono la base del suo stile che la collocò tra i pionieri del modernismo in America.
Il video è anche sottotitolato in italiano, inglese, francese e spagnolo. Per i sottotitoli in lingua straniera puoi contribuire anche tu! Segui quindi la playlist “artisti in 10 punti” per non perderti mai nulla e lascia un commento sotto ai video in cui puoi tu stesso suggerirci opere oppure nuovi temi da trattare in futuro. Il tuo contributo quindi è prezioso.
Breve biografia della vita e delle opere dell’artista svizzero Paul Klee. Nuovo video della serie artisti in 10 punti realizzato con lo scopo di farvi conoscere i protagonisti dell’arte. In questi brevi video avrete modo di conoscere in pochi minuti le caratteristiche principali, le curiosità e alcuni aspetti meno noti di molti artisti.
Pittore, autore di stampe, insegnante e scrittore d’arte, Paul Klee è una delle figure più amate dell’arte del XX secolo. Padre tedesco e madre svizzera, entrambi insegnanti di canto e musica, Klee ricevette anche un’educazione musicale e fu lui stesso violinista a livello professionale. Nel 1898 partì per Monaco di Baviera e si iscrisse all’Accademia di belle arti: qui studiò sotto la guida di Franz von Stuck. In questo periodo iniziò a scrivere i suoi Diari, che arrivarono fino al 1918. La prima fase dei propri studi fu giudicata da Klee insoddisfacente, ma comunque lo introdusse alla grafica di derivazione Jugendstil propria dell’atmosfera secessionista.
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Giorgione, Madonna con bambino, disegno a matita rossa
Studiare e analizzare Giorgione e come lasciarsi catturare da un giallo. Dove però non bisogna aspettare l’ultima pagina per leggere la soluzione dell’enigma. Con Zorzi da Castelfranco risolto un mistero se ne apre un altro. La professoressa Jaynie Anderson dell’Università di Melbourne, sta girando l’Italia per far conoscere i passaggi che hanno portato alla sua ultima scoperta. La certezza che Giorgione è morto di peste a Venezia nel 1510 a 36 anni. Come ci si è arrivati? Nel 2017 la giovane bibliotecaria dell’Università di Sydney, Kim Wilson, sta riordinando il settore dei libri rari. Ad un certo punto si imbatte nell’edizione della Commedia di Dante pubblicata a Venezia nel 1497. Nell’ultima pagina, nascosta, c’è la precisa indicazione del decesso del pittore: “Zorzo da Castelo Francho morì a Venezia di peste il 17 settembre a 36 anni”.
Una data che cambia tutto
L’anno 1510 è trascritto in alto sul foglio. Tramite email viene chiesto un parere alla Anderson. Aspetta qualche giorno. Poi risponde. Quel disegno a matita rossa è di Giorgione. Quali sono conseguenze del ritrovamento? Anticipare l’anno di nascita, anche se di pochi anni, del pittore rispetto alla data ipotizzata dal Vasari che la poneva intorno al 1477, vuol dire cambiare tutto: ripensare le fasi della sua formazione; riconsiderare i suoi rapporti con Giovanni Bellini.
Giorgione, ritratto di giovane donna, conosciuto come Laura
Un pittore che ispirò molte generazioni
Dopo la morte di Giorgione al suo stile si ispirano molti giovani allievi. Ma anche lo stesso Bellini. “All’epoca ottantenne e nel pieno della maturità artistica”. E anche rivedere la datazione delle opere giovanili. Il mistero risolto ne ha causato altri. A proposito di peste sono andato a rileggere il breve saggio scritto da Lionello Puppi, il grande studioso recentemente scomparso, per la mostra dedicata a “Giorgione” tra il 2009 e il 2010. Puppi si chiede se la suddetta peste, Vasari accenna chiaramente ad un’infezione dovuta ad un rapporto erotico, non sia riconducibile al mal francese, la sifilide. “Spesso associata dalle cronache dell’epoca alla figura della meretrice”.
Leonardo, ritratto di Ginevra de Benci
Non deve stupire che sia rimasto infettato da una di quelle madonne che frequentavano i convegni di amici. Sul finire del 400 fra le prostitute presenti a Venezia c’erano quelle che si facevano notare “per vivacità intellettuale, per ricchezza culturale, per l’esercizio del canto e della musica” conquistando posizioni sociali notevoli. Il Ritratto di giovane donna di Giorgione, conosciuto come Laura iniziato nel 1506 oggi al Kunsthistorisches di Vienna, è stato variamente interpretato. Dal punto di vista compositivo è stato avvicinato a Ginevra de’ Benci di Leonardo, con quella testa di donna inserita in un’allegorica composizione di foglie. Ma è stato anche accostato a Laura del Petrarca. Ad una poetessa cortigiana. Per l’ostentata sensualità del seno nudo sfiorato dalla pelliccia. Forse un’allusione all’erotismo del matrimonio. O un chiaro riferimento alla condizione di cortigiana.
Fausto Politino
Laureato in filosofia, iscritto all’ordine dei pubblicisti di venezia e già collaboratore del Mattino di Padova. Ora scrivo per la Tribuna di Treviso. Potete seguirmi anche su Twitter: PolitinoF.
Cézanne cominciò a realizzare quadri con Le grandi bagnanti dal 1870 in poi. Si tratta di numerose composizioni sia di bagnanti maschili che femminili, singolarmente o in gruppi. In particolare verso la fine della sua vita, dipinse tre grandi gruppi femminili di bagnanti. Oltre all’opera presente nella National Gallery, le altre due le troviamo conservate negli Stati Uniti. Una alla The Barnes Foundation di Merion alla periferia di Philadelphia e l’altra al Museum of Art di Philadelphia. Cézanne lavorò alle tre tele contemporaneamente nei sette anni che precedettero la sua morte, avvenuta nel 1906 per una congestione polmonare. In tutte le versioni delle Bagnanti le donne sono creature anonime, prive di espressione o soggettività. Sono degli archetipi e cioè dei modelli in cui l’artista è più interessato alla loro essenza che all’individualità.
L’interesse primario di Cézanne era per la composizione nella sua interezza, per l’armonia tra figure e natura e tra forma e colore. In tali opere, Cézanne reinterpretò una lunga tradizione di dipinti con figure nude poste in un paesaggio, realizzate in passato da artisti come Tiziano e Poussin. Ma mentre questi pittori per i soggetti delle loro opere presero spunto dai miti classici della Grecia antica, Cézanne non utilizzò fonti letterarie dirette. Invece il suo tema centrale è semplicemente l’armonia delle figure con il paesaggio, espressa attraverso forme solide, una struttura architettonica rigorosa, e la tonalità dei corpi.
Queste bagnanti sono estremamente semplici e dipinte grossolanamente. Le creature femminili che scherzano sulla riva del fiume non sono aggraziate, sono piuttosto robuste, spigolose, paffute, goffe nelle loro proporzioni e non hanno nulla di erotico. Figure e paesaggio così generalizzati arrivano ad avere lo stesso peso e la stessa importanza nell’opera. Quando fu esposto nel 1907 questo dipinto divenne una fonte di ispirazione per il nascente movimento cubista. Sia Picasso che Matisse espressero un forte interesse per questa tela.
Nei grandi dipinti delle bagnanti Cézanne ha espresso il suo ideale di perfetta armonia tra uomo e natura. Un’armonia in cui l’artista non ha nessun ruolo. Rappresentando in maniera primitiva le figure, e non chiarendo cosa stiano facendo, il pittore le ha spogliate della loro individualità e le ha così rese eterne. Sono esseri astratti che, incompiuti e senza uno scopo chiaro, aprirono la strada a una nuova forma d’arte in cui dominarono la composizione, la forma e il colore. Una forma d’arte che seguì nuove regole che portarono alla contemporaneità.
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Il grande Claude Monet negli anni settanta dell’Ottocento era un pittore con idee radicali e pochi soldi in tasca. Lui insieme a un gruppo di amici artisti diede vita a un nuovo tipo di pittura che sarebbe poi stata chiamata “impressionista”. Monet e i pittori dell’impressionismo vollero fermare sulla tela l’istante del quotidiano, rivolgendo il proprio interesse a luoghi popolari, amati dalla piccola borghesia parigina. Bagnanti alla Grenouillère raffigura proprio uno di questi luoghi all’aria aperta. La Grenouillère, uno stabilimento balneare sulla Senna vicino a Bougival, a ovest di Parigi. Nell’estate del 1869 Monet viveva vicino alla Grenouillère con la sua amante, Camille, e il loro figlio.
Lavorando fianco a fianco con un altro artista impressionista, Renoir, dipinse schizzi della scena in un modo molto fresco e diretto, forse in preparazione di una tela leggermente più grande, oggi perduta. Fanno bella mostra nel dipinto molte barche ormeggiate vicino a due pontili di cui uno dei due portava a un caffè galleggiante nel quale i bagnanti potevano trovare ristoro. Il luogo era chiamato “lo stagno delle rane” perché i visitatori potevano farsi intrattenere da donne di facili costumi, chiamate popolarmente “rane”. Sul lungo pontile che divide in due l’opera vediamo alcune figure accennate. In particolare, sulla destra, due donne in costume da bagno sembrano avvicinare un uomo con giacca e cappello.
Uno stile libero, fresco e anticonvenzionale
Pochi tocchi di pennello e l’approccio amoroso è confermato dall’atteggiamento di una delle due che si inclina appoggiando una mano sui fianchi. Lo stile eccezionalmente libero e fresco di quest’opera di Monet può essere in parte dovuto al fatto che la tela era solo un abbozzo di ciò che doveva essere una più ambiziosa composizione dipinta in un secondo momento in studio. Quello che doveva essere un bozzetto però venne presto firmato e messo in vendita dall’artista che aveva bisogno di racimolare un po’ di soldi.
La pennellata è libera, informale, spontanea, in contrasto con la pittura accademica allora in uso. Il pittore utilizzò grandi aree di colore per indicare le barche ormeggiate in ombra, mentre i puntini che scorgiamo nell’acqua illuminata sullo sfondo, rappresentano un gruppo di bagnanti nel fiume. Un attento esame, fatto sull’opera con la tecnica dei raggi X, ha evidenziato che Monet ebbe diversi ripensamenti e addirittura capovolse la tela per ricominciare da capo. Quindi in fondo cogliere la giusta impressione non era così semplice e poteva richiedere molto tempo e diversi tentativi. Esattamente come avviene per un fotografo alla ricerca dello scatto perfetto.
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Dieci opere d’arte tra acqua e cielo, un sottile confine che gli artisti hanno saputo rappresentare con grande maestria. Nuovo video della serie “10 momenti di …”, realizzato da Artesplorando con lo scopo di offrirvi dei punti di vista originali sull’arte.
Tra acqua e cielo. Spesso gli artisti hanno preso ispirazione da quel sottile limite che divide acqua e cielo. Un limite fatto di riflessi, di immagini luminose e terse, ma anche cupe e burrascose. In particolare i romantici e gli impressionisti si sono lasciati ispirare da questi paesaggi. Per motivi diversi. I primi attratti dalla potenza e dalla violenza della natura. I secondi interessati a cogliere la luce e i suoi effetti sulle varie materie con il trascorrere del tempo e delle stagioni. Lasciatevi quindi trasportare attraverso questi splendidi paesaggi.
Troverai un breve commento alle seguenti muse: Eugène Boudin, spiaggia a Trouville, 1893 Gustave Courbet, spiaggia vicino a Trouville, 1865 Giovanni Fattori, vento da sud-ovest Vincent van Gogh, spiaggia in tempesta a Scheveningen, 1882 Theodore Gericault, il relitto, 1821-24 Paul Gauguin, la spiaggia a Dieppe, 1885 Martin Johnson Heade, tempesta in arrivo: spiaggia vicino a Newport, 1861-62 Peter Severin Kroyer, ragazzi che fanno il bagno a Skagen. Sera d’estate, 1899 Claude Monet, regata a Sainte-Adresse, 1867 Jan Toorop, il collezionista di conchiglie, 1891
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Breve biografia della vita e delle opere di Felice Casorati, esponente del realismo magico. Nuovo video della serie artisti in 10 punti realizzato con lo scopo di farvi conoscere i protagonisti dell’arte. In questi brevi video avrete modo di conoscere in pochi minuti le caratteristiche principali, le curiosità e alcuni aspetti meno noti di molti artisti.
Unico figlio maschio di una famiglia di origine pavese, nota per matematici, giuristi e medici, Felice Casorati seguì gli spostamenti del padre, militare di carriera e pittore dilettante, manifestando un precoce interesse per la musica. A Padova nell’adolescenza un esaurimento nervoso lo costrinse ad abbandonare lo studio del pianoforte: convalescente si avvicinò alla pittura che, dopo gli studi classici e la laurea in legge, diventò la sua principale occupazione.
Per capire un po’ il fare artistico di Casorati è il caso di citate ciò che scrisse nel 1911:
Vorrei saper proclamare la dolcezza di fissare sulla tela le anime estatiche e ferme, le cose immobili e mute, gli sguardi lunghi, i pensieri profondi e limpidi, la vita di gioia e non di vertigine, la vita di dolore e non di affanno.
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