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Thomas Couture, i romani della decadenza

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Thomas Couture, i romani della decadenza
Thomas Couture, i romani della decadenza

Le enormi dimensioni di questa tela di Thomas Couture ci confermano le altrettante grandi ambizioni dell’artista che impiegò tre anni per completare i romani della decadenza. L’autore desiderava provocare con il suo quadro un rinnovamento della pittura francese. Per raggiungere questo scopo, senza molta originalità, si voltò verso il passato, ai maestri dell’antica Grecia, del Rinascimento italiano e della scuola dei pittori fiamminghi. Il dipinto è un perfetto esempio d’eclettismo, un tipo d’arte che prendeva in prestito spunti da diversi periodi artistici e che avrebbe segnato il gusto nella seconda metà del XIX secolo. L’opera inoltre si inserisce all’interno della cosiddetta pittura storica che, all’epoca, era considerata il genere pittorico più nobile. Questo tipo di pittura cercava di fissare della tela azioni umane del passato dalle quali poter ricavare un messaggio morale e il risultato è ben visibile in questi grandi romani decadenti.

Qui i nudi sono all’antica, ovvero conformi all’ideale di bellezza degli scultori greci. L’architettura si rifà alle opere di Veronese, pittore italiano della Repubblica di Venezia, e in particolare a quella che fa da sfondo alle Nozze di Cana. Domina il centro del quadro un banchetto gremito di persone, tutte contraddistinte dall’ubriachezza e dalla dissolutezza. Ormai totalmente ubriachi, i personaggi sono colti mentre continuano a bere e a ballare. In primo piano tre uomini non partecipano a questo festino. A sinistra un ragazzo dall’aria triste seduto su una colonna, a destra due ospiti stranieri che osservano disgustati la scena. Il tutto è inserito in un fondale classico con colonne e statue dei romani del passato, simbolo delle antiche virtù. Statue che sembrano condannare il degradante spettacolo che sono costretti a vedere.

Il messaggio di Thomas Couture contenuto nell’opera

Ma qual era il messaggio da comunicare? Ce lo spiega Couture che citò, nel catalogo del Salon del 1847, dove il quadro fu esposto, due versi del poeta romano Giovenale.

Più crudele della guerra, il vizio si è abbattuto su Roma e vendica l’universo dei vinti.

I Salon erano esposizioni periodiche di pittura e scultura che si svolgevano a Parigi e Couture colse l’occasione per rivolgersi con quest’opera alla società francese del suo tempo. Repubblicano e anticlericale criticò la decadenza morale che percorse la Francia durante la monarchia di luglio proclamata il 9 agosto 1830, dopo i moti rivoluzionari, i cui politici erano stati coinvolti in una serie di scandali. Ecco che il quadro diventa un’allegoria realista in cui vediamo, più che i romani, i francesi della decadenza.

C.C.

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Tiziano, l’imperatore Carlo V a Mühlberg

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Tiziano, l'imperatore Carlo V a Mühlberg
Tiziano, l’imperatore Carlo V a Mühlberg

La storia di questo ritratto è legata a due figure unite da un rapporto di committenza. Il grande Tiziano da un lato e dall’altro l’imperatore Carlo V. Il primo è uno dei pochi artisti che hanno avuto un ruolo veramente incisivo nell’evoluzione dell’arte, introducendo un nuovo modo di maneggiare i colori, di mettersi in relazione con le figure che stanno dentro l’opera, di stendere i colori sulla tela. Il secondo è una delle più importanti figure della storia d’Europa, incoronato re di Spagna e d’Italia, Arciduca d’Austria e Imperatore del Sacro Romano Impero Germanico. Sovrano di un impero talmente vasto ed esteso che gli viene tradizionalmente attribuita l’affermazione: “Il mio regno è tanto vasto che non tramonta mai il sole”.

L’opera rientra in quella categoria chiamata ritratto di Stato che nacque e si sviluppò in ambito politico per celebrare e ricordare re e sovrani. Un tipo di ritratto che esalta l’autorità e la maestà regale. Qui in particolare viene ricordata un’importante vittoria ottenuta da Carlo V a Mühlberg, in Germania. La battaglia fu decisiva nella guerra contro i principi tedeschi che avevano aderito alla Riforma protestante. Riforma che protestava contro la corruzione, l’eccessiva ricchezza e i vizi della chiesa di Roma. Tiziano ambienta il ritratto al calar della sera, facendo apparire Carlo V come un eroe solitario. Sullo sfondo vediamo un paesaggio che si perde all’orizzonte. Il sovrano ci appare umano e fragile, ma guidato da una volontà ferrea, protetto dalla splendida corazza e indifferente all’impeto del cavallo che scuote il drappo rosso.

Tiziano inventa un modello di ritratto

Qui Tiziano si ispirò ai monumenti degli imperatori romani a cavallo, creando un modello fondamentale per gli artisti delle generazioni dopo la sua. Da Rubens a Van Dyck, da Rembrandt a Velazquez, da David a Manet. Carlo V aveva chiamato Tiziano accanto a sé come pittore di corte riservandogli dei privilegi mai concessi prima a un artista. Pensate che gli venne riservato un appartamento adiacente a quello del sovrano, con possibilità di accesso diretto. La fiducia di Carlo V però fu ben riposta in quanto Tiziano, con quest’opera, fissò la gloria dell’imperatore vittorioso, in maniera indelebile, sulle pagine della storia.

Una curiosità: l’opera venne danneggiata ben due volte. Mentre asciugava all’aria, appena dopo esser stata conclusa, cadde a terra spinta dal vento e si rovinò la parte posteriore del cavallo, poi ridipinta da un altro pittore. Nel 1743 il dipinto superò un incendio scoppiato al palazzo di Madrid, che lasciò però un alone scuro all’estremità inferiore della tela, sotto le zampe del cavallo.

Continua l’esplorazione …

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Diego Velazquez, Cristo crocifisso

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Diego Velazquez, Cristo crocifisso
Diego Velazquez, Cristo crocifisso

L’opera che vedete qui racchiude una storia di riscatto e redenzione dai peccati e riguarda uno degli uomini religiosi più potenti di Spagna. Questo dipinto di Diego Velazquez fu realizzato verso il 1632 dopo il rientro dell’artista da un viaggio in Italia. Venne commissionato per il Convento di San Plácido a Madrid da Jerónimo de Villanueva che fondò quel convento nel 1623 e fu il braccio destro di molti nobili al potere, ricoprendo anche cariche istituzionali. Il potere di Villanueva era tale da consentirgli di commissionare un’opera niente meno che al pittore del re, Velázquez appunto, che all’epoca era già ben inserito a corte. Parlavamo di una storia di riscatto perché Villanueva fu implicato in un processo che lo accusò d’aver favorito in diversi affari i banchieri ebrei del Portogallo, molto odiati dalla corona spagnola.

Quindi la sua decisione di commissionare a Velazquez una crocifissione monumentale potrebbe essere intesa come il desiderio d’esprimere la propria innocenza. Ma anche la propria fedeltà ai reali di Spagna e alla religione cattolica. La cosa certa è che il risultato fu un capolavoro in cui la perfezione anatomica di Cristo e la sua carnagione pallida richiamano l’opera di artisti italiani dell’epoca, come Guido Reni. Velazquez ritorna però anche all’immagine dei crocifissi medievali in cui i chiodi erano quattro, due per le mani e due per i piedi. Dal Trecento in poi si usò rappresentare Cristo con un solo grosso chiodo che trapassa entrambi i piedi. Dalle ferite vediamo colare sangue in abbondanza. Una caratteristica un po’ macabra che identifica la devozione spagnola in maniera particolare e che ritroviamo nelle statue che ancora oggi sono portate in processione in molte città di Spagna.

Diego Velazquez crea una bellezza divina

Nonostante le ferite e la morte però il volto di Cristo sembra disteso e non mostra più gli spasmi del dolore. In maniera molto scrupolosa il pittore scrisse sulla targhetta in cima al crocifisso la frase “Gesù di Nazarteh Re dei Giudei” in tre lingue: ebraico, greco e latino. Il fondo scuro isola il crocifisso e lo trasforma in un’immagine di valore universale che va oltre lo spazio e il tempo. C’è una curiosità che riguarda il ciuffo di capelli che scende a coprire metà del volto di Cristo. Secondo alcuni sarebbe stato un espediente dell’artista che, irritato, lo realizzò per nascondere una parte del viso di cui non era per niente soddisfatto. Al di là delle leggende però Velazquez sicuramente qui ha saputo dare alla figura di Cristo una bellezza divina, serena e inafferrabile, rendendolo il più bello tra gli uomini.

Continua l’esplorazione

Allora, vi è piaciuta quest’opera? Conoscevate già Diego Velazquez? Scrivetemi impressioni, pareri, suggerimenti e rimanete ancora con me su Artesplorando 🙂

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C.C.

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Alexandre Cabanel, nascita di Venere

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Alexandre Cabanel, nascita di Venere
Alexandre Cabanel, nascita di Venere

Quest’opera rappresentò uno dei grandi successi del Salon Parigino del 1863 dove fu acquistata per la collezione personale di Napoleone III. L’imperatore dei francesi spese la somma di ben 20.000 franchi, una cifra molto alta per l’epoca. I Salon erano eventi espositivi a cadenza biennale in cui si esponeva quello che veniva considerato il meglio dell’arte uscita dalle accademie. Il pittore che realizzò questo dipinto, Alexandre Cabanel, fu molto apprezzato nel suo tempo. Esercitò una carica rilevante all’interno dell’Accademia di Belle Arti di Parigi e nella gestione dei Salon stessi. Il successo di Cabanel fu dovuto al suo stile virtuoso, composto da una tecnica pittorica molto precisa e da tematiche prese dalla storia o dalla mitologia. Insomma un esempio perfetto dell’arte che piaceva al pubblico e alle istituzioni a metà del XIX secolo.

L’artista seppe mescolare uno stile vicino allo stimato Ingrès, uno dei maggiori esponenti della pittura neoclassica, con la pittura del XVIII secolo, generando una sorta di eclettismo apprezzato dal Secondo Impero di Napoleone III. L’opera piacque a tal punto che Cabanel firmò un contratto con l’importante casa di mercanti ed editori Goupil per stamparne molte copie, con la tecnica dell’incisione, da distribuire su larga scala, proprio come si fa oggi con i poster. Ma esattamente cosa abbiamo di fronte a noi? Si tratta di uno degli episodi della mitologia antica più famosi e rappresentati dagli artisti: la nascita di Venere. La dea della bellezza viene posata su una spiaggia dalla schiuma di mare mentre un gruppo di amorini le svolazzano intorno, alcuni suonando delle conchiglie. L’azzurro del cielo e del mare increspato contrastano con il rosa della morbida pelle di Venere che alza un braccio come se si stesse svegliando.

Due nudi, due reazioni diverse

Un tema di grande successo nel XIX secolo che fu per alcuni artisti l’alibi per rappresentare l’erotismo senza suscitare scandalo nel pubblico grazie al soggetto classico. La mitologia fu quindi la scappatoia per affrontare il nudo che nonostante sia idealizzato lascia trasparire sensualità e lussuria. Un fatto curioso per capire il gusto di pubblico, critica e istituzioni. Nello stesso anno in cui Cabanel presentò il dipinto, tanto acclamato, Edouard Manet, il pittore francese, provocatore di buona famiglia, espose la sua celebre Olympia, suscitando un enorme scandalo. Eppure il soggetto delle due tele è uguale. Una donna distesa nuda. Fece la differenza lo sguardo di tranquilla sicurezza con cui la donna rappresentata da Manet fissa noi spettatori. All’epoca fu considerato più provocante rispetto alla languida Venere di Cabanel.

C.C.

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Rogier van der Weyden, deposizione

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Rogier van der Weyden, deposizione
Rogier van der Weyden, deposizione

Solo in pochi sanno che il vero nome di Rogier van der Weyden è Rogelet de la Pasture, nato a Tournai, comune francofono del Belgio, intorno al 1399. Questo grande maestro conferì alle sue opere umanità e partecipazione, trasmettendo i sentimenti più disparati, ma sempre in modo composto e dignitoso. La deposizione fu dipinta su commissione della confraternita dei balestrieri per la chiesa di Notre-Dame a Lovanio, città al centro del Belgio. Le due minuscole balestre che pendono all’interno dei due motivi lignei agli angoli esterni del pannello indicano proprio i committenti. Molto curiosa è la forma dell’opera a T rovesciata, dovuta al fatto che non abbiamo la consueta spartizione in tre pannelli distinti, tipica dei cosiddetti “trittici”.

Lo spazio qui è unitario e le figure sono sapientemente distribuite al suo interno. Van der Weyden infatti non tolse solo la separazione in scomparti, ma usò al meglio le possibilità date da una superficie unitaria così ampia e articolata. Non a caso il corpo di Gesù e la Madonna svenuta sono collocati in orizzontale, cosa che sarebbe stata impossibile in un trittico. La figura della Maddalena all’estrema destra sembra assecondare con il corpo i contorni dell’opera e lo stesso vale per san Giovanni sul lato opposto. Il dipinto è inserito in un ambiente particolarmente stretto le cui pareti laterali sono visibili verso gli angoli. La parte centrale dell’opera è più alta e permette di collocare un’altra figura in profondità dietro alla Croce.

L’analisi della scena

In origine questo grande dipinto era munito di sportelli che permettevano la chiusura o apertura dell’immagine principale a seconda delle festività religiose. Al centro della tavola spicca la figura di Gesù, rappresentato con un corpo bellissimo e intatto, privo dei segni inflitti dalla tortura. La sofferenza traspare solo nel volto segnato dalle ferite provocate dalla corona di spine, e nel taglio sul fianco da cui il sangue scorre verso la gamba e sotto al perizoma. Gesù viene sorretto da tre uomini: un vecchio con la barba, probabilmente Nicodemo, discepolo di Gesù. Un giovane servo sulla scala con in mano due lunghi chiodi macchiati di sangue. Un uomo riccamente vestito, forse Giuseppe d’Arimatea, che donò a Gesù la propria tomba.

Completano la scena, a destra la Maddalena con un altro servo, e a sinistra Maria sorretta da San Giovanni Evangelista e dalle due sorellastre. Maria Salomè con la mano portata al volto e Maria di Clèofa. Nonostante un certo rigore religioso, l’opera riesce a trasmetterci tutti i sentimenti e la drammaticità delle emozioni di uno dei momenti più toccanti della storia di Gesù.

C.C.

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National Museum of Western Art di Tokyo

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Nuovo video della serie curata da Artesplorando, interamente dedicata ai musei e alla loro esplorazione. In questo approfondimento video scopriremo le 10 opere principali del National Museum of Western Art di Tokyo, selezionate secondo i miei gusti. Sarà come fare un viaggio virtuale nelle sale del museo con la mia voce a guidarvi.

National Museum of Western Art di Tokyo

Allestito in un edificio di Le Corbusier aperto nel 1959, il museo ha il suo centro nella collezione di scultura e pittura francesi dell’Ottocento raccolte dal facoltoso magnate Kojiro Matsukata. L’arte francese dei secoli XIX e XX continua a essere il suo punto di forza ma è stata costituita anche un’interessante raccolta di maestri antichi, con opere di Lorrain, Rubens, Tintoretto e altri importanti artisti.

➡ Tintoretto, ritratto di giovane come David, 1555-1560 circa
➡ Paul Gauguin, ragazze bretoni al mare, 1889
➡ Claude Monet, tre pioppi estate, 1891
➡ Giovan Battista Zelotti, matrimonio mistico di S. Caterina, 1574
➡ Claude Lorrain, paesaggio con satiri danzanti e ninfe, 1646
➡ Pieter Paul Rubens, due bambini che dormono, 1612-1613 circa
➡ Alessandro Magnasco, paesaggio con pastori, 1718-1725 circa
➡ Auguste Rodin, l’età del bronzo, 1877
➡ Eugene Delacroix, Cristo portato nel sepolcro, 1859
➡ Edmond Aman-Jean, ritratto di una donna giapponese, 1922

Il video è sottotitolato in italiano, inglese, francese e spagnolo. Per i sottotitoli in lingua straniera puoi contribuire anche tu! Segui quindi la playlist “Al museo con Artesplorando” per non perderti mai nulla e lascia un commento sotto ai video in cui puoi tu stesso suggerirci opere oppure nuovi temi da trattare in futuro. Il tuo contributo è prezioso. 😊

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➡ www.artesplorando.it/category/video/museo-in-video

Buona visione e buona lettura!

C.C.

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10 momenti di foresta

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Dieci momenti di foresta, alla scoperta di grandi capolavori della storia dell’arte che forse non vi saranno tutti noti. Nuovo video della serie “10 momenti di …”, realizzato da Artesplorando con lo scopo di offrirvi dei punti di vista originali sull’arte.

Le foreste hanno un ruolo insostituibile a livello biologico ed economico: contribuiscono alla tutela della biodiversità, sono fondamentali per la conservazione delle acque e del suolo, forniscono cibo a centinaia di milioni di persone, sono tra i principali serbatoi di assorbimento del carbonio. Ma le foreste hanno anche lasciato un segno nella storia dell’arte, diventando fonte di ispirazione per gli artisti di molte epoche.

10 momenti di foresta

Troverai un breve commento alle seguenti opere:
➡ Paolo Uccello, caccia notturna, 1470
➡ Albrecht Altdorfer, angolo di bosco con San Giorgio, 1510
➡ Jan Brueghel il Giovane, il Paradiso, 1620
➡ Jacob van Ruisdael, palude nella foresta, 1665
➡ François Boucher, la foresta, 1740
➡ Camille Corot, rocce nella foresta di Fontainebleau, 1860
➡ Ivan Shinshkin, alberi abbattuti dal vento, 1888
➡ Henri Rousseau, lotta fra una tigre e un bufalo, 1908
➡ Ernst Ludwig Kirchner, Wildboden-foresta montana, 1920
➡ Paul Klee, streghe della foresta, 1938

Il video è anche sottotitolato in italiano, inglese, francese e spagnolo. Puoi contribuire anche tu a migliorare i sottotitoli in lingua straniera, accedendo nell’apposito spazio del canale Youtube. Segui quindi la playlist “10 momenti di …” per non perderti mai nulla e lascia un commento sotto ai video in cui puoi tu stesso suggerirci opere oppure nuovi temi da trattare in futuro. Il tuo contributo quindi è prezioso. 😊

Letture consigliate

➡ Fantastica giungla. Foreste, boschi e riserve naturali della Terra https://amzn.to/2OQV8wC

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➡ www.artesplorando.it/2019/10/10-momenti-di-alberi.html

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Quindi buona lettura, ma anche buona visione!

C.C.

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Beato Angelico, Annunciazione

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Beato Angelico, Annunciazione
Beato Angelico, Annunciazione

Formatosi come pittore e miniaturista a Firenze, città del centro Italia, Beato Angelico per tutta la vita userà inserire nelle sue opere l’oro, i dettagli preziosi, i colori limpidi e i gesti delicati. Questo dipinto d’altare fu realizzato per il monastero di San Domenico a Fiesole, vicino a Firenze. Il pannello centrale mostra l’Annunciazione della nascita di Gesù fatta dall’Arcangelo Gabriele a Maria. L’episodio principale si svolge sotto un portico dalle belle forme. La scultura in rilievo esattamente sopra alla colonna centrale, ribadisce in modo simbolico la presenza di Dio Padre.

Presto però ci accorgiamo che a sinistra c’è un altro episodio: Adamo ed Eva che vengono espulsi dal Paradiso. Per quale motivo? Cosa c’entra tutto ciò con l’Annunciazione. Si può dire che rappresenti l’antefatto che rese necessaria l’incarnazione di Cristo per la redenzione dell’uomo e la cancellazione del peccato originale, commesso quando Eva decise di cogliere la mela proibita dall’albero della conoscenza, nel paradiso. Nella stessa opera abbiamo la dannazione e la salvezza dell’umanità e il raggio divino che attraversa la scena collega visivamente il Paradiso e la terra.

Beato Angelico, pittore di soggetti sacri

Il tema dell’Annunciazione è uno dei preferiti dal pittore fiorentino che ne realizzò almeno altre due versioni. L’umiltà di Maria è messa in risalto non solo dal gesto di devozione delle mani incrociate sul petto. Dalla semplicità dell’arredo della sua camera che intravediamo oltre la porta sul fondo del portico. Sotto la grande tavola dell’annunciazione c’è una parte stretta e lunga, chiamata “predella”, spesso presente nelle pale d’altare, con tante scenette dipinte. Queste immagini fissano momenti della vita di Maria. La sua nascita, le nozze con San Giuseppe, la visita alla cugina Elisabetta, la nascita di suo figlio Gesù Bambino, la Presentazione di Gesù al Tempio e la sua morte con Cristo che ne riceve l’anima in cielo.

Beato Angelico dedicò il suo lavoro esclusivamente ai soggetti religiosi, interpretando l’arte come un aspetto fondamentale della devozione ed era particolarmente attento a rappresentare nelle sue opere i minimi dettagli, le molteplici forme della natura, degli oggetti e delle persone raffigurate. Con il suo stile Beato Angelico fece da ponte tra lo stile gotico italiano e il nuovo linguaggio dello stile del Rinascimento. Questo lo vediamo ad esempio nella profondità spaziale che l’artista diede all’architettura dipinta che, pur in linea con le nuove regole geometriche della prospettiva, mostra ancora alcune imprecisioni. Pochi artisti come lui hanno saputo condensare immagini così delicate e sensibili, che conferiscono alle sue opere un aspetto mistico, decisamente fuori dal tempo.

Letture dal blog:

➡ www.artesplorando.it/tag/beato-angelico

Letture consigliate:

➡ Beato Angelico. L’alba del rinascimento. Ediz. illustrata https://amzn.to/2YR5G2A
➡ Beato Angelico per Giunti Editore https://amzn.to/32mw1HN

C.C.

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Sandro Botticelli, Nastagio degli Onesti, parte I, II e III

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Sandro Botticelli, Nastagio degli Onesti, parte I
Sandro Botticelli, Nastagio degli Onesti, parte I

Questi tre pannelli insieme a un quarto che oggi si trova in una collezione privata in Italia, illustrano la “Storia di Nastagio degli Onesti”. Il racconto è presente all’interno del Decamerone, una raccolta di 100 racconti opera dello scrittore e poeta italiano Giovanni Boccaccio. Nastagio era un nobile innamorato, ma respinto, da una giovane donna della sua stessa città. Spesa una fortuna per corteggiare inutilmente la fanciulla, Nastagio cominciò a meditare il suicidio. Tutto ciò fino a che, su consiglio dei suoi amici, decise di abbandonare la città in cui viveva. Proprio qui comincia la storia illustrata da Sandro Botticelli che creò splendide immagini sospese tra favola e realtà.

La storia di Nastagio raccontata da Sandro Botticelli

Nel primo pannello l’artista ci mostra Nastagio che, congedatosi dai suoi amici, entra nella pineta. Qui vede una donna nuda attaccata da mastini e inseguita da un uomo a cavallo. L’oscuro cavaliere è il fantasma di Guido degli Anastagi, il quale racconta d’essere stato innamorato anch’egli di una fanciulla che non corrispondeva i suoi sentimenti e che lo portò al suicidio. Quando anche la sua amata morì, fu condannata a una tortura destinata a ripetersi ogni venerdì per un numero di anni pari al numero di mesi in cui la giovane aveva ignorato il povero innamorato. La tremenda punizione prevedeva che il cavaliere catturasse la donna e ne strappasse il cuore dal petto per darlo in pasto ai suoi cani.

Sandro Botticelli, Nastagio degli Onesti, parte I
Sandro Botticelli, Nastagio degli Onesti, parte II

Nel secondo pannello, Nastagio fugge spaventato dopo aver assistito alla scena, mentre la persecuzione ricomincia con il fantasma della donna che si rialza e riprende la fuga sullo sfondo del dipinto. Dopo il suo iniziale senso di repulsione, Nastagio decide di sfruttare la storia invitando la sua amata, con tanto di famiglia al seguito, il venerdì successivo per partecipare a un banchetto nel luogo dell’apparizione.

Sandro Botticelli, Nastagio degli Onesti, parte III
Sandro Botticelli, Nastagio degli Onesti, parte III

Il terzo pannello mostra la reazione degli ospiti che assistono alla scena tra i due fantasmi. In questo modo la donna amata da Nastagio, vestita di giallo, tramite una cameriera, gli conferma che è disposta a sposarlo. Il quarto pannello, conservato a Firenze raffigura infine il banchetto di nozze.

Sandro Botticelli, Nastagio degli Onesti, parte IV
Sandro Botticelli, Nastagio degli Onesti, parte IV

Le scene hanno una spiccata tendenza narrativa ed è proprio ai fini del racconto che alcuni personaggi, tra cui Nastagio, vengono ripetuti più volte all’interno dello stesso dipinto.
La storia illustrata, specchio di una società maschilista, è un chiaro monito per tutte le giovani donne e un invito ad essere più remissive e arrendevoli ai desideri degli uomini.

Continua l’esplorazione …

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➡ Botticelli e il suo tempo http://amzn.to/2vSuM3m

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C.C.

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Scuola di Boemia

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Le Artesplorazioni sono una serie di video che vi guideranno tra i movimenti e i temi della storia dell’arte, rispondendo alle 5 domande: cosa, chi, dove, quando e perché. Oggi parliamo del … Scuola di Boemia!

Scuola di Boemia

Questo termine si riferisce all’arte prodotta in Boemia in un periodo di particolare vitalità culturale associato alla figura di Carlo IV che fu re di Boemia dal 1346 e imperatore del Sacro Romano Impero dal 1355. Dalla Francia e dall’Italia furono importati manoscritti che ispirarono una scuola locale di miniatura, ma i risultati più importanti della scuola di Boemia furono raggiunti nella pittura su tavola e nell’affresco. Sotto il figlio di Carlo, Venceslao, la pittura e in particolare la miniatura continuarono a essere coltivate, ma l’importanza di questa scuola cominciò a scemare.

Il video è anche sottotitolato in italiano, inglese, francese e spagnolo. Per i sottotitoli in lingua straniera puoi contribuire anche tu! Segui quindi la playlist “artesplorazioni” per non perderti mai nulla e lascia un commento sotto ai video in cui puoi tu stesso suggerirci opere oppure nuovi temi da trattare in futuro. Il tuo contributo quindi è prezioso. 😊

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➡ www.artesplorando.it/tag/gotico-internazionale

C.C.

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Gli audioquadri di gennaio 2020

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L‘audioquadro è un nuovo modo per conoscere i più grandi capolavori della storia dell’arte. In maniera semplice e in pochi minuti. Qui l’elenco di tutti gli audioquadri usciti a gennaio 2019.

Antonello da Messina - San Girolamo nello studio

Antonello da Messina | Ritratto d’uomo

Il Ritratto d’uomo risale molto probabilmente al periodo del soggiorno del pittore a Venezia, in un momento in cui era diffuso il gusto per la ritrattistica privata di piccolo formato. Non sappiamo chi sia il committente, ma il lungo cappello nero, che scende a punta sul petto, e la veste di colore rosso, definiscono un costume tipicamente veneziano, forse si tratta di un nobile. Le vicende del quadro ci sono ignote, ma sappiamo che arrivò nella collezione Borghese prima del 1790.

Antonello da Messina | Cristo alla colonna

Il dipinto, eseguito intorno al 1476, mostra un soggetto religioso caro ad Antonello da Messina di cui sono state eseguite diverse varianti. Cristo alla colonna. Il celebre pittore siciliano, occupa un ruolo chiave nella storia dell’arte italiana per merito del suo stile rivoluzionario, figlio delle molteplici esperienze e dei viaggi dell’artista lungo tutta la penisola italiana che gli permisero, tra l’altro, di entrare in contatto sia con la pittura nord-europea che con quella spagnola. Proprio per questa ragione, Antonello, riuscì a dare vita a quel straordinario mix tra arte italiana, con la sua compostezza formale, e quella fiamminga, dominata dalla luce e da un interesse per il naturalismo.

Antonello da Messina | Annunciata

Un dipinto che è stato per anni oggetto di indagini e studi di vario genere perché considerato “misterioso”. Ancora oggi è ritenuto uno dei dipinti più enigmatici, e sicuramente uno dei più significativi, nella storia dell’arte. L’elemento principale che colpisce è che si tratta di una rappresentazione dell’Annunciazione, eppure non vediamo alcun angelo. Quindi possiamo solo intuire ciò che sta accadendo dall’atteggiamento di Maria. È chiaro che la Vergine, impegnata a leggere, viene distratta da qualcosa o da qualcuno. Ecco quindi che alza lo sguardo e si volta leggermente verso l’oggetto della sua distrazione. Con la mano destra, sembra quasi salutare chiunque le stia parlando, ma, se guardiamo da vicino, ci rendiamo conto che è più di questo. Con quel gesto sta esprimendo delicatamente, ma fermamente, il consenso alla richiesta che ha appena ricevuto.

Letture consigliate

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➡ Antonello da Messina. Rigore ed emozione http://amzn.to/2wcqmD6

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Andrea Mantegna | San Sebastiano

San Sebastiano era un militare romano di alto rango. Ai tempi dell’imperatore Diocleziano, tra III e IV secolo d.C., aveva sfruttato la propria autorità per proteggere segretamente i cristiani e diffondere il nuovo credo. Quando venne scoperto e catturato dai romani si rifiutò di rinnegare la propria fede e fu quindi giustiziato. Venne fatto legare a una colonna e colpito ripetutamente a morte da innumerevoli frecce scagliate dai soldati romani, crudeli esecutori della condanna a morte. È il santo che si invoca contro la peste e questo spiega la straordinaria diffusione della sua immagine in un periodo in cui l’Europa era tormentata da epidemie.

Andrea Mantegna

Letture consigliate

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Buona visione e buona lettura!

C.C.

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Pieter Bruegel il Vecchio, Trionfo della morte

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Il trionfo della morte e la danza macabra
Pieter Bruegel il Vecchio, trionfo della morte

La morte ha da sempre avuto una grande attrattiva per gli artisti che nel corso della storia dell’arte hanno cercato di rappresentarla nelle forme e negli aspetti più disparati. Dalla cosiddetta “danza macabra” medievale in cui si dipingevano vivi e morti intenti a ballare insieme, o il tema del Cavaliere dell’Apocalisse portatore di distruzione, fino a quello della resurrezione dei defunti. In quest’opera del pittore olandese Pieter Bruegel il Vecchio, protagonista è il trionfo della morte sulle cose banali e materiali della vita, simboleggiato da un grande esercito di scheletri che letteralmente rade al suolo ogni cosa.

Sullo sfondo possiamo vedere un arido paesaggio in cui scorgiamo incendi, scontri e scene di distruzione. In primo piano, al centro del dipinto, la scheletrica morte con la falce tra le mani, a cavallo di un magrissimo destriero, conduce il suo esercito alla distruzione del mondo dei vivi. Questi ultimi sono spinti con violenza all’interno di un’enorme bara, alla nostra destra, senza nessuna speranza di salvezza. Tutte le istituzioni dell’epoca sono incluse in questa composizione e né il potere né la devozione le può salvare. Ecco quindi in basso a sinistra, un imperatore a cui uno scheletro mostra una clessidra, simbolo della fine del suo tempo. A destra dell’imperatore un prete di spalle si sente mancare e viene sorretto da uno scheletro con un cappello da cardinale.

Il trionfo dellla morte secondo Pieter Bruegel il Vecchio

Alcune persone tentano di lottare contro il loro destino, mentre altri sembrano più rassegnati all’imminente fine. Solo una coppia di amanti, in basso a destra, simbolo di peccato e lussuria, sembra completamente estranea a ciò che avviene intorno e al destino che dovrà inesorabilmente patire. Brueghel dà all’intera opera un tono bruno-rossastro che conferisce alla scena un significativo aspetto infernale. Si coglie in tutto ciò un riferimento dell’artista alla difficile situazione politica e sociale di quegli anni, caratterizzati da guerre e pestilenze. Un dipinto ricchissimo di dettagli e che al di là di questa breve guida merita un’osservazione attenta. La gran quantità di scenette moraleggianti presenti nel dipinto, con gli scheletri che puniscono i vizi dei vivi, sono sicuramente influenzate da un altro artista che con il macabro e il bizzarro ebbe molto a che fare: Hieronymus Bosch.

Una curiosità: l’opera ha ispirato in tempi moderni, scrittori, musicisti e illustratori. Viene infatti citata nell’albo numero 315 del fumetto italiano Dylan Dog e dà il titolo al prologo del romanzo Underworld dell’autore americano Don DeLillo. Una parte del dipinto inoltre è stato reinterpretato in chiave fumettistica per la copertina dell’album The Concreteness of Failure della band metal italiana Mothercare.

Continua l’esplorazione …

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Anton van Dyck, autoritratto con Sir Endymion Porter

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Anton van Dyck, autoritratto con Sir Endymion Porter
Anton van Dyck, autoritratto con Sir Endymion Porter

L‘autoritratto è legato a filo doppio con l’evoluzione del ruolo dell’artista che nel corso del XV secolo acquistò un nuovo stato sociale. Non fu più un artigiano, membro di una corporazione organizzata secondo regole severe, ma divenne un intellettuale. L’autoritratto fu inoltre occasione per gli artisti di rappresentarsi con i propri simboli, con la famiglia oppure con gli amici. Quest’ultimo caso, in particolare, riguarda l’opera di fronte a voi che racconta una storia su Anton van Dyck e sul suo tempo. Qui il pittore, vestito di nero e leggermente scostato a destra, si raffigura insieme a un importante personaggio, il cui status sociale è evidenziato anche dalla ricchezza del suo abito di raso bianco.

Anton van Dyck e sir Endymion Porter

Si tratta di sir Endymion Porter, uno dei più importanti membri della corte del re d’Inghilterra Carlo I, per il quale era una sorta di consulente per l’acquisto di opere d’arte. Porter stesso era un grande appassionato e un ricco collezionista d’opere d’arte che conosceva direttamente diversi pittori. Van Dyck e Porter erano uniti da un profondo legame d’amicizia otre che di lavoro. Per sottolinearlo, committente e artista sono infatti rappresentati insieme in questo doppio ritratto abbastanza insolito per il periodo. È possibile che questo dipinto sia stato realizzato come segno di gratitudine per il sostegno che Porter diede a Van Dyck, che gli permise di diventare pittore ufficiale alla corte di Carlo I. I due uomini appartenevano a due ceti diversi e difficilmente si sarebbero potuti ritrarre insieme, invece qui l’artista, pur evidenziano la diversa estrazione sociale tra loro, si mette sullo stesso piano del committente.

La roccia su cui i due personaggi appoggiano una mano è il simbolo della forza della loro amicizia, idea a cui contribuisce anche il formato ovale dell’opera, che crea un senso di vicinanza tra i due. D’altra parte, la posizione privilegiata dell’aristocratico rappresentato quasi frontalmente e del pittore mostrato di profilo, riassume le differenze sociali del tempo. L’eleganza della scena è sottolineata dalle pose delle mani, dalla presenza della tenda e della colonna che fungono da sfondo. La squisitezza d’esecuzione e l’armonia della composizione sono aspetti accentuati dal formato ovale dell’immagine che racchiude uno dei più bei ritratti del grande artista Olandese. Un’opera che fissa per sempre un rapporto di profonda stima, rispetto e amicizia.

Continua l’esplorazione …

Allora, vi è piaciuta quest’opera? Conoscevate già Van Dyck? Scrivetemi impressioni, pareri, suggerimenti e rimanete ancora con me su Artesplorando 🙂

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Parmigianino, Pier Maria Rossi di San Secondo e Camilla Gonzaga

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Parmigianino, Pier Maria Rossi di San Secondo e Camilla Gonzaga
Parmigianino, Pier Maria Rossi di San Secondo e Camilla Gonzaga

Nella storia dell’arte è molto frequente trovare ritratti che raffigurano coppie di coniugi o di fidanzati. Questo tipo di ritratto veniva commissionato per celebrare un momento significativo nella vita di due persone come il fidanzamento o il matrimonio oppure un amore impossibile. Ma anche semplicemente per commemorare una coppia potente e ben voluta. Qui Parmigianino ci dà proprio un esempio di questo tipo. Si tratta di Pier Maria signore di San Secondo, piccolo ducato vicino a Parma e la moglie Camilla Gonzaga. Educato da giovane in Francia e a Firenze, Pier Maria Rossi dal 1527 entrò al servizio di papa Clemente VII e dell’imperatore del Sacro Romano Impero, Carlo V.

Raffigurato con lo sguardo perso a guardare lontano, l’imponente figura del duca è saldamente delineata sullo sfondo di un telo di broccato d’oro. Il drappo sottolinea la ricchezza e la particolarità di Pier Maria che fu sia un signore del rinascimento, sia un cavaliere, pronto a mettere la sua spada al servizio del papa, dell’imperatore o del re di Francia, al fine di mantenere l’indipendenza del proprio ducato. Lo status militare del conte viene confermato dalla spada e dalla statua, che si intravede sullo sfondo a destra, tradizionalmente identificata con Marte, dio della guerra.

Ricchezza, status militare e cultura condensati da Parmigianino

È chiaro, tuttavia, che il conte fu più di un semplice combattente, altrimenti sarebbe stato raffigurato in armatura. Pier Maria si presenta invece come un signore che cura anche la mente, come testimoniano i libri presenti nel dipinto, sempre sullo sfondo. A fianco di questo ritratto la moglie del duca Camilla Gonzaga che sposò Pier Maria nel 1523 e gli diede ben nove figli. Non a caso nel ritratto del duca vediamo come ne venga messa in risalto la virilità e il sesso maschile dai curiosi pantaloni o meglio “braghette”, come si chiamavano all’epoca.

I bambini raffigurati a fianco della donna sono probabilmente i tre più grandi. Troilo, che succedette al padre, in piedi accanto a Sigismondo, il più giovane dei tre e Ippolito da solo sul lato opposto. La differenza significativa di qualità tra i due dipinti ha portato a pensare che non furono realizzati dallo stesso artista. In generale il ritratto di Camilla è considerato di Parmigianino anche se molto probabilmente fu terminato da un altro artista della sua bottega. Avendo entrambe le opere nella stessa stanza potrete anche voi esercitarvi in questo piccolo esercizio del trovare le differenze di stile tra le due tele. A parte il volto della donna e dei due figli alla sua destra, eseguiti in maniera simile al ritratto del conte, il resto dell’opera presenta pennellate più dense e tonalità della pelle diversi.

Scopri di più

Ti è piaciuta l’opera? conoscevi già Parmigianino? scopri di più sull’artista seguendo il link ➡ www.artesplorando.it/tag/parmigianino

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10 momenti di arte medievale

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Dieci momenti di arte medievale, alla scoperta di grandi capolavori della storia dell’arte che forse non vi saranno tutti noti. Nuovo video della serie “10 momenti di …”, realizzato da Artesplorando con lo scopo di offrirvi dei punti di vista originali sull’arte.

Il medioevo è così chiamato perché abbraccia un arco di tempo compreso tra la caduta dell’impero romano, nel V secolo, e gli inizi del rinascimento a Firenze, nel XIV secolo. Abbracciando quasi mille anni, era in passato considerato un’epoca buia di ignoranza e svilimento culturale. In realtà l’arte medievale è semplicemente diversa da ciò che la precedette e da ciò che la seguì. Cercheremo di dare un’occhiata anche a quello che si espresse fuori dall’Europa in questo periodo, in particolare in Oriente e in America, per avere una veduta d’insieme più ampia e completa.

Le foreste hanno un ruolo insostituibile a livello biologico ed economico: contribuiscono alla tutela della biodiversità, sono fondamentali per la conservazione delle acque e del suolo, forniscono cibo a centinaia di milioni di persone, sono tra i principali serbatoi di assorbimento del carbonio. Ma le foreste hanno anche lasciato un segno nella storia dell’arte, diventando fonte di ispirazione per gli artisti di molte epoche.

10 momenti di arte medievale

Troverai un breve commento alle seguenti opere:
➡ Croce di Ruthwell, 750 c.
➡ Dipinti di Bonampak, 700-800 c.
➡ Elmo di Sutton Hoo, 625 c.
➡ Timpano del Giudizio Universale, Gislebertus, 1130 c.
➡ Altare di Klosterneuburg, Nicola di Verdun, 1181 c.
➡ Croce del Cloisters, 1150 c.
➡ I cachi, Muqi, 1250 c.
➡ Maestà, Cimabue, 1290-1300 c.
➡ Arazzi dell’apocalisse, Jean Bondol, 1373-1382
➡ Pozzo di Mosè, Claus Sluter, 1395-1403

Il video è anche sottotitolato in italiano, inglese, francese e spagnolo. Puoi contribuire anche tu a migliorare i sottotitoli in lingua straniera, accedendo nell’apposito spazio del canale Youtube. Segui quindi la playlist “10 momenti di …” per non perderti mai nulla e lascia un commento sotto ai video in cui puoi tu stesso suggerirci opere oppure nuovi temi da trattare in futuro. Il tuo contributo quindi è prezioso. 😊

Letture consigliate

➡ L’arte medioevale in Italia e nell’Occidente europeo https://amzn.to/2YCSbEu

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Quindi buona lettura, ma anche buona visione!

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Correggio, noli me tangere

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Correggio, noli me tangere
Correggio, noli me tangere

Quest’opera rappresenta una perfetta espressione dell’arte matura di Correggio, uno dei più grandi pittori italiani del Cinquecento. Il dipinto venne commissionato dagli Hercolani, una potente famiglia nobiliare italiana. Vincenzo Hercolani era un membro della Confraternita religiosa del Buon Gesù, il cui statuto invitava i suoi membri ad appendere immagini religiose nelle proprie case. Qui vediamo infatti tutte le caratteristiche tipiche di un’opera devozionale fatta per stare all’interno di una cappella privata, prima fra tutte la sua dimensione ridotta. Correggio era consapevole di dove le sue opere venissero appese e per questo motivo fu particolarmente attento ai dettagli, dal paesaggio raffinato, al frammento di natura morta con gli attrezzi da lavoro sulla destra. Tutti particolari giustificati dal fatto che i fruitori dell’opera sarebbero stati abbastanza vicini per vederli.

La composizione del dipinto, apparentemente semplice, è straordinariamente equilibrata. Tutto ruota lungo un asse verticale obliquo che va dal piede destro di Maddalena, la donna accovacciata nella parte bassa della tela, alla mano sinistra di Gesù. Il mirabile equilibrio qui raggiunto non fu facile per l’artista. Un’attenta analisi ai raggi X della superficie pittorica ha mostrato infatti che il Correggio provò due diverse posizioni per Maddalena prima di scegliere quella definitiva, considerata fra tutte la migliore. Il suo vestito è praticamente identico a quello indossato da Santa Cecilia nell’omonimo dipinto di Raffaello, conservato alla Pinacoteca di Bologna, nel nord Italia. Molto probabilmente fu oggetto di studio da parte del Correggio.

Raffaello, estasi di santa Cecilia
Raffaello, estasi di santa Cecilia

Maddalena, Gesù e la Pietra di Bismantova

I due personaggi si stagliano contro un bel paesaggio debolmente illuminato dalla luce dell’alba. Maddalena, seguace di Gesù con un passato da prostituta, indossa il caratteristico abito di colore giallo portato proprio da chi svolgeva il peccaminoso mestiere e appare profondamente commossa dall’incontro. Secondo il racconto religioso Maddalena si aggirava sgomenta nei pressi del sepolcro vuoto e quando Gesù apparve non lo riconobbe immediatamente, scambiandolo per il custode del sepolcro. La vanga quindi descrive la svista di Maddalena, mentre il nome del dipinto deriva da ciò che Gesù disse alla donna durante questo incontro: “noli me tangere” e cioè “non mi toccare”.

Una curiosità: nel paesaggio che fa da sfondo è presente la cosiddetta “Pietra di Bismantova”, una formazione rocciosa particolare non molto lontana da Bologna. Si presenta come una stretta collina, coperta di vegetazione e dalle pareti scoscese, che si staglia isolata tra le altre montagne. È descritta da Correggio in maniera fedele, includendo il reale sentiero che porta in cima. La Pietra di Bismantova con la sua precisa collocazione, ricorda l’antica devozione delle genti del luogo verso Maddalena, che si crede sia passata proprio in questa parte d’Italia.

Scopri di più …

Ti è piaciuta l’opera? conoscevi già Correggio? segui il link per conoscere meglio questo artista www.artesplorando.it/tag/correggio

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Joachim Patinir, passaggio agli Inferi

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Joachim Patinir, passaggio agli Inferi
Joachim Patinir, passaggio agli Inferi

All’olandese Joachim Patinir, l’artista di quest’opera, va riconosciuto il merito d’aver inventato il grande paesaggio panoramico. In quel periodo, il XVI secolo, questo genere ancora non aveva trovato posto nella storia dell’arte. Oltre all’originalità del suo soggetto, questo dipinto è anche notevole per la composizione insolita. L’artista ha suddiviso lo spazio in tre parti verticali, due ai lati e la terza nel centro, occupata dal grande fiume sulla cui superficie opaca Caronte, il traghettatore d’anime, dirige la sua barca. A sinistra un angelo su di un promontorio e altri che accompagnano alcune anime, ci permettono di riconoscere il paradiso. Dall’altra parte invece il cane a tre teste Cerbero, guardiano dell’ingresso degli inferi, sembra identificare l’inferno.

Il pittore pone Caronte al centro del fiume dell’aldilà, lo Stige, mentre sta trasportando un passeggero verso la sua destinazione finale. Ogni persona o in questo caso ogni anima umana, è responsabile nella scelta tra Inferno e Paradiso, quando arriva l’ora della propria morte. Qui il viso e il corpo dell’uomo sulla barca sono già rivolti verso la scelta fatta: l’Inferno. Patinir con quest’opera colse il pessimismo dei suoi tempi turbolenti, segnati da guerre e pestilenze, da superstizioni e da una forte morale cristiana che insegnava a scacciare qualsiasi forma di peccato. Per il pittore quindi questo lavoro rappresenta un “memento mori”, ovvero un monito per prepararsi alla morte, scegliendo la retta via e ignorando paradisi ingannevoli e tentazioni.

Joachim Patinir rende protagonista il paesaggio

Non si sa chi commissionò il lavoro né a quale luogo fosse destinato, però probabilmente servì da anta per un armadietto all’interno di uno studiolo privato. In mancanza di un modello preesistente il pittore nel realizzare paradiso e inferno si ispirò ai dipinti di Hieronymus Bosch, ricchi di dettagli e di personaggi curiosi e inquietanti. Quello che colpisce di più in quest’opera è il paesaggio, che ne è il vero protagonista. Realizzato con una vista a volo d’uccello, domina tutta la scena relegando il tema religioso a un ruolo secondario.

Non a caso Patinir fece parte di un gruppo di artisti poi definiti “scuola danubiana”, un movimento artistico nato nei primi anni del Cinquecento nel territorio austriaco, poi diffusosi in tutta l’Europa centro-settentrionale. Questi pittori si impegnarono a elaborare una visione innovativa del rapporto fra l’uomo, la natura e le forze misteriose racchiuse in essa. Molti studiosi all’epoca di Patinir cominciarono a pensare che fosse più semplice trovare Dio immergendosi nella natura piuttosto che tra le pareti dipinte di una chiesa.

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Ti è piaciuta l’opera? conoscevi già Joachim Patinir? segui il link per conoscere meglio questo artista www.artesplorando.it/tag/joachim-patinir

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Giuseppe de Nittis e la rivoluzione dello sguardo

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Giuseppe de Nittis e la rivoluzione dello sguardo

Inquadrature audaci, prospettive sorprendenti, tagli improvvisi e poi l’uso del colore, la pennellata che da larga e veloce si fa improvvisamente sottile e precisa. Tutto questo e molto altro mi ha da subito catturato entrando nella mostra che Palazzo dei Diamanti dedica al pugliese Giuseppe de Nittis, fino al 13 aprile 2020. Una figura importante sulla scena parigina di fine Ottocento al pari di Giovanni Boldini. Questa istituzione ci ha abituato a mostre ben curate, originali ed estremamente interessanti e anche questa volta non delude. Una mostra che ci presenta il percorso artistico e la vita del pittore illustrandoci il suo modo di rappresentare la realtà che lo circondava. L’atmosfera, la luce, i colori, per certi aspetti un mondo artistico simile a quello di Degas, Monet ed altri impressionisti, ma per altri totalmente originale.

Giuseppe de Nittis e la rivoluzione dello sguardoDurante tutto il percorso di visita, inoltre, ci guidano foto e video d’epoca che ci mostrano come questi nuovi mezzi stessero rivoluzionando completamente anche il mondo della pittura. Allo stesso tempo osserviamo quanto foto e video ispirarono il lavoro di artisti come De Nittis. Una mostra generosa che ci offre esempi di tutta l’abbondante produzione di questo artista che si avvalse delle tecniche più diverse e che resta un raffinato testimone della vita mondana parigina e londinese. Un italiano trapiantato all’estero. Rimarrete colpiti dall’interno dei salotti, dai giardini, dai campi di corse più alla moda. Ma anche dalle vedute cittadine con la nebbia, il vapore e il viavai dei passanti.

Quello che però mi ha rapito completamente di De Nittis è la tecnica e la sua capacità di variare le pennellate, di accennare con piccoli tocchi il riflesso su una teiera o la trasparenza di un tessuto. La capacità di lasciar trasparire al punto giusto il supporto (tela, tavola o carta) che diventa in questo modo parte importante nella riuscita del dipinto. Un grande artista dallo sguardo rivoluzionario e questa mostra diventa l’occasione anche per celebrarne la figura, forse ancora troppo poco conosciuta in Italia.

Per tutte le info:

➡ www.palazzodiamanti.it/1712/de-nittis

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Lucio Fontana, concetto spaziale

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Lucio Fontana, concetto spaziale
Lucio Fontana, concetto spaziale

Lui, Lucio Fontana, è sicuramente noto ai più come “quello dei buchi e dei tagli nella tela” ma ovviamente è molto di più. Con la sua straordinaria ricerca spazialista ha permesso il superamento della concezione classica di scultura e pittura. L’artista infatti aggiunse, come materia prima dell’opera, lo spazio reale. Questo principio sta alla base del movimento dello Spazialismo che egli stesso fondò. Fontana nacque nel 1899 in Argentina, da genitori italiani e a partire dagli anni Trenta si trasferì a Milano, unendosi ai primi astrattisti ed entrando a far parte del gruppo internazionale di artisti chiamato “Abstraction-Création”. Durante la seconda guerra mondiale tornò in Argentina, per poi rientrare a Milano una volta concluso il conflitto e nel 1946, come anticipato, fondò a Milano il movimento dello Spazialismo. Nel 1949 realizzò il primo dei suoi Ambienti spaziali e diede vita alle prime opere con i buchi.

La serie più famosa realizzata da Fontana è sicuramente quella composta dai Concetti spaziali di cui l’opera che avete qui fa parte. Fontana con un gesto semplice e violento sfonda la tela e va oltre il confine del campo pittorico. Il concetto spaziale è un’opera che mette in discussione la bidimensionalità dello spazio pittorico mostrandoci che è solo una superficie in cui ogni rappresentazione è virtuale e illusoria. Realizzando un gesto diretto e fulmineo l’artista buca la tela con una lama affilata, distribuendo questi segni su tutta l’opera e aprendo la via alla terza dimensione. Una serie di fotografie dell’epoca testimoniano come Fontana, prima di passare all’azione, si concentrasse intensamente davanti alla tela.

Conta l’idea. Basta un taglio secondo Lucio Fontana

Questo tipo di azione artistica ha avuto diverse interpretazioni. Alcuni credono che si tratti di uno sfregio provocatorio, altri propendono per una metafora sessuale e altri ancora ci vedono un gesto “zen”. Ma al di là di tutte le ipotesi resta l’arte di un maestro dell’avanguardia. Fontana stesso era solito dire: “Conta l’idea. Basta un taglio”. Una curiosità: anche le parti posteriori delle tele di Fontana sono decisamene originali. Oltre alla firma, al titolo e alle toppe nere incollate dietro ai buchi e alle fenditure, c’è in ogni opera una breve frase sempre diversa. Questo perché già all’epoca della loro realizzazione queste opere venivano falsificate e le frasi, casuali, ironiche e curiose, aggiungevano un ulteriore elemento di autenticità. Ecco quindi che possiamo trovare dietro alle tele di Fontana scritte del tipo: “Il primo giugno non è il primo maggio”, “Credo che bisogna cambiare la caldaia”, “Io sono un santo”.

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Roy Lichtenstein, pennellata

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Roy Lichtenstein, pennellata
Roy Lichtenstein, pennellata

Può una pennellata, il gesto per eccellenza del pittore, diventare essa stessa oggetto di un’opera d’arte? Forse sì, e comunque una cosa è certa, qualcuno ci ha provato. È il caso di Roy Lichtenstein. L’artista americano nato a New York nel 1923 fu capofila della cosiddetta “pop art”, un movimento culturale legato alle immagini di massa e alle icone popolari. In particolare Roy prese a soggetto dei suoi dipinti i fumetti e le immagini pubblicitarie, elementi chiave della cultura contemporanea, imitati scrupolosamente e ingigantiti. Nel 1962 l’artista espose una serie di opere ispirate alla grafica e ai colori dei fumetti presso la Galleria Leo Castelli di New York, segnando l’inizio della sua fase matura. Roy mantenne sempre un certo distacco nei confronti degli oggetti che rappresentava e lo fece usando una tecnica che semplificò le forme, i colori e le ombre, proprio come avviene nei fumetti.

La pennellata di Roy Lichtenstein

Pennellata è un’enorme statua il cui tema non ha nulla a che fare con la scultura ma riguarda invece la pittura, come si può capire dal titolo. L’opera è strettamente collegata al quadro che Lichtenstein realizzò nel 1965. Quadro che rappresentava una critica ironica rivolta agli artisti appartenenti al movimento dell’espressionismo astratto che avevano precedentemente accusato di superficialità il mondo della pop art. Tra gli artisti più rappresentativi dell’espressionismo astratto troviamo Jackson Pollock, la cui tecnica pittorica consisteva nel far gocciolare il colore direttamente sulla tela appoggiata a terra, coinvolgendo tutto il corpo nell’atto della pittura.

Dal 1980 in poi Lichtenstein adottò il tema della pennellata in una serie di lavori tridimensionali sotto forma di sculture di medie e grandi dimensioni. L’opera che vedete qui fu realizzata nel 1996, un anno prima della morte dell’artista, ed è in alluminio dipinto. Come tutta la serie, anche questa enorme scultura alta più di nove metri è una parodia ironica dello stile pittorico espressionista astratto. Stile che si basava tutto sul gesto spontaneo del pittore come il lasciar cadere il colore sulla tela. In questa scultura quel gesto viene semplificato e ridotto a un semplice segno dimostrandoci che qualsiasi cosa può diventare oggetto d’interesse per la pop art.

Una curiosità: i dipinti di Liechtenstein sono ad oggi tra i più quotati sul mercato dell’arte. Nel 2014 la sua opera Infermiera è stata battuta all’asta da Christie’s a New York per l’esorbitante cifra di 95,4 milioni di dollari.

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